25 Marzo 2025
Il fenomeno dell’amnesia infantile, ovvero l’incapacità di ricordare i primi anni di vita, è stato a lungo attribuito all’immaturità dell’ippocampo, responsabile della memoria a lungo termine. Tuttavia, studi recenti suggeriscono che i neonati possano effettivamente immagazzinare ricordi, anche se questi potrebbero svanire o diventare inaccessibili con l’età.
Ricerche dell’Università di Yale hanno mostrato che i bambini sotto i due anni possiedono una memoria più sviluppata del previsto. Oltre alla memoria statistica, che aiuta a riconoscere schemi e favorisce lo sviluppo del linguaggio, i neonati sembrano anche in grado di formare ricordi episodici, legati a esperienze personali.
Le ipotesi per spiegare la perdita di questi ricordi sono due:
Non vengono trasferiti alla memoria a lungo termine, dissolvendosi nel tempo.
Restano nel cervello ma diventano inaccessibili, forse a causa dello sviluppo del linguaggio e dei cambiamenti nei processi di recupero delle informazioni.
Se confermata, questa seconda ipotesi implicherebbe che i ricordi infantili non siano scomparsi, ma semplicemente difficili da richiamare alla coscienza. Studiare meglio la memoria nei primi anni di vita potrebbe offrire nuove prospettive sullo sviluppo cognitivo e i meccanismi di apprendimento.
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