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Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Canta l'oblio della madre invece del woke morente: Cristicchi deve morire, la sua canzone è una lagna. Detto da gente che di musica mastica meno di niente, che spaccia l'attacco personale per critica

Lui al muro per i suoi spettacoli su san Francesco e le foibe, Mahmood, con una pantomima sinistra fra gender e Islam, osannato. Andiamoci piano a dire che Conti ha tolto il woke dal festival.

18 Febbraio 2025

Cristicchi a Sanremo

A Sanremo in estrema sintesi è accaduto quanto segue: un indossatore palestrato, Mahmood, si produce in un numero da baiadera da gay club con dietro una falange di ballerini coperti da capo a piedi, non manca il passamontagna, in una suggestione che può evocare la strage compiuta dall'Isis in Libia nel 2015 sulla pelle di 21 cristiani copti. Evocativa? Involontaria? Forse a lui, più pratico di marchi che di atrocità, concediamo il beneficio della sconoscenza, ma non saremmo altrettanto indulgenti con chi lo ha consigliato. Comunque la composizione, cercata o casuale, dei diversi tra due lobby, la genderfluid e la islamista che, apparentemente inconciliabili, convergono nell'obiettivo della distruzione del cristianesimo. Dall'altra parte, e di conseguenza, un autore credente, che racconta a teatro la vita di san Francesco e dedica una poesia musicata alla madre che non lo riconosce, una madre dalla mente che vola via come un frullo di farfalle dispettose, viene massacrato con argomenti inconsistenti, con pretesti meschini, di vertiginosa volgarità: melenso, patetico, ipocrita, e non mancano i sarcasmi sulla stessa madre, la più vulnerabile di tutti, la più innocente di tutti.

A Simone Cristicchi sparano addosso i sicari del woke morente che a Sanremo non si rassegna, Conti lo ha un po' imbavagliato ma non può domarlo. Lo accusano di pendere a destra, come fosse un crimine; e Cristicchi è tutto fuorché di destra, è uno che ha scelto un percorso mistico che può piacere e non piacere ma che non è lecito distorcere per puro capriccio. Dicono: questo Cristicchi deve morire, ha fatto un'opera teatrale sulle foibe. Nel plotone, i soliti dell'opinionismo giornalistico di sinistra, delle baggianate di sinistra, la senescenza petulante di queste Cuzzocrea, Serri o Merlo, i saccenti omnibus, gli apostoli del populismo qualunquistico riformista, gente che non si è mai occupata di musica e pretende di stroncare un brano con la seguente motivazione: mi sta antipatico, piange la madre. È mai stata viva questa gente? Ha mai avuto in casa qualcuno che non la riconosce più? Mia madre, come quella di Simone, quando andavo a trovarla, sorrideva: sai chi sono? “Certo, sei mio padre”, “sei mio fratello”. E si scava un abisso di pena e tenerezza che non sospetti finché non lo vivi. Il poeta questo abisso lo risolve in poesia, che altro dovrebbe, potrebbe fare?

Ma chi ha al posto del cuore una direttiva del PD (direbbe oggi Giovannino Guareschi) non ce la fa o non gl'importa. E siccome la canzone arriva, induce turbamenti e magari rimorsi, gli dà anche più fastidio così come irrita la buona fede di chi crede di portare una cosa bella, commovente. Il dibattito metafisico ricorda una faccenda bovina: ah, patetico, lacrimuccia, “arrangiamento povero”. Con tanto di orchestra che esce nel finale! La poesia musicata di Cristicchi riporta alla romanza sentimentale in stile colloquiale o recitativo e per non sbagliare interpello il mio amico Mario Ciferri, organista e direttore d'orchestra: “C'è una elaborazione per fasi in cui cui l'entrata in sordina, minimalista, affidata al solo pianoforte, lascia gradualmente il posto al violoncello affiancato dal violino in controcanto in apertura alla stratificazione strumentale, quindi all'enfasi dell'orchestra in crescendo, finché il dialogo di tutte le componenti sonore, tra di loro e con il cantato, si risolve in un ritorno narrativo, colloquiale, al pianoforte. Emozionante, senza dubbio, ma l'emozione si deve anche ad una costruzione molto attenta, molto elaborata”. Il Maestro Ciferri suona in tutto il mondo ed è un bachiano, un rigorista che alla musica di consumo concede meno di niente; un po' mi stranisce sentirlo così indulgente, ma su queste basi io giudico un pezzo, maneggiando almeno le basi della musicologia. Cioè faccio il mio mestiere, affidandomi ai competenti. Se no di che parliamo? Dei vibratori di Elodie? Delle descrizioni di descrizioni dell'emaciato Lucio Corsi in total griffe Gucci, uno spacciato per eccentrico quando è un concentrato del conformismo citazionista del glam anni '70, di cui copia perfino le mimiche espressive e nessuno se ne avvede?

Regna il primitivismo, il brutalismo dei blasè alla vaccinara, sempre pronti a sfoggiare il cinismo degli improvvisati, a coprire di male il bene e viceversa, a disprezzare ogni moto dell'anima; si distingue l'immancabile Lucarelli - ed è grottesco che proprio questi rimproverino agli apprendisti cantanti di Sanremo il velleitarismo, il piattume. Lucarelli passa dalle palette ballerine a quelle canore ed è tenuta su da Dagospia che non si capisce bene a quale titolo o funzione infierisca su Cristicchi. Il quale ha una colpa che non finirà di scontare: si è espresso contro l'utero in leasing, la compravendita di neonati, il raschiamento abortivo modaiolo; ad onta, osa portare a tutti una madre, sua madre, che evapora anziché predicarne la soppressione virtuosa “che economizza”, come ha detto un teorico, entusiasta. Come si permette questo Cristicchi che già dal cognome cova intollerabili suggestioni tradizionaliste? L'Italia è il Paese della Grande Bellezza ovvero ci facciamo schifo ma ci piacciamo così e se uno non è come noi gli spariamo nei coglioni. Must die, must die, Cristicchi must die. Magari affittiamo i ballerini di Mahmood, così, per chiudere esteticamente, evocativamente il cerchio.

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