10 Ottobre 2024
Sono trascorsi quasi 40 anni dal 7 gennaio 1978 e giustizia non è stata fatta. Non hanno ancora un nome i killer di Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni, giovanissimi militanti dell'allora Movimento Sociale trucidati nella sede del partito che portava proprio il nome della strada "Acca Larentia".
Il raid venne rivendicato dai Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale: "un nucleo armato...ha colpito i topi neri nell'esatto momento in cui questi stavano uscendo...".
I tre giovani attivisti trucidati per aver testimoniato la propria fede in un ideale possono (e debbono) a buon diritto essere definiti come "martiri".
Il termine martire ha, da tempo, trasceso l'originario perimetro religioso per assumere una valenza secolarizzata in una sorta di passaggio dalla religione alla teologia politica, alla politica aconfessionale.
Nel passaggio (e nella commistione) tra teologia e politica il termine acquisisce un notevole grado di ambivalenza.
Nella teologia politica il martirio diviene politico in quanto si secolarizza identificandosi (come è stato acutamente notato da Francesca Monasteri) nel "Pro patria mori".
Il martirio politico si identifica cioè con la testimonianza, attraverso la sacralizzazione della morte per la patria.
Nella rivendicazione dei killer dei martiri di via Acca Larentia ciò che viene in risalto è la negazione stessa dell'umanità degli uccisi attraverso la loro riduzione a pura "cosalità" a nuda vita liberamente eliminabile senza giuridiche conseguenze.
Tale ideologia reinvia alla sacrificabilità, nell'antico diritto romano, dell'"homo sacer": cioè di colui che può essere ucciso senza che l'uccisore possa subire una pena giuridica o una legittima vendetta.
E da tale homo sacer Giorgio Agamben ricaverà la sua analisi dei soggetti sottoposti ad un potere così assoluto da poterne decidere, senza giuridiche conseguenze, la stessa soppressione: nuda vita, totalmente disumanizzata. Nuda vita in cui la vita umana non è più sacrificata ma semplicemente "liquidata" in una sorta di massacro a sangue freddo che è poco più di un "incidente politico".
I ragazzi uccisi all'Acca Larentia risultano invece correttamente inseriti all'interno di una teologia "politica" del martirio.
Furono scelti ed uccisi in quanto portatori di un ideale politico che aveva come elemento valoriale identitario il concetto di "patria", il concetto di nazione inteso come unione di persone unite da terra, sangue, diritto di tal che la stessa definizione di martire dipende in stretto rapporto causale con quello di patria.
Furono "martiri" perchè "patrioti" uccisi dai portatori di un'ideologia efferata tesa a scardinare la sacralità del concetto di patria e di nazione in favore di una "straniazione" dell'individuo in ogni luogo dentro e fuori la propria patria.
Nella teologia di tipo religioso (quale ad esempio quella terroristica di matrice islamica) risulta invece martire l'uccisore, colui che compie l'azione dell'uccidere e che, in tali azioni, perde la propria vita per suicidio o in forza della reazione degli aggrediti.
Da ciò discende che il martire (e riprendo le parole di M.G. Recupero) sia una figura perturbante da un punto di vista etico - politico come si constata sin dal linguaggio comune: da una parte l'utilizzo dei termini martire e vittima come sinonimi, pur non essendolo, insiste sulla passivitià del perseguitato. Dall'altra, all'opposto, si associa il martirio alla pubblica esibizione (come nel terrorismo religioso di matrice islamica) di un istinto suicida di norma innescato ideologicamente.
Separando senza cogliere, in entrambi i casi, l'indecidibilità tra il gesto attivo (ethos) del volersi immolare e l'accadimento passivo (pathos) dell'essere immolati.
Separare le tue diverse accezioni del termine risulta fondamentale.
Nel martirio del "pro patria mori" si riscatta la vittima dalla passività ribaltando i rapporti tra forza e debolezza, tra chi può (l'uccisore) e chi non può (l'ucciso), tra chi comanda e chi ubbidisce.
Soccorrono, sul punto, le parole di Kierkegaard: "Un vero martire non ha mai usato la potenza ma ha lottato mediante l'impotenza. Egli ha costretto gli uomini a diventare attenti. Certo, essi divennero attenti ed infatti l'uccisero".
Da qui discende la vera superiorità del martire che rende gli uccisori colpevoli di ammazzarlo in quella sfera etica in cui si vince perdendo tutto.
La lezione che ancora oggi ci viene dai martiri di Acca Larentia è proprio questa: che non si può costringere un uomo a rinnegare le proprie convinzioni valoriali ed etiche quando egli non sia disposto a lasciare la sua vita per questo.
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