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L' "Aristo-anarchia" del Ducato del Bardo. Conversazione con Piercarlo Bormida: l'artista fondatore del Ducato anarchico

Il suo stemma? Un sole radiante con al centro una stella nera e il tutto in campo azzurro. Una micro-nazione di arte e sogno

01 Giugno 2025

L' "Aristo-anarchia" del Ducato del Bardo. Conversazione con Piercarlo Bormida: l'artista fondatore del Ducato anarchico

Artista interdisciplinare, studioso, ricercatore indipendente: Piercarlo Bormida è Duca del Bardo, micronazione intenzionale del basso Piemonte. Produttore di musica elettronica da tempi non sospetti si occupa principalmente di frequenze sonore terapeutiche, ma pubblica regolarmente i suoi progetti su diverse etichette discografiche internazionali. Di pari passo scrive saggi ed articoli in italiano, inglese e francese per case editrici indipendenti, coltivando la passione per l’esoterismo, l’archeologia sperimentale e la passione per la storia proibita, le neuroscienze, il mistero, l’arte come risposta al degrado. Nasce nel secolo scorso in quel Piemonte volitivo che ama i viaggi esotici e sin da bambino si ritrova in giro per il mondo al seguito dei genitori istitutori dal passaporto blu: soprattutto Africa Centrale ed Orientale, sulle orme di alcuni di alcuni dei suoi avi più intraprendenti. Poi torna a casa, lo studio dei Classici e della musica d’avanguardia, la rivoluzione Acid House, la grafica digitale, il portarsi sempre un passo avanti. 

Sono stato in visita due volte nel tuo affascinanrte Ducato. Mi ha stupito la sua intensità: in poco spazio una grande densità di attività, significati, risonanze, tracce, possibilità. Ho percepito qualcosa di vivo, anche nell'invisibile. Ritieni che il pensiero e la prassi anarchica siano oggi attuali per tutti, cioè stiano ri-emergendo?

Sì, senza dubbio. L’anarchia oggi non è soltanto attuale: è necessaria. In un’epoca in cui gli imperi digitali invadono l’anima e i governi si fanno sempre più tecnici e umanamente scadenti, l’anarchia riemerge come un richiamo interiore, un’eco dell’autenticità perduta. È la risposta dell’essere al delirio delle strutture. È l'irruzione del vivente nel meccanismo. Non come caos, ma come ordine profondo che nasce dal sentire, dalla cooperazione, dal rispetto sacro dell’individuo e dell’altro (umano e non umano). Ma voglio precisare che non ha nulla a che fare con l’anarchia di cui si parla nei titoli dei giornali o che si vede come tag sui muri delle nostre decadenti città: è qualcosa che ci è stato scippato, a noi uomini e donne dal libero pensiero. E di cui bisognerebbe riappropriarsi, perché le parole hanno significati precisi e se non ci si intende su questo, non è possibile alcun dialogo.

Come si differenzia l'attuale anarchia (se si differenzia) dall'anarchia ottocentesca e novecentesca? E come ti poni all'interno della poliforme costellazione anarchica?

L’anarchia odierna, o almeno quella a cui mi piace pensare, ha superato il feticcio della barricata. Non è più solo insurrezione contro lo Stato, ma costruzione quotidiana di mondi altri. Oggi essa è arte, è permacultura, è software libero, è comunità poetica. Mi piace pensare all’anarchico come ad un alchimista in una costellazione olografica in espansione: uno che raccoglie le scintille sparse — da Stirner a Bookchin, da Landauer a Zerzan, da Thoreau a Nietzsche, da Kropotkin a Evola, da Genesis P. Orridge a Bakunin, dal pensiero Taoista a Capitan Harlock. Ma non voglio dilungarmi sui nomi perché preferisco pensare a quelli che non conosciamo ancora. Mi piace pensare ad un alchimista che soffia su queste scintille in una forma istintiva, esteticamente sensuale, concreta nel suo dipanarsi chissà dove. Laddove la forma è espressione che arriva prima del contenuto. Perché a volte il contenuto c’è ed è potente, ma non si percepisce da subito come tale. Quindi per rispondere alla tua seconda domanda, mi pongo ai margini!

Come congiungi le tue ascendenze aristocratiche e il tuo stile netto, nobile con la dimensione dell’anarchia?

Se pensiamo agli anarchici storici, molti di loro erano nati in famiglie aristocratiche, ma non tutti ne sono a conoscenza. La vera aristocrazia non è mai stata dominio, ma servizio, esempio, custodia e trasmissibilità. L’aristocrazia dello spirito è ciò che manca oggi. Io sono un Duca nella galassia micronazionalista non per dominare, ma per ricordare — con l’atto, con il gesto, con il savoir faire — che può esistere anche una nuova nobiltà: non ereditaria per natura, ma (passami il termine) iniziatica. Che prende il via dal momento in cui la propria consapevolezza interiore si fa esteriore. In quel preciso istante in cui si passa dall’immaginazione e alla realizzazione: far atterrare un castello che era fino a quel momento solo immaginario e farlo diventare un giardino aperto alle infinite possibilità di relazione che solo l’incontro offre. Le centinaia di persone che varcano il ponte della Titina (quel ponte romano che idealmente conduce alla nostra piccola utopia) entrano in una ‘casa che è una nazione’, come ha scritto con la dolcezza dell’artista una delle anime di passaggio che abbiamo conosciuto in questi anni. La mia è una anarchia cavalleresca, perché crede nell’onore, nella bellezza, nella sacralità del vivere insieme. Puoi pensare a me come ad un aristocratico che ha abdicato all’Impero per inchinarsi a Sua maestà il Bosco… Che si è dato consapevolmente alla macchia, il che mi pare l'unica forma di stoicismo possibile in quest'epoca di montante democrazia.

La tua declinazione dell’anarchia assorbe anche i carismi di quell’altra parola magica che oggi sta non a caso ritornando anch’essa: Autarchia?

Assolutamente sì. L’Autarchia è la sorella silenziosa dell’Anarchia. Mentre l’anarchia dissolve i vincoli imposti, l’autosufficienza costruisce vincoli scelti. Coltivarsi, produrre ciò che si consuma, conoscere le erbe del proprio bosco, sapere costruire con le proprie mani e vibrare con i suoni della natura, questa è autarchia. Non si può essere liberi se si dipende totalmente dal mercato o dalla tecnologia, ma è inutile parlare di libertà se non lo si è prima di tutto dentro di sé: dai pregiudizi, dalla nostra zona di comfort, dai programmi, dal sentito dire, dai maestri, etc.

Pensi che le attuali tensioni geopolitiche porteranno a un ritorno alle “piccole Patrie”?

Sì, ma dovranno essere Patrie poietiche, mai nostalgiche. Non ritorni ai nazionalismi storici, ma avanzamenti ed avanguardie verso comunità autosufficienti, poetiche (una i può cambiare il significato di una parola!), radicate nella terra e aperte al cosmo. Le “piccole Patrie” dovranno essere fioriture, più che fortezze. Il Ducato del Bardo si ispira a questo ideale: è una micronazione onirica che si fa concreta, un rifugio dal rumore, un laboratorio di (buon)senso in un mondo di nonsenso. Io credo sia questione di tempo, mi capita di vedere sempre più nuove comunità che inconsapevolmente sono già parte di questa galassia in costante movimento un po’ in tutto il mondo.

Il tuo Ducato congiunge arte, libertà e concretezza sociale. Ci racconti alcuni appuntamenti ritornanti che ospitate e organizzate da Voi?

Ogni stagione porta i suoi riti, noi abbiamo i nostri: Giorno della Fondazione - 20 febbraio, Giornata della Bandiera - 20 maggio, Giornata della Costituzione - 21 giugno - Commemorazione della prima Costituzione e del Solstizio d'estate, Giornata delle Arti - 1 settembre – in cui si celebra il compleanno di Carmelo Bene, protettore delle Arti. Ad intrecciarsi ci sono poi il festival Hemera a cura del Teatro Selvatico, il braccio armato di bellezza della micronazione, e appuntamenti che si palesano dadaisticamente ogni anno in maniera differente, come la Giornata dei Cavalieri della Stella Nera, l’Ordine cavalleresco del Ducato. Il 2025 vedrà il Bardo fra i promotori di un Convegno Internazionale di Storia Proibita con la partecipazione di relatori internazionali di altissimo livello, uno per tutti Erich von Däniken (autore del best-seller “Chariots of the Gods”): 18 e 19 Ottobre. Libertà di pensiero e concretezza sociale vanno a braccetto con iniziative come queste che proponiamo sul territorio, siamo fermamente convinti del potere del local e della compartecipazione fra realtà vicine anche geograficamente.

Che rapporto vivi e professi fra la natura, l’ambiente e le tue istanze ideali?

La natura è maestra, tempio, specchio. Il mio rapporto vuole essere una alleanza magica, mai di sfruttamento. Gli alberi sono alleati, le pietre hanno memoria, i ruscelli trasmettono frequenze che possono curare. La liberazione degli animali selvatici che continuiamo a promuovere alimentano questa nostra visione di rispetto e sostegno laddove l’uomo è diventato invasore. Abbiamo appena reintrodotto nella foresta 10 ricci che troveranno un habitat adatto al loro ecosistema in assenza di pericoli antropici. Ogni gesto all’interno del Ducato, che vive 365 giorni all’anno il suo miglior atto performativo, è una danza in sinergia con l’ambiente che lo ospita. Il futuro è per noi un ritorno circolare all’origine, ma con la consapevolezza del campo ampli(fic)ata. Siamo gente che crede a quello morfogenetico, all’interazione consapevole fra dimensioni che coesistono, ma che non sempre riusciamo a vedere.

Che musica ami e pratichi? La tua esperienza e produzione musicale è una componente di un pensiero magico-sciamanico?

La musica che amo e pratico con dedizione giornaliera è un rituale elettronico, un atto sonoro via via più consapevole. Non compongo quasi più per l’intrattenimento, ma per l’evocazione e per portare benessere: amo l’Ambient, l’IDM, le frequenze Colundi, i 455 Hz degli Antichi Eocenici che potrebbero risvegliarsi da un giorno all’altro (!). Il suono per me è uno strumento di navigazione interiore, di apertura della coscienza, di dialogo con l’invisibile. In qualche modo rappresenta la possibilità di praticare una scienza antica con strumenti più o meno moderni. Purtroppo credo che in quest’epoca il termine sciamano sia uno dei più abusati, un tempo (e in luoghi remoti) chi portava questa responsabilità era davvero una persona speciale con un peso non indifferente sulle spalle: quindi, molto modestamente, non mi paragono ad uno sciamano, ma più semplicemente ad un operatore che cerca di districarsi in un universo di frequenze con studio, dedizione ed intuito. Quanto al pensiero magico-sciamanico, sì: mi piace pensare di potermici confrontare, ma da ‘scienziato dal cuore aperto’. E con l’aiuto di un totem rappresentato da un Cervo Rosso, ça va sans dire!

L’anarchia del Ducato del Bardo mi sembra custodisca e riveli alcuni carismi che già furono della Reggenza del Carnaro nella Fiume di D’Annunzio. La tua Anarchia è una meta-anarchia, cioè sintetizza e rilancia aspetti libertari e anarchici sparsi e latenti nella Storia?

Hai colto nel segno, la stessa denominazione Anarchia è un po’ stretta per definirsi appieno: il Ducato è una palingenesi, mai una nostalgia. La Reggenza del Carnaro fu sogno in azione, arte che si fece legge e che ancora oggi affascina chi ne entra in contatto. Ogni giorno vedo sulla scrivania la macchina da scrivere di un prozio che fu Ministro della Reggenza, quello Henry Furst che si prodigò per far riconoscere l’Irlanda a D’Annunzio in epoca non sospetta e che fu amico di Guido Keller (a cui abbiamo dedicato la nostra piazzetta). Ma cerchiamo di andare altrove, se non oltre: non vogliamo una nuova Fiume, piuttosto una nuova Forma di Felicità che possa, questo sì, ispirarsi anche a Fiume. La mia Anarchia è una meta-anarchia, una probabile declinazione che si avvicina a qualcosa che non esiste più e a qualcosa che non esiste ancora, come diceva Raul Vanegeim: il Bardo sarebbe in questo senso un archetipo di ciò che potrebbe essere in divenire. Il dono della sintesi sarebbe davvero il miglior regalo che potrei scartare sotto l’albero del Mondo e mi auguro che diventi sempre più tangibile negli anni a venire, con o senza di me. Di certo quello che si prospetta all’orizzonte è qualcosa di incerto, importante è essere pronti a qualsiasi futuro ci si prospetti.

Per chi voglia approfondire: 

Sito ufficiale del Bardo: www.bardomicronation.eu

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