13 Luglio 2024
Il libro di Vittorio Sgarbi (ed. La nave di Teseo, pp.96, 2024) non ha l'obiettivo di approfondire il complesso legame tra arte e ideologie: in realtà, la storia dell'arte ha affrontato questo tema in modi diversi nel corso del tempo, ottenendo risultati differenti. Nel secolo scorso, la critica marxista ha avuto un ruolo fondamentale in questo ambito, teorizzando che le opere d'arte sono sempre il prodotto di un'azione sociale e politica. Secondo questa visione, ogni opera viene interpretata come una forma di propaganda: un'idea sostenuta da storici come Arnold Hauser nella sua "Storia sociale dell'arte" in cui i movimenti artistici e le singole opere sono espressioni del contesto socio-politico in cui sono nate. Ad esempio, l'Impressionismo viene interpretato come propaganda della società borghese parigina, mentre altre correnti artistiche come il Barocco o il Rinascimento sono viste come espressione di specifiche ideologie dominanti. Tuttavia, ridurre l'arte a mera propaganda è una semplificazione eccessiva se non del tutto errata come ha messo in evidenza Gombrich in una sua critica alla ‘Storia sociale dell’arte’. L'opera d'arte possiede una sua intrinseca complessità e autonomia, che non può essere esaurita unicamente dal suo contesto storico-politico.
In definitiva, il rapporto tra arte e ideologie è una questione complessa e sfaccettata, che non può essere ridotta a una formula univoca. Ogni opera d'arte va analizzata nel suo contesto specifico, tenendo conto di molteplici fattori: il periodo storico, la cultura di riferimento, le intenzioni dell'artista, la ricezione del pubblico e così via. Durante la seconda guerra mondiale, anni cruciali per lo spostamento della capitale mondiale dell’arte da Parigi a New York, cosa sia successo in Italia lo potremmo desumere da due mostre: il premio Cremona tenutosi dal ‘39 al ‘41, che differiva dal premio Bergamo degli stessi anni, più in sintonia con l’arte francese. Il Cremona si legava al gerarca Farinacci, desideroso di un connubio tra le arti visive e il regime (simile al Realismo socialista imposto da Stalin negli stessi anni), a differenza del ministro Bottai, che istituì un altro premio a Bergamo, di stile più continentale, dal quale poi uscirono nel dopoguerra nomi come Guttuso, Montanarini, Rosai, Capogrossi e che ebbero successo, rinnegando i loro trascorsi, come tanti italiani. Sgarbi quindi decide di fare una indagine all’insegna di un concetto: “Non c’è arte nel Fascismo, non c’è Fascismo nell’arte” che è anche il sottotitolo del libro, andando a confutare indirettamente l’idea di Giulio Carlo Argan (1909-1992 - che fu anche nella commissione del premio Cremona), secondo cui quella pittura era “pessima pittura”. Il manuale di storia dell’arte di Giulio Carlo Argan oltretutto è stato un testo fondamentale per l’insegnamento dell’arte nelle scuole superiori italiane. Come dicevamo il rapporto arte e ideologie è sempre da analizzare attentamente: non necessariamente sono legate, né vi é responsabilità certa degli artisti per gli eventi politici a cui non hanno voluto o potuto opporsi; oppure non vi era alcuna intenzione o partecipazione da parte loro, essendo solo dei cronisti degli eventi, o come poeti, assolutamente estranei alle dinamiche dell’attualità e alla funzione utilitaristica dell'arte Così Sgarbi assolve gli artisti del premio Cremona che appunto sono stati rimossi dalla storia ufficiale “...per un grave peccato di presunzione della critica” ma così facendo assolve anche gli intellettuali che peccano quotidianamente di eccesso di zelo ideologico e manicheismo svincolandoli dalla loro opera, ancor piu' se pittorica o poetica; e anche gli storici dell’arte costretti loro malgrado al soldo di qualcuno. Pure Argan in effetti, può considerarsi colpevole di aver fatto parte della commissione di un premio fascista, così come anche gli artisti del premio Bergamo, poi divenuti ferventi comunisti nel dopoguerra (addirittura Argan sindaco di Roma nel 1976). In buona sostanza dovremmo ‘buttare l’acqua sporca col bambino’, se decidessimo di considerare le opinioni politiche di un artista ‘sempre’ determinanti per il giudizio sulla sua opera. In questa contraddizione si colloca questo lavoro di Sgarbi che ricorda un po' Giampaolo Pansa. Un difficile impegno che forse meritava qualche pagina in più vista l’eterogeneità dei casi riservati agli artisti: si pensi all’assenza del tedesco Arno Breker, ad esempio, lo scultore di Hitler, che nel dopoguerra lamentava di essere stato messo da parte... mentre i quadri degli oppositori furono dati alle fiamme nel ‘37 a Berlino, oppure esposti al pubblico ludibrio nella sprezzante mostra dell’Arte Degenerata tenutasi in quegli anni a Monaco di Baviera. Casi interessanti che avrebbero dato maggior corpo al testo.
In conclusione, il lavoro di Vittorio Sgarbi rappresenta un contributo alla comprensione del complesso rapporto tra arte e ideologie, con il coraggio di sfidare le convenzioni critiche. Sgarbi offre una prospettiva che invita a riflettere sulla vera natura dell’arte e sulla sua autonomia rispetto ai contesti politici oltre che a radunare dei quadri che destano comunque un interesse storico documentale, nonché artistico se inquadrati nell'ottica dell'arte sotto le dittature. In breve, piace questa dedizione appassionata alla verità artistica che ci permette di apprezzare l’arte in tutta la sua complessità e bellezza, libera da pregiudizi ideologici.
Di Davide Tedeschini.
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