18 Dicembre 2023
Che cosa vuoi ancora, vecchio bastardo, rompicoglioni d’un vecchio che non si decide a sparire, che ancora mi perseguiti con le tue canzoni? No, non starò a scavare una volta di più nella tua mitologia consumata, come fanno tutti, non continuerò con quella assurda vita che non vuol saperne di troncarsi. Ci pensasse chi non ha idee. Chi non ha sentimento di te, Keith Richards, maledetto d’un vecchio che sei sempre stato vecchio, io ti ho incontrato a 14 anni, nel ‘78, e già puzzavi di dinosauro, ma tu te ne fregavi e saresti stato ancora nella prima parte della tua eternità. Sono corsi via altri 45 anni e sei sempre lo stesso vecchio, stravecchio, ultravecchio ma ci hai fottuti tutti perché rotolando rotolando eri sempre nel tempo ma fuori dal tempo: a ritrovarmi decrepito son io, che ancora ti inseguo, più malato di ieri. Più malato di te. Con 20 anni di meno. Con la vita di meno. Ma tu mi hai insegnato una cosa che pochi hanno, l’anima, il soul. Non è questione di tecnica, tu ce l’avevi, bastardo che sei, ma la tenevi indietro per fare uscire l’anima: una nota tua era dieci, cento di chiunque altro. Come Chet Baker. Eh, questi grandi drogati, se la sanno lunga! Cosa cazzo vuoi ancora, che mi perseguiti a 80 anni compiuti oggi con una canzone come Tell Me Straight? E troppo corta l’hai fatta, apposta, così uno non ne ha abbastanza. Musica adulta, che non mente, che rispetta chi la sente. Non corre dietro a un cazzo di moda di nessuno. Musica vecchia, oltre il tempo. Immensa. Si parla di un addio, ecco tutto. “Questa cosa come la cominciamo, come la finiamo?”. E il cuore ti esplode in schegge, perché, Cristo santo, è di me che parli. È il momento in cui passi dalla percezione di eternità all’ammissione di mortalità. Cosa cerchi ancora, con la tua determinazione granitica, la fusione assoluta, con quella convinzione patetica nella musica, la tua musica, la vita che sei, che è l’unica che hai mai avuto? Perché ancora mi tormenti, perché non mi lasci stare? Hackney Diamonds è un bel disco, inaspettatamente bello, all’inizio non mi pareva, ma ero sconvolto, pieno di morfina, davo i numeri e ho dovuto strapparmela via ed è stato, beh, lo sai come è stato, e mi son tenuto tutti i dolori, invece è proprio una cosa grande questo album, scivola sull’epoca e colpisce, anche se carogna: diciotto anni l’ho aspettato e in 18 anni ti nasce un figlio e ti vola via, va per la sua strada; diciotto anni ad aspettarlo, ‘sto disco e poi mi arriva che sto in ospedale tutto sfasciato e per giunta un tumore: lo vedi come siete? E per tutto il tempo non riuscivo a sentirlo, perché non è così che deve andare. Ma la vita non va mai come deve, me l’hai insegnato tu, è una tragedia ma è anche “una cosa buffa” e l’importante è uscirne sempre vivi, possibilmente a testa alta. Cos’altro vuoi da me, con quel lampo che non si spegne negli occhi, da bambino e da cane, quel sorriso da cane, quel buttarsi via di chi ha plasmato come nessuno il rock, e lo sa, ma non la fa lunga, quell’umiltà superba di chi ha altro da fare, quello stupore di chi ha visto tutto ma proprio tutto, eppure non gli basta, perché è un artista, perché c’è sempre qualcosa da scoprire, anche a 80 anni, anche se hai un miliardo di dollari e non più la forza di peccare ancora? In quel saliscendi, quel superarsi sempre con Mick, ora avanti lui, adesso rimonti tu, e poi mi tocca parlare di questo disco così, lottando anch’io per il tempo che resta. “Il mio futuro è tutto nel mio passato?”. Così non vale però, tu non puoi dirmi un verso come questo, proprio adesso, come sono messo, e farmi un assolo di tre note che valgono mille. Insomma cosa vuoi ancora, perché insisti nell’infliggermi il tuo blues? Non ti basta avermi segnato la vita di graffi, di errori, di eccessi che adesso sto scontando? E non riesco a volertene, perché quello che mi hai dischiuso però è molto di più. “Come ci perdiamo? Come ci separiamo?”. La vita è tutta una separazione, un futuro nel passato, un tempo che si riavvolge, e stritola, e cancella, ma tu ci sei sempre stato per me. E non andrai via mai, mai, perché la tua paranoica patetica devozione alla musica va oltre, avvolge il mondo, avvolge anche me che ho imparato a scrivere con una spalla rotta, il braccio che va dove cazzo gli pare, ma non mi do per vinto vedendo te suonare con le dita impossibili devastate dall’artrite eppure lo fai, magari sbagli, magari cavi fuori un miracolo ma sorridi ancora con gli occhi da bambino e da cane, sei felice e me lo dici, e io non ho più paura di morire e nemmeno di piangere, penso che conquistarsi l’eternità da vivo è l’impresa più disperata, il trionfo più difficile.
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