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La spettacolare “Les Cariatides” del pittore belga Paul Delvaux, una tra le composizioni più celebri e conosciute della sua opera

Le cariatidi sono figure, solitamente femminili, scolpite, usate in luogo di colonna o di pilastro a sostegno di membrature architettoniche; in senso figurato “fare la cariatide” vuol dire rimanere immobile, del tutto estraneo a quanto si svolge intorno alla propria persona

14 Aprile 2024

La spettacolare “Les Cariatides” del pittore belga Paul Delvaux, una tra le composizioni più celebri e conosciute della sua opera

“Le Cariatidi” (“Les Cariatides”) è un dipinto olio su tela di 55,2 x 83,8 cm realizzato nel 1946 dal pittore belga Paul Delvaux (Antheit, 23 settembre 1897 – Furnes, 20 luglio 1994).

Le cariatidi sono figure, solitamente femminili, scolpite, usate in luogo di colonna o di pilastro a sostegno di membrature architettoniche; in senso figurato “fare la cariatide” vuol dire rimanere immobile, del tutto estraneo a quanto si svolge intorno alla propria persona. 

Il padre di Paul Delvaux era un avvocato e la madre una cantante lirica (soprano) ed egli passò un'infanzia economicamente agiata, durante la quale poté prendere lezioni di musica e studiare greco e latino.

Queste letture influenzarono le sue opere giovanili, in cui i temi preferiti sono scene mitologiche.

Nonostante la disapprovazione dei genitori, fra il 1920 e il 1924 Delvaux studiò pittura e architettura all'Accademia di Belle Arti di Bruxelles.

Nel 1925 tenne la sua prima mostra personale, presentando idilliaci paesaggi naturali resi su tela attraverso un neonaturalismo primitivista, solo parzialmente influenzato dall'impressionismo e dall'espressionismo tedesco.

Negli anni seguenti lo stile di Delvaux si evolve radicalmente.

Questo cambiamento fu dovuto al fascino provato nei confronti dell'arte di Giorgio De Chirico e di René Magritte, in particolare per la rappresentazione distaccata di oggetti ordinari presentati in accostamenti inattesi.

Anche le creazioni di James Ensor, di Salvador Dalí, di Max Ernst, di Joan Miró e di Claude Roy Balthus lo impressionarono a tal punto che si unì al movimento surrealista, partecipando ad alcune loro esposizioni e distruggendo la maggior parte delle sue opere precedenti.

In realtà Delvaux non si considerò mai come un vero surrealista, pensando alla sua arte come ad un classicismo rinnovato attraverso il quale trasportare sulla tela la poesia ed il mistero della vita moderna.

Nel 1973 ha tra l’altro dipinto un quadro intitolato “Ruins of Selinunte” (“Le rovine di Selinunte” - nota località archeologica della Sicilia occidentale oggi anche meta estiva dei più importanti leader dell’economia globale) e viene poi citato nel libro dello scrittore siciliano Leonardo Sciascia, oggi ormai un classico ed un tempo anche adottato come testo di narrativa nella scuola dell’obbligo italiana, “Todo Modo” del 1974.

La spettacolare “Les Cariatides” di Delvaux è tra le composizioni più celebri e conosciute della sua opera. Dal suo completamento nel 1946, questo quadro monumentale è considerato uno degli esempi più affascinanti dell'arte tardo surrealista. Sebbene i dipinti di Delvaux siano rinomati per i loro scenari allucinatori e le immagini oniriche, l'artista ha affermato di non essere un sostenitore degli scritti di Sigmund Freud e di non avere investito le sue composizioni con i palesi riferimenti psicoanalitici che erano favoriti da Dalí, Miró e dal suo colleghi Belga, René Magritte. L'approccio di Delvaux alla pittura era più sottile nella sua rappresentazione del perturbante: senza essere apertamente grottesco o offensivo con le sue immagini, interrompeva la pace e la banalità di una determinata scena con istanze del bizzarro. Molte di queste immagini presentano un ambiente architettonico convenzionale, come una stazione ferroviaria, una loggia o un angolo di strada, popolato da donne inespressive e stranamente senza vita, solitamente raffigurate nude. La passività di queste donne ricorda la dolce bellezza di un Botticelli o l'impeccabilità di un Bouguereau e aggiunge un certo senso di atemporalità alla composizione. La sfacciataggine e l'inappropriatezza contestuale della loro nudità, tuttavia, lascia lo spettatore a contemplare la narrativa sconcertante della composizione.

Dati i dettagli architettonici classici con cariatidi e un tempio e trabeazione in stile Partenone sullo sfondo, la scena qui sembra ambientata nell'antica Grecia. Ma la nudità gratuita delle figure, accentuata dall'intenso realismo del corpo non rasato della donna sdraiata, porta questa immagine altrimenti neoclassica a un livello di assurdità che può essere raggiunto solo da un maestro surrealista. Come le inquietanti scene di strada di De Chirico, la rigidità dell'architettura e le ombre drammatiche creano una palpabile sensazione di enigmatica incertezza.

Delvaux è sempre stato affascinato dagli effetti di luce e ombra nei suoi quadri, e la sua maestria nel manipolare il colore a tal fine è dimostrata in modo piuttosto bello in quest'opera. Mentre il bagliore del sole al tramonto proietta una luce dorata sull'orizzonte, le figure proiettano ombre imponenti. La scena nel suo insieme assume un'incandescenza inquietante, e lo spettatore è quindi lasciato a considerare le stranezze di questa "zona crepuscolare".

Discutendo del fascino di Delvaux per la luce nei suoi dipinti, la critica d’arte Barbara Emerson ha scritto: "Delvaux usa la luce con grande effetto, quasi come se stesse manipolando l'attrezzatura teatrale di spot e dimmer. Con consumata abilità, contrasta i freddi raggi bianchi della luce della luna con il caldo, dolce bagliore di una lampada a olio" (Barbara Emerson, Delvaux, Paris and Antwerp, 1985, p. 174).

Come per la maggior parte dei suoi dipinti, il significato di questa scena è alquanto oscuro e si possono fare diverse ipotesi sul rapporto tra le due donne. Ma per tutta la sua vita, l'artista si è opposto a fornire qualsiasi tipo di narrativa per queste immagini, affermando abbastanza chiaramente: "Non sento il bisogno di dare una spiegazione temporale di ciò che faccio, né sento il bisogno di rendere conto dei miei soggetti umani che esistono solo ai fini della mia pittura. Queste figure non raccontano storia: semplicemente sono. Inoltre, non esprimono nulla in se stesse..." (citato in Paul Delvaux, 1897-1984 (catalogo della mostra), Royal Museum of Fine Arts, Bruxelles, 1997, citato in. p. 22).

Il dipinto appartiene oggi ad un collezionista privato non noto al pubblico che lo ha acquistato per 9.042.500 dollari (oggi pari a circa 7,9 milioni di €) il 3 maggio del 2011 ad un’asta tenuta a New York dalla famosa casa d’aste Sotheby’s. L’asta partiva da un valore stimato dell’opera compreso  tra i 3 ed i 5 milioni di dollari ed è stata scandita da numerosi rilanci. In precedenza l’opera era appartenuta all’artista belga Emile Langui, che la aveva acquistata direttamente dall’autore e che la ha trasmessa in eredità ai propri eredi i quali la hanno poi ceduta ai collezionisti privati che l’hanno infine venduta a New York. 

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