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Antonio Ventura Santiago: quando la poesia è fuoco, suono, necessità. Un segno sereno per un futuro vitale

Un poeta quasi inedito italo-argentino che esprime i carismi più profondi di Poiesis con una cifra tutta propria quanto universale

18 Giugno 2025

Antonio Ventura Santiago: quando la poesia è fuoco, suono, necessità. Un segno sereno per un futuro vitale

Antonio Ventura Santiago fa il saldatore, attualmente a Rotterdam. Ma sa anche saldare con intensità e profondità rare le parole dell'umanità e le salda ad emozioni, sentimenti, visioni e correnti che attraversano ogni livello di percezione, coscienza e sensibilità. La sua è una poesia d'anima che muove i corpi; potente quanto delicata e sembra possedere e padroneggiare tutte le principali essenze dell'umano e del cosmico. Nelle sue parole sembra tornare il senso agonico e anagogico del Mito quale narrazione-azione, opera performante quanto iatromantica. Una cifra unica la sua. Riesco ad accostarlo solo alla Tebe mito-poietica di Donatella Bisutti ("Erano le ombre degli eroi") ma libero dal senso del radicamento del trauma così forte in Donatella. Un poeta che riesce ad elevare il suo canto in ogni intercapedine esistenziale, librandosi tra i propri mondi e i mondi di spiriti affini che sanno soffermarsi: 

"Il sole aveva i suoi eserciti di carta, e li mandò nel mare
a svelare le grazie della luna. Ma la luna, che ha il cuore di un uccello che dorme, sollevò le maree,
e affondò gli eserciti del sole. Allora il sole si rivolse ai vulcani dicendo: oscurate il cielo, quando io mi nascondo,
affinché le luci argentate rimangano segrete e nessuno più le possa vedere.
Gli uccelli impazzirono, andarono dagli uomini, ma gli uomini non capivano,
e gli uccelli gli mangiarono i capelli..."

Caro Antonio, ho letto la tua raccolta di poesie: "Eserciti di carta". La tua parola poetica mi ha fulminato per potenza, ritmo e unità organica tra lessico, temi ed espressività. Che "bestia" è il tuo animale poetico?

Io sono Dioniso

Si percepiscono nella tua opera aure e carismi ancestrali, mitici, quasi sciamanici. Il Fato sembra irradiare il tuo discorso poetico. Si coglie un incedere solare, magmatico, anche tellurico. Scrivi per il cosmo? Ti senti un canale?

Da quando l’umano scrive in versi, o li canta, da quando esiste una definizione di poeta, questa definizione parla sempre di un essere abitato dagli dei, o di uno strumento suonato dagli dei, suo malgrado. Quindi ogni poeta che sia rimasto fedele alla tradizione, incede su un terreno solare e magmatico, donde produce terremoti e corsi d’aria.

Nel contempo le tue poesie inducono spesso alla riflessione congiungendo icasticità delle immagini ad uno sguardo fresco, aurorale e originale sulle vicende e sui dettagli dell'esistente. L'immagine del gabbiano e del silenzio congiunto al petto quale luogo poietico-spirituale che compare in una tua opera mi ha magnetizzato e facilita la meditazione e la contemplazione.

Sarei felice se chi legge, anche solo per un momento, cominciasse a credere o a dubitare, che il mondo governato dagli scienziati e dalle etichette commerciali forse non è il migliore dei mondi possibili.

 In un tuo inedito parli della tua attuale esperienza di vita lavorativa a Rotterdam ci parli dell'esigenza sia estetica che etica di "fare spazio" e torna l'immagine dei gabbiani, a cui tu sai dare nuova vita come dire talismatica-esistenziale.

Dioniso dice: ogni cosa è estetica, la morale è estetica.

Possiamo dire nel tuo discorso poetico si coglie un'unità assoluta tra l'elemento noetico e un'esperienza di sensibilità e penetrazione delle essenze vissuta e ri-vissuta?

Il Nous è irradiato nel mondo. Il mondo è nel Nous.

La poesia è operazione anche di combattimento interiore? E' la milizia di cui oggi c'è urgenza?

Il mondo è in guerra, non ha bisogno di altri soldati. Il mondo è perennemente in guerra.

Spesso scienziati e tecnici all'avanguardia mondiale rispondono nelle interviste che oggi nel mondo c'è bisogno di poeti. Non è paradossale in un mondo che sembra aver paura o vergogna della "poesia della parola"?

È avvenuta la fine delle civiltà mitologiche e poi di quella monoteistica. Anche la civiltà scientifica avrà una fine.

Perchè la poesia scritta, parlata stenta a rivelarsi o a essere riconosciuta, fatica a trovare suoi territori di incontro e scambio mentre la poesia implicita, latente, abbonda nella musica, nelle arti figurative, quasi ovunque?

Perché è più facile essere abbagliati dalle luci che dalle ombre, e fra tutte le arti, la poesia è la sola che illumina con l’ombra.

Una poesia-arte olica, quella di Antonio, quasi sfuggente a qualsiasi qualificazione, preziosa come un liquore da centellinare i cui retrogusti persistono a lungo...

"...Distillato dai metalli che fusero il sole
io fui dato a una madre, oh estate, i capelli dell’Orsa
mi bagnarono caldi le fluenti gengive, giocando con gli alberi
ho conosciuto le correnti, volpe, talpa, cenere, tasso,
quercia e faggio, il cielo mi ha mandato / autunno, chi ha creato la morte?

Noi ci arrampichiamo sui pensieri migliori perché aneliamo
alla più vasta guarigione, nel cadavere del cielo il nostro seme
sta bruciando..."

 

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