04 Maggio 2025
Falcone Lucifero, ultimo Ministro della Real Casa
Il 5 maggio 1997, nella Basilica di Santa Maria del Popolo, si svolsero le esequie di Falcone Lucifero, ultimo Ministro della Real Casa. Stese il testo dell'ultimo proclama di Umberto II prima della partenza per l’esilio
Insignito da Umberto II della massima onorificenza di Cavaliere dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, Falcone Lucifero dei Marchesi di Aprigliano (Crotone, 3 gennaio 1898 – Roma, 2 maggio 1997) è stato un politico italiano. La Principessa Marina di Savoia partecipò alla cerimonia funebre in rappresentanza del Principe Vittorio Emanuele, allora ancora in esilio. Alle sue spalle, nella foto, il Duca Giovanni de' Giovanni Greuther dei Duchi di Santa Severina (1906-2002); in prima fila il Senatore Michele Pazienza (1928-2013), la Duchessa Silvia d’Aosta, il Duca Amedeo d'Aosta (1943-2021) e il Principe Enrico d'Assia (1927-1999). In seconda fila si riconoscono l'On. Alfredo Covelli (1914-1998), l'Ambasciatore Fabrizio Rossi Longhi (1926-2022), e il Principe Don Sforza Marescotti Ruspoli (1927-2022). Sopra la bara, coperta dal tricolore sabaudo, il cuscino con il Collare della Santissima Annunziata, conferito a Falcone Lucifero da Re Umberto II nel 1969. Al termine della prima guerra mondiale, alla quale partecipò come ufficiale, si laureò in giurisprudenza a Torino. Nel 1920 fu eletto consigliere comunale a Crotone, sua città natale, nelle file del Partito Socialista Unitario. In seguito abbandonerà la corrente riformista di Filippo Turati per iscriversi al partito fascista. Tuttavia, dopo l'avvento del regime si ritirerà a vita privata, esercitando la professione di avvocato. Alla caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, il primo governo Badoglio lo nominò prefetto di Catanzaro e poi di Bari. Dall'11 febbraio al 22 aprile 1944 fu ministro dell'agricoltura nello stesso governo. Il 4 giugno 1944 Umberto di Savoia, luogotenente generale del Regno, lo nominò Ministro della Real Casa, carica tenuta fino ad allora da Pietro d'Acquarone. Nel corso dei due anni della luogotenenza e dei trentatré giorni di regno di Umberto, fu il principale interlocutore del governo e delle forze politiche antifasciste, e organizzò la campagna in favore della monarchia nell'imminenza del referendum istituzionale del 2 giugno 1946. Dal 2 al 13 giugno 1946 gestì in prima persona la delicata fase immediatamente successiva allo svolgimento del referendum, adottando una linea ferma ma scevra da tentazioni oltranziste. Il 13 giugno, in conseguenza dell'attribuzione da parte del consiglio dei ministri dei poteri di capo provvisorio dello Stato al capo del governo Alcide De Gasperi, stese il testo dell'ultimo proclama di Umberto II. Dopo la partenza del Re per il Portogallo rimase suo unico rappresentante ufficiale in Italia. In questa veste rappresentò l'ex re in occasione dei funerali delle vittime del Vajont, delle vittime delle stragi degli anni settanta, di Pio XII, Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo I e all'intronizzazione dei loro successori.Si occupò anche dell'attività benefica di Umberto II e dei suoi contatti col mondo politico. Nel 1948 rifiutò la nomina a senatore a vita offertagli da Luigi Einaudi. Il 4 settembre 1969, in occasione del proprio sessantacinquesimo genetliaco, Umberto II lo nominò cavaliere dell'Ordine Supremo della Santissima Annunziata. Insieme a Vittorio Cini (nel 1975) fu il solo caso, dal 1944 al 1982, di concessione della massima onorificenza di Casa Savoia a una personalità che non fosse un capo di Stato né appartenesse a una dinastia reale. Pubblicò saggi, biografie, opere letterarie e teatrali. Collaborò con quotidiani e periodici, e, fino all'ultimo, continuò a sostenere la tesi monarchica e costituzionale. Intervistato nel 1990 da Giovanni Minoli per Rai 2 e da Bruno Vespa per Rai Uno nel 1996, ribadì la tesi dell'invalidità dello svolgimento del referendum. Morì a Roma nel 1997, e, per sua volontà, fu sepolto a Crotone, alla cui biblioteca comunale, intitolata a suo padre Armando Lucifero, aveva donato nel 1996 il suo voluminoso carteggio privato. I suoi diari dal 1944 al 1946 sono stati pubblicati da Arnoldo Mondadori Editore nel 2002, col titolo “L'ultimo Re”. Ultima pubblicazione: “Falcone Lucifero - La solitudine del Re” (2019), epistolario tra il Re Umberto II di Savoia e il Ministro della Real Casa Marchese Falcone Lucifero, a cura di Lia Bronzi, presentazione di Francesco Perfetti, con un testo di Alfredo Lucifero. Falcone Lucifero "L'ULTIMO RE". I diari del ministro della Real Casa degli anni 1944-1946. La verità sugli eventi che hanno portato alla fine della Monarchia in Italia raccontati dal più diretto collaboratore di Umberto II, Luogotenente Generale del Regno, prima, e Re, poi, dopo l'abdicazione di Vittorio Emanuele III. Questi diari vanno dal febbraio 1944, quando Lucifero venne nominato ministro dell'Agricoltura da Badoglio, fino al giugno 1946, poco dopo la partenza del Re e della Famiglia Reale per il Portogallo. Un libro straordinario, la testimonianza dell'uomo che fu più vicino alla Corona negli ultimi anni che precedettero la nascita della Repubblica. LE SCIE, Mondadori (2002). A cura di Alfredo Lucifero e Francesco Perfetti.
Una lunga fedeltà a Umberto di Savoia
Il primo Consiglio dei ministri del governo presieduto da Ivanoe Bonomi dopo la liberazione di Roma approvò lo schema di decreto legge per la nomina del «Reggente il Ministero della Real Casa». La scelta cadde su Lucifero per più ragioni. Era gradito al principe ereditario, in rapporti di amicizia col fratello Francesco. Nel contempo era ritenuto di garanzia circa il mantenimento della tregua istituzionale. L’obiettivo di Lucifero fu reinventare la monarchia, cercando non solo di cancellare le tracce del legame intrecciato con la dittatura fascista e col suo progetto totalitario, ma di rinnovarne costumi e stile, rendendoli più austeri e confinando dietro le quinte gran parte dei componenti la famiglia reale. Per la sua storia personale, Lucifero appariva particolarmente adatto a riadattare la monarchia all’inevitabile tempo democratico. Mise al servizio di questo disegno la credibilità di nobile monarchico dall’adamantino vissuto socialista e antifascista. Era però, a leggere i suoi diari del 1944-1946, un’impresa oltremodo complicata. Anche i sostenitori dell’istituto monarchico avrebbero voluto la rinuncia di Umberto e procedere alla diretta successione del figlio Vittorio Emanuele, allora bambino di sette anni, accompagnato da una reggenza. In questo senso si mossero i liberali già attivi nel prefascismo. Non sfuggiva loro che la monarchia si era servita del fascismo per alimentare energie e forze nuove che ne ravvivassero la legittimità. Luigi Einaudi, per esempio, in esilio in Svizzera, con la principessa di Piemonte sostenne che Umberto di Savoia col fascismo si era «compromesso» (Diario dell’esilio, 1997, p. 45). Lucifero era conscio di queste difficoltà: vedeva la cautela e la prudenza di molti, pur favorevoli all’istituto monarchico, per non compromettersi con Umberto di Savoia, a cominciare da uomini di rilievo della gerarchia cattolica. I colori della luogotenenza erano quelli del crepuscolo, quasi a suggello dell’esaurirsi della funzione svolta dalla monarchia dei Savoia nel processo di unificazione nazionale. Né, del resto, essa pareva afferrare pienamente i caratteri inediti per l’Italia dell’articolazione del sistema democratico in formazione sul piano globale. Il peso dello stile regale dei Savoia, sfociato nella coabitazione inevitabile tra sistema oligarchico e democrazia totalitaria, condizionava il presente in cui si affermava un sistema plurale, articolato nei partiti che organizzavano le culture politiche degli italiani in vista di un nuovo edificio istituzionale democratico da edificare. Referente della Casa reale era quel che restava della classe dirigente liberale prefascista – da Croce a Vittorio Emanuele Orlando, da Ivanoe Bonomi a Francesco Saverio Nitti – rinvigorita da apporti delle nuove generazioni, come il cugino di Lucifero, Roberto. Per loro il fascismo era una parentesi e negavano fosse una fase che aveva segnato il difficile farsi della coabitazione nazionale. L’universo cattolico, al quale si guardava come alla forza che avrebbe potuto sostenere la monarchia nella realtà democratica, non solo era assai variegato, ma seguiva propri autonomi disegni. Fu Alcide De Gasperi ad ammonire Lucifero: «Non è poi detto che la Repubblica in Italia non possa essere moderata!» (L’ultimo re, p. 427). Il leader democristiano evidenziava la precarietà dell’assunto su cui si reggeva la causa monarchica, così come era stata impostata da Lucifero, quale sola barriera efficace alla minaccia del bolscevismo. Era una posizione speculare a quella di Pietro Nenni. Si ribadiva uno schema che era stato efficace nel passato, ma che nella nuova realtà perdeva la gran parte del suo senso. Se era palese la diffidenza nei riguardi della classe dirigente dei partiti del movimento operaio, a cominciare dai capi – Palmiro Togliatti e Nenni –, particolarmente viva era l’avversione nei confronti degli azionisti, da Sergio Fenoaltea sottosegretario del governo Bonomi a Ferruccio Parri presidente del Consiglio, da Ugo La Malfa a Emilio Lussu, e di radicali come il futuro presidente della Commissione dei Settantacinque Meuccio Ruini. Nei riflessi nazionali della revisione di cultura politica realizzata dalla sinistra democratica europea e americana tra le due guerre, che costituì l’originalità della proposta azionista, Lucifero intravedeva un insidioso avversario. In un certo senso rivelava la presenza di tratti trasformisti nello schema alla base del tentativo di riforma della monarchia dopo l’immersione nell’esperienza totalitaria. Dietro il rispetto delle forme, celava una sostanza – la testimonianza che ci ha lasciato Lucifero è esemplare in questo senso – di profondo sospetto nei confronti del Comitato di liberazione nazionale (CNL) e della rivendicazione del ruolo di guida della navigazione verso l’approdo democratico che, pur tra contrasti, esso conduceva. Ne è prova l’avversione di Lucifero per Parri, ritenuto «torbido», «capace di congiure e di porcherie», «settario» (pp. 451, 467), connotati sideralmente estranei alla ferma mitezza democratica del presidente del Consiglio uscente. Il suo governo era però considerato una soluzione di continuità e pertanto antagonista irriducibile della monarchia: per il suo superamento Lucifero molto si prodigò. Tuttavia a Parri non succedettero Nitti, Bonomi od Orlando, come era nelle attese e nelle speranze, ma De Gasperi, il cui ministero fu prosecuzione dell’esperienza del CLN e della faticosa costruzione per la prima volta di una vita democraticamente plurale. L’opera di Lucifero fu in questa fase volta a ricercare modi e forme che alla dichiarata neutralità della luogotenenza accompagnavano atteggiamenti antichi, con l’obiettivo di salvare la monarchia nel passaggio dalla dittatura del partito unico alla democrazia dei partiti. Così, non pareva avere tutti i torti il generale francese conosciuto nel gennaio del 1945 in casa della principessa Elvina Pallavicini, il quale, alla vigilia della crisi provocata dai liberali del governo Parri, gli chiese sornione «se mi interesso di Croce Rossa!», tanto che Lucifero commentò: «Si potrebbe dire che il generale sia un fine umorista!» (L’ultimo re, 2002, p. 444). Lucifero conseguì comunque risultati parziali incoraggianti. Contribuì a far prevalere l’ipotesi del referendum popolare, una richiesta dei monarchici in alternativa all’affidamento della scelta sulla questione istituzionale all’Assemblea Costituente. Il referendum – per i monarchici plebiscito – avrebbe in effetti fornito una formidabile legittimazione democratica alla forma di Stato cui si sarebbero affidati i votanti. Nonostante il frammentato e diviso universo monarchico, fu molto efficace la campagna incentrata, dopo l’abdicazione di Vittorio Emanuele III, sulla valorizzazione del giovane Umberto, della moglie Maria José e dei figli, allora bambini. Non fu però sufficiente: il referendum del 2-3 giugno 1946 decise per la Repubblica, sia pure confermando alcune forti e irrisolte fratture, a cominciare da quella tra il nord e il sud del Paese. La fase conclusiva della vicenda dinastica dei Savoia ebbe strascichi: furono enfatizzati dalla lentezza con cui giunsero i risultati – si votava per la prima volta dopo un ventennio e il referendum fu scrutinato solo dopo le schede dell’Assemblea Costituente –, dalle polemiche su come effettuare il conteggio (se sui voti validi o sull’insieme dei votanti), dai sospetti di brogli in favore della Repubblica: il ministro dell’Interno era il socialista Giuseppe Romita, eventualità che la luogotenenza aveva cercato di evitare. Un recente studio ha mostrato, avvalendosi del modello statistico sviluppato sulla base della legge di Benford, la natura cristallina del voto. Ha concluso che «l’assenza di evidenti anomalie nei test porta a escludere il dubbio di brogli elettorali tali da capovolgere l’esito referendario» (Mengotto - Venturini, 2012, p. 510). Lungi dall’essere edulcorato, il risultato rifletteva la volontà effettiva della maggioranza. E proprio per questo era fonte di amarezza per la monarchia giudicata non più adatta a rappresentare l’unità nazionale. Dopo i giorni convulsi successivi al risultato, partito il 13 giugno Umberto II di Savoia, ormai il 're di maggio', per l’esilio a Cascais, Lucifero ne fu sino alla morte, nel 1983, il fedele ministro della Real Casa. Come mostra il loro carteggio dei decenni seguenti, mantenne in nome del re i rapporti con le autorità laiche e religiose, lo rappresentò ufficialmente, intervenne a suo nome a sostegno delle persone e delle aree colpite dalle calamità naturali, come dalle stragi che da quella di piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969) in poi hanno condizionato il radicamento della democrazia repubblicana.
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