05 Ottobre 2023
Anish Kapoor
Anish Kapoor propone un originale dialogo con gli spazi di Palazzo Strozzi a Firenze attraverso una grande mostra che include una nuova opera immersiva per il cortile rinascimentale. Il progetto, a cura di Arturo Galansino, Direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi, propone un percorso tra monumentali installazioni, ambienti intimi e forme conturbanti, creando un originale e coinvolgente dialogo tra l’arte di Anish Kapoor, l’architettura e il pubblico di Palazzo Strozzi. Attraverso opere storiche e recenti, tra cui una nuova produzione specificatamente ideata in dialogo con l’architettura del cortile rinascimentale, la mostra rappresenta l’opportunità di entrare in contatto diretto con l’arte di Kapoor nella sua versatilità, discordanza, entropia ed effimerità. Palazzo Strozzi diviene un luogo concavo e convesso, integro e frantumato allo stesso tempo in cui il visitatore è chiamato a mettere in discussione i propri sensi. Nell’arte di Anish Kapoor, l'irreale (unreal) si mescola con l'inverosimile (untrue), trasformando o negando la comune percezione della realtà. Ci invita a esplorare un mondo in cui i confini tra vero e falso si dissolvono, aprendo le porte alla dimensione dell'impossibile. Caratteristica distintiva è il modo in cui le sue opere trascendono la loro materialità. Pigmento, pietra, acciaio, cera e silicone, per citare solo alcuni dei materiali con cui lavora, vengono manipolati, scolpiti, levigati, saturati e trattati mettendo in discussione il confine tra plasticità e immaterialità. Il colore in Kapoor non è semplicemente materia e tonalità, ma diventa un fenomeno immersivo, dotato di un proprio volume, spaziale e illusorio allo stesso tempo. Le opere di Anish Kapoor uniscono spazi vuoti e pieni, superfici assorbenti e riflettenti, forme geometriche e biomorfe. Rifuggendo categorizzazioni e distinguendosi per un linguaggio visivo unico che unisce pittura, scultura e forme architettoniche, Kapoor indaga lo spazio e il tempo, il dentro e il fuori, invitandoci a esplorare i limiti e le potenzialità del nostro rapporto con il mondo che ci circonda e a riflettere su dualismi come corpo e mente, natura e artificio. Le sue opere suscitano stupore e inquietudine, mettendo in discussione ogni certezza e sollecitandoci ad abbracciare la complessità. In un mondo in cui la realtà sembra sempre più sfuggente e manipolabile, Anish Kapoor ci sfida a cercare la verità oltre le apparenze, invitandoci a esplorare il territorio dell'inverosimile e dell'irreale, untrue e unreal. Anish Kapoor. Untrue Unreal si sviluppa negli spazi di Palazzo Strozzi tra le sale del Piano Nobile e il cortile rinascimentale, in un viaggio attraverso la variegata pratica artistica di Kapoor, che mette in discussione le nozioni di forma e informe, finzione e realtà. Al centro del cortile si erge Void Pavillion VII (Il padiglione del vuoto VII, 2023), nuova opera di Anish Kapoor specificatamente ideata per il cortile di Palazzo Strozzi e realizzata grazie al sostegno della Fondazione Hillary Merkus Recordati. Il grande padiglione si pone allo stesso tempo come punto di partenza e di approdo nel dialogo tra l’arte di Kapoor e Palazzo Strozzi. Entrando in questo spazio, i visitatori si trovano di fronte a tre ampie forme rettangolari vuote in cui lo sguardo è invitato a immergersi, in un’esperienza meditativa su spazio, prospettiva e tempo, che sconvolge la razionale struttura geometrica e l’emblematica armonia dell’edificio rinascimentale. Al Piano Nobile la mostra inizia con l’iconica opera Svayambhu (2007), termine sanscrito che definisce ciò che si genera autonomamente, corrispettivo delle immagini acheropìte cristiane non dipinte da mano umana. Il lavoro propone una riflessione dialettica tra vuoto e materia: un monumentale blocco di cera rossa si muove lentamente tra due sale di Palazzo Strozzi, plasmando la sua materia informe nel rapporto con l'architettura che attraversa. Quest’opera si pone in dialogo con Endless Column (Colonna infinita, 1992), che fa esplicito riferimento alla celebre omonima scultura di Constantin Brâncuși. La colonna in pigmento rosso di Kapoor sembra oltrepassare i limiti del pavimento e del soffitto della sala, creando una sensazione di fisicità architettonica eterea, metafora del legame tra terra e cosmo. Su una diversa scala, ma con lo stesso effetto spaziale e architettonico, si pone To Reflect an Intimate Part of the Red (Per riflettere una parte intima del rosso, 1981), opera fondamentale nella carriera di Kapoor nella sua affermazione sulla scena internazionale come una delle più originali voci nell'arte contemporanea: un suggestivo insieme di forme in pigmento giallo e rosso che emergono dal pavimento, fragili, quasi ultraterrene ma potentemente presenti. In Non-Object Black (Non-oggetto nero, 2015) – caratterizzato dall’uso del Vantablack, materiale altamente innovativo capace di assorbire più del 99,9% della luce visibile – Kapoor mette in discussione l'idea stessa di oggetto fisico e tangibile, presentandoci forme che si dissolvono al passaggio dello sguardo. In questi lavori rivoluzionari e di forte impatto, Kapoor ci spinge a interrogarci sulla nozione stessa dell’essere, proponendo una riflessione non solo sull’oggettualità ma sull'immaterialità che permea il nostro mondo. Questa forte esperienza del non-oggetto continua in Gathering Clouds (Nuvole che si addensano, 2014), forme concave monocrome che assorbono lo spazio circostante in una oscurità meditativa. L’arte di Kapoor offre infatti un nuovo modo di vedere e pensare a come viviamo la "realtà", grazie al suo uso unico di forma e saturazione, in opere permeate da una profonda connotazione psicologica. La carne, la materia organica, il corpo e il sangue sono temi ricorrenti e fondamentali nella ricerca di Kapoor. Un’intera sala della mostra è dedicata a opere in cui l’artista si confronta con ciò che appare come un'intimità sventrata e devastata in una dimensione entropica e abietta del corpo. La grande scultura in acciaio e resina A Blackish Fluid Excavation (Scavo con fluido nerastro, 2018) evoca un incavo uterino contorto che attraversa lo spazio e i sensi dello spettatore. Nelle opere esposte a parete Kapoor unisce invece la pittura e il silicone dando origine a forme fluide che ci appaiono come masse viscerali, che sembrano pulsare di vita propria. Le strutture si contorcono, si espandono e si contraggono, proponendo un senso di movimento e di trasformazione continua, ma anche una forte sensualità tattile che emerge dall’interazione tra le sensazioni di morbidezza e solidità, organicità e linearità. Evocano queste suggestioni gli stessi titoli delle opere: First Milk (Primo latte, 2015), Tongue Memory (Ricordo della lingua, 2016), Today You Will Be in Paradise (Oggi sarai in paradiso, 2016), Three Days of Mourning (Tre giorni di lutto, 2016). La tradizionale nozione di confini e la dicotomia tra soggetto e oggetto sono temi centrali invece in opere specchianti come Vertigo (Vertigine, 2006), Mirror (Specchio, 2018) e Newborn (Neonato, 2019), ispirato ancora una volta alle sperimentazioni formali di Brâncuși. Attraverso le riflessioni di queste opere, ciò che si specchia entra in una dimensione illusoria che sembra smentire le leggi della fisica. Queste grandi sculture, infatti, riflettono e deformano lo spazio circostante e lo ingrandiscono, riducono e moltiplicano, creando una sensazione di irrealtà e destabilizzazione e attirando lo spettatore nello spazio indefinito che emanano. Conclusione del percorso espositivo al Piano Nobile è la sala dedicata all’opera Angel (Angelo, 1990), grandi pietre di ardesia ricoperte da strati di pigmento blu intenso. Questi pesanti massi appaiono in contraddizione con il loro aspetto incorporeo: sembrano infatti solidificare l’aria e suggerire la trasformazione di lastre di ardesia in pezzi di cielo, trasfigurando così l’idea di purezza in un elemento fisico. Kapoor altera la forte materialità dell’opera ed evoca così un senso di mistero che risponde all’ambizione di matrice esoterica di raggiungimento della fusione degli opposti. La mostra è promossa e organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi. Main Supporter: Fondazione CR Firenze. Sostenitori: Comune di Firenze, Regione Toscana, Camera di Commercio di Firenze, Comitato dei Partner di Palazzo Strozzi. Main Partner: Intesa Sanpaolo. Con il contributo di Città Metropolitana di Firenze. Con il supporto di Maria Manetti Shrem e Fondazione Hillary Merkus Recordati. Si ringrazia Galleria Continua. La mostra si inserisce nell’ambito della Florence Art Week, iniziativa promossa dal Comune di Firenze in programma dal 28 settembre all’8 ottobre 2023.
Anish Kapoor
Anish Kapoor è uno dei più influenti artisti del nostro tempo. Nato a Mumbai, in India, nel 1954, Anish Kapoor ha vissuto e lavorato a Londra a partire dalla metà degli anni Settanta studiando presso l'Hornsey College of Art e il Chelsea College of Art. Attualmente vive e lavora tra Londra e Venezia. Le sue opere sono esposte nelle più importanti collezioni permanenti e nei musei di tutto il mondo, dal Museum of Modern Art di New York alla Tate di Londra, alla Fondazione Prada di Milano, ai Musei Guggenheim di Venezia, Bilbao e Abu Dhabi. Recenti mostre personali si sono tenute presso: Galleria dell’Accademia e Palazzo Manfrin, Venezia (2022); Modern Art Oxford (2021); Houghton Hall, Norfolk (2020); Pinakothek der Moderne, Monaco (2020); Central Academy of Fine Arts Museum and Imperial Ancestral Temple, Pechino (2019); Fundación Proa, Buenos Aires (2019); Serralves, Museu de Arte Contemporânea, Porto (2018); Museo Universitario Arte Contemporáneo (MUAC), Città del Messico (2016); Reggia di Versailles, Francia (2015); Jewish Museum and Tolerance Center, Mosca (2015); Walter Gropius Bau, Berlino (2013); Sakip Sabanci Muzesi, Istanbul (2013); Museum of Contemporary Art, Sydney (2012). Anish Kapoor ha rappresentato la Gran Bretagna alla 44. Biennale di Venezia nel 1990, dove ha ricevuto il Premio Duemila. Nel 1991 ha vinto il Premio Turner e in seguito ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali. Noto anche per le sue opere architettoniche, tra i progetti pubblici che ha realizzato ricordiamo: Cloud Gate (2004), Millennium Park, Chicago, USA; Leviathan (2011) esposto a Monumenta 2011, Parigi; Orbit (2012), Queen Elizabeth Olympic Park, Londra; Ark Nova, sala da concerto gonfiabile creata per il Lucerne Festival in Giappone (2013); Descension (2014) installata al Brooklyn Bridge Park, New York, USA (2017); le fermate della metropolitana di Napoli (Traiano e Università-Monte S. Angelo) in completamento nel 2024. Anish Kapoor propone un originale dialogo con gli spazi di Palazzo Strozzi a Firenze attraverso una grande mostra che include una nuova opera immersiva per il cortile rinascimentale. Il progetto, a cura di Arturo Galansino, Direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi, propone un percorso tra monumentali installazioni, ambienti intimi e forme conturbanti, creando un originale e coinvolgente dialogo tra l’arte di Anish Kapoor, l’architettura e il pubblico di Palazzo Strozzi. Attraverso opere storiche e recenti, tra cui una nuova produzione specificatamente ideata in dialogo con l’architettura del cortile rinascimentale, la mostra rappresenta l’opportunità di entrare in contatto diretto con l’arte di Kapoor nella sua versatilità, discordanza, entropia ed effimerità. Palazzo Strozzi diviene un luogo concavo e convesso, integro e frantumato allo stesso tempo in cui il visitatore è chiamato a mettere in discussione i propri sensi. Nell’arte di Anish Kapoor, l'irreale (unreal) si mescola con l'inverosimile (untrue), trasformando o negando la comune percezione della realtà. Ci invita a esplorare un mondo in cui i confini tra vero e falso si dissolvono, aprendo le porte alla dimensione dell'impossibile. Caratteristica distintiva è il modo in cui le sue opere trascendono la loro materialità. Pigmento, pietra, acciaio, cera e silicone, per citare solo alcuni dei materiali con cui lavora, vengono manipolati, scolpiti, levigati, saturati e trattati mettendo in discussione il confine tra plasticità e immaterialità. Il colore in Kapoor non è semplicemente materia e tonalità, ma diventa un fenomeno immersivo, dotato di un proprio volume, spaziale e illusorio allo stesso tempo. Le opere di Anish Kapoor uniscono spazi vuoti e pieni, superfici assorbenti e riflettenti, forme geometriche e biomorfe. Rifuggendo categorizzazioni e distinguendosi per un linguaggio visivo unico che unisce pittura, scultura e forme architettoniche, Kapoor indaga lo spazio e il tempo, il dentro e il fuori, invitandoci a esplorare i limiti e le potenzialità del nostro rapporto con il mondo che ci circonda e a riflettere su dualismi come corpo e mente, natura e artificio. Le sue opere suscitano stupore e inquietudine, mettendo in discussione ogni certezza e sollecitandoci ad abbracciare la complessità. In un mondo in cui la realtà sembra sempre più sfuggente e manipolabile, Anish Kapoor ci sfida a cercare la verità oltre le apparenze, invitandoci a esplorare il territorio dell'inverosimile e dell'irreale, untrue e unreal. Anish Kapoor. Untrue Unreal si sviluppa negli spazi di Palazzo Strozzi tra le sale del Piano Nobile e il cortile rinascimentale, in un viaggio attraverso la variegata pratica artistica di Kapoor, che mette in discussione le nozioni di forma e informe, finzione e realtà. Al centro del cortile si erge Void Pavillion VII (Il padiglione del vuoto VII, 2023), nuova opera di Anish Kapoor specificatamente ideata per il cortile di Palazzo Strozzi e realizzata grazie al sostegno della Fondazione Hillary Merkus Recordati. Il grande padiglione si pone allo stesso tempo come punto di partenza e di approdo nel dialogo tra l’arte di Kapoor e Palazzo Strozzi. Entrando in questo spazio, i visitatori si trovano di fronte a tre ampie forme rettangolari vuote in cui lo sguardo è invitato a immergersi, in un’esperienza meditativa su spazio, prospettiva e tempo, che sconvolge la razionale struttura geometrica e l’emblematica armonia dell’edificio rinascimentale. Al Piano Nobile la mostra inizia con l’iconica opera Svayambhu (2007), termine sanscrito che definisce ciò che si genera autonomamente, corrispettivo delle immagini acheropìte cristiane non dipinte da mano umana. Il lavoro propone una riflessione dialettica tra vuoto e materia: un monumentale blocco di cera rossa si muove lentamente tra due sale di Palazzo Strozzi, plasmando la sua materia informe nel rapporto con l'architettura che attraversa. Quest’opera si pone in dialogo con Endless Column (Colonna infinita, 1992), che fa esplicito riferimento alla celebre omonima scultura di Constantin Brâncuși. La colonna in pigmento rosso di Kapoor sembra oltrepassare i limiti del pavimento e del soffitto della sala, creando una sensazione di fisicità architettonica eterea, metafora del legame tra terra e cosmo. Su una diversa scala, ma con lo stesso effetto spaziale e architettonico, si pone To Reflect an Intimate Part of the Red (Per riflettere una parte intima del rosso, 1981), opera fondamentale nella carriera di Kapoor nella sua affermazione sulla scena internazionale come una delle più originali voci nell'arte contemporanea: un suggestivo insieme di forme in pigmento giallo e rosso che emergono dal pavimento, fragili, quasi ultraterrene ma potentemente presenti. In Non-Object Black (Non-oggetto nero, 2015) – caratterizzato dall’uso del Vantablack, materiale altamente innovativo capace di assorbire più del 99,9% della luce visibile – Kapoor mette in discussione l'idea stessa di oggetto fisico e tangibile, presentandoci forme che si dissolvono al passaggio dello sguardo. In questi lavori rivoluzionari e di forte impatto, Kapoor ci spinge a interrogarci sulla nozione stessa dell’essere, proponendo una riflessione non solo sull’oggettualità ma sull'immaterialità che permea il nostro mondo. Questa forte esperienza del non-oggetto continua in Gathering Clouds (Nuvole che si addensano, 2014), forme concave monocrome che assorbono lo spazio circostante in una oscurità meditativa. L’arte di Kapoor offre infatti un nuovo modo di vedere e pensare a come viviamo la "realtà", grazie al suo uso unico di forma e saturazione, in opere permeate da una profonda connotazione psicologica. La carne, la materia organica, il corpo e il sangue sono temi ricorrenti e fondamentali nella ricerca di Kapoor. Un’intera sala della mostra è dedicata a opere in cui l’artista si confronta con ciò che appare come un'intimità sventrata e devastata in una dimensione entropica e abietta del corpo. La grande scultura in acciaio e resina A Blackish Fluid Excavation (Scavo con fluido nerastro, 2018) evoca un incavo uterino contorto che attraversa lo spazio e i sensi dello spettatore. Nelle opere esposte a parete Kapoor unisce invece la pittura e il silicone dando origine a forme fluide che ci appaiono come masse viscerali, che sembrano pulsare di vita propria. Le strutture si contorcono, si espandono e si contraggono, proponendo un senso di movimento e di trasformazione continua, ma anche una forte sensualità tattile che emerge dall’interazione tra le sensazioni di morbidezza e solidità, organicità e linearità. Evocano queste suggestioni gli stessi titoli delle opere: First Milk (Primo latte, 2015), Tongue Memory (Ricordo della lingua, 2016), Today You Will Be in Paradise (Oggi sarai in paradiso, 2016), Three Days of Mourning (Tre giorni di lutto, 2016). La tradizionale nozione di confini e la dicotomia tra soggetto e oggetto sono temi centrali invece in opere specchianti come Vertigo (Vertigine, 2006), Mirror (Specchio, 2018) e Newborn (Neonato, 2019), ispirato ancora una volta alle sperimentazioni formali di Brâncuși. Attraverso le riflessioni di queste opere, ciò che si specchia entra in una dimensione illusoria che sembra smentire le leggi della fisica. Queste grandi sculture, infatti, riflettono e deformano lo spazio circostante e lo ingrandiscono, riducono e moltiplicano, creando una sensazione di irrealtà e destabilizzazione e attirando lo spettatore nello spazio indefinito che emanano. Conclusione del percorso espositivo al Piano Nobile è la sala dedicata all’opera Angel (Angelo, 1990), grandi pietre di ardesia ricoperte da strati di pigmento blu intenso. Questi pesanti massi appaiono in contraddizione con il loro aspetto incorporeo: sembrano infatti solidificare l’aria e suggerire la trasformazione di lastre di ardesia in pezzi di cielo, trasfigurando così l’idea di purezza in un elemento fisico. Kapoor altera la forte materialità dell’opera ed evoca così un senso di mistero che risponde all’ambizione di matrice esoterica di raggiungimento della fusione degli opposti. La mostra è promossa e organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi. Main Supporter: Fondazione CR Firenze. Sostenitori: Comune di Firenze, Regione Toscana, Camera di Commercio di Firenze, Comitato dei Partner di Palazzo Strozzi. Main Partner: Intesa Sanpaolo. Con il contributo di Città Metropolitana di Firenze. Con il supporto di Maria Manetti Shrem e Fondazione Hillary Merkus Recordati. Si ringrazia Galleria Continua. La mostra si inserisce nell’ambito della Florence Art Week, iniziativa promossa dal Comune di Firenze in programma dal 28 settembre all’8 ottobre 2023.
ANISH KAPOOR E IL RINASCIMENTO
La mostra rappresenta il primo confronto diretto tra Anish Kapoor e un edificio simbolo della cultura
rinascimentale fiorentina. Per riconsiderare convergenze e affinità tra la sua arte e un’epoca che ha segnato
la civiltà occidentale, in catalogo sono presenti sei nuovi saggi di studiosi internazionali specializzati in questo
periodo storico: Dario Donetti, Tommaso Mozzati, Francesca Borgo, Rachel Boyd, Morgan Ng, Diane H.
Bodart. Dario Donetti (docente di Storia dell’Architettura all’Università di Verona), nel suo saggio Architettura e
illusione a Palazzo Strozzi, affronta il tema del rapporto tra l’edificio che accoglie la mostra e l’arte di Kapoor:
«L’architettura del Rinascimento, a partire dal suo avvio eroico nella Firenze del quindicesimo secolo, è
nell’intendimento comune l’espressione di una sensibilità spaziale improntata a misura, armonia, organicità.
[…] Se […] vi è un’architettura che può confermarlo, che legittimamente si può riconoscere come un prodotto
di quell’idealismo di forme e spazio, è proprio il palazzo progettato per Filippo Strozzi, sul finire del
Quattrocento, da Giuliano da Sangallo. Allo stesso tempo, questa dimora monumentale, frutto di ambizioni
sociali che sconvolsero il paesaggio urbano fiorentino, è il pretesto per un sottile esercizio di
rappresentazione, svolto principalmente su una pelle architettonica felicemente disconnessa dai volumi che
riveste. Perciò, per i significati spaziali di cui può caricarsi, diventa particolarmente evocativo il dialogo tra un
edificio così radicato nell’immaginario dell’architettura rinascimentale e l’arte di Anish Kapoor, che a più
riprese ha messo alla prova i limiti geometrici della scatola muraria, insistendo sulle ambiguità dei rapporti
di scala, esplorando soglie e terreni liminali, penetrando il potenziale illusorio della membrana e del
rivestimento».
Donetti insiste sul rapporto tra i rivestimenti esterni del palazzo e l’attenzione di Kapoor alla pelle degli
oggetti, intesa come un “velo” tra mondo interno ed esterno: «Le bugne scollate […] fanno capire che già
nelle intenzioni del suo architetto la facciata fa da supporto a una forma di pura rappresentazione: una
superficie da disegnare, anch’essa, come la carta; una pelle ambigua che riveste il costruito e lascia campo
all’illusorio o, quantomeno, all’imitazione di un altro da sé. In questo caso, della naturalità dell’architettura
lapidea. Il senso che Anish Kapoor ha dell’architettura ci mostra, con particolare eloquenza, come la pelle
posta a rivestire gli oggetti di grande scala – sia che essa consista di membrane plastiche, come Leviathan, o
di metalli più o meno politi, pensando a Cloud Gate o a Memory – ne possa mascherare l’effettiva consistenza
in termini di massa, alterando sostanzialmente la percezione che il corpo ha dello spazio architettonico o
della scala dell’intorno urbano. Ma non è forse così per buona parte dell’architettura del Rinascimento e, più
in generale, per la stagione del classicismo?»
Donetti sottolinea anche come: «Nel cortile del palazzo – e così in altre opere sangallesche, dalla facciata
della villa laurenziana di Poggio a Caiano al potente cortile del Cestello – i cilindri solidi delle colonne in pietra
si stagliano a contrasto con le superfici lisce di muri intonacati e, proprio perché isolati, esaltano le origini di
una lingua che è ormai divenuta allusione. Danno, anche, la misura dell’edificio: diventano il metro per
apprezzarne la scala, per indirizzare (o forzare?) la lettura che i sensi possono produrre dello spazio. Così,
come la colonna senza fine, Endless Column, che attraversa in tutta la sua altezza una delle sale angolari di
palazzo Strozzi, nel Rinascimento gli ordini mantengono la loro capacità di plasmare, sul piano della
percezione, i rapporti dimensionali tra l’osservatore e l’edificio; di riconoscere nel corpo lo strumento per
fare esperienza dei misteri della scala, come già dell’illusione carica di significati della sua architettura».
Come evidenziato da Tommaso Mozzati (professore di Storia dell’Arte Moderna all’Università di Perugia)
nel saggio Object/Non-Object, l’ampia selezione disculture e installazioni di Kapoor esposte a Palazzo Strozzi,
che vanno dall’inizio degli anni Ottanta fino a oggi, acquista nuovi significati e suggestioni in relazione alla
secolare vocazione della città per la scultura. Infatti, come testimoniato da «Charles de Brosses a Joshua
Reynolds, da Stendhal a John Ruskin, per arrivare alle esperienze sempre più frequenti contenute nel termine
di secolo, il centro toscano si rispecchia nella sua galleria di sculture, venendo a identificarsi con quelle
immagini, modello espressivo d’assoluta preminenza, testimonianza solida d’una funzione artefatta e
archetipica». Anche il marchese De Sade «Perso nell’infilata delle sale – in Toscana nell’estate-autunno 1775
– avrebbe infatti associato, nei carnets del suo Voyage d’Italie, il ricordo delle antichità restaurate da
Michelangelo a quello delle Veneri anatomiche collezionate dal Gran Duca, marmo contro cera, dividendo il
racconto fra il capitolo dedicato alla Galleria e quello sui “moeurs” degli abitanti, senza trascurare gli Effetti
della Peste di Gaetano Zumbo: “On voit un sépulcre rempli d’une infinité de cadavres, dans chacun desquels
on peut observer les différentes gradations de la dissolution, depuis le cadavre du jour jusqu’à celui que les
vers ont totalement dévoré”. Tale ribaltamento dell’immagine di Firenze, riscritta all’alba della Modernità
operando sulla materia stessa dei suoi indici illustri, consuona con l’invito a un artista come Anish Kapoor, in
città con la prima, grande monografica, concepita per tracciarne il cursus completo in opere più o meno
recenti, dalle superfici immateriali di Newborn (2019) al rosso intenso, in assottigliamento perpetuo,
dell’istallazione Svayambhu (2007), dai solidi di To Reflect an Intimate Part of the Red (1981) all’organico
Tongue Memory del 2016. Da sempre, infatti, Kapoor sottolinea l’ambizione di cercare, attraverso il lavoro
sul medium, “more than a physical presence” (nel rispetto della categoria del “truly made”, tratteggiata nel
1998 da Homi K. Bhabha “as the meeting of material and non-material”), il desiderio di tradurre, in “every
concrete object […] an equal non-object, a mysterious one”».
Con Vivissimi. Corpi di carne, cera e silicone, Francesca Borgo (Professore alla School of Art History
all’Università di St Andrews) indaga la ricerca rinascimentale per la creazione di una statua che viva di vita
propria, e l’ampio uso della cera sia nella tradizione artistica fiorentina che in Kapoor, partendo da
Svayambhu e dal lento movimento che lo caratterizza: «Quella della statua che si anima e vive di vita propria
è una favola impossibile che si racconta spesso. Da Pigmalione in avanti, creare la vita dove la vita manca,
suggerendola attraverso il movimento, è una vecchia sfida dell’arte occidentale. L’arte “in sé non è viva ma
isprimitrice di cose vive senza vita”, scrive Leonardo (1452-1519); l’opera che non riesce a creare una illusione
di movimento nella materia inerte è “due volte morta”, nella realtà e nella finzione: “se non gli si aggiunge la
vivacità dell’atto essa riman morta la seconda volta” Libro di pittura, § 376). Per questo l’artista deve
cancellare ogni traccia del proprio fare, l’evidenza della mano e in particolare la visibilità del segno, in modo
che l’opera appaia miracolosamente, appunto, “sorta da sé”. La capacità di moto proprio è – lo dice Aristotele
– segnale inconfondibile di un essere vivente. Non è però solo il movimento a rendere Svayambhu un
discendente del sogno rinascimentale di animazione dell’inanimato. Più di qualsiasi altro mezzo scultoreo, la
cera è infatti legata ai processi della vita: nascita, metamorfosi, dissoluzione, rigenerazione. Al tempo stesso
calda e fredda, flessibile e solida, amorfa e polimorfa, la cera sovverte l’aspettativa di immutabilità
generalmente associata alla scultura. Risponde al nostro tocco, si scalda e modella: reagisce, e quindi è viva;
anche nella storia ovidiana di Pigmalione, lo scultore percepisce l’animazione della statua sotto le dita come
cera che si ammorbidisce al sole (Metamorfosi, X, 284). L’innata predisposizione al cambiamento, la docilità
e l’arrendevolezza, la capacità metamorfica, hanno a lungo assicurato alla cera un posto di riguardo nella
produzione artistica occidentale, in particolare come simulacro intero o parziale del corpo umano,
soprattutto nei suoi stati di malattia, morte, e lacerazione della carne. Nel Rinascimento sono di cera le
maschere mortuarie e gli ex-voto che riproducono singole parti del corpo, malate o già risanate. Ma
soprattutto – e soprattutto a Firenze – sono di cera le effigi votive che un tempo, ammassate a migliaia,
riempivano il santuario della Santissima Annunziata; sempre a Firenze, la cera sarà poi il materiale dei modelli
anatomici che faranno del museo della Specola il centro della ceroplastica scientifica, quelle Veneri aperte,
sventrate, indagate nei segreti delle viscere».
Rachel Boyd (curatrice del Dipartimento di Scultura rinascimentale al Victoria & Albert Museum di
Londra), indaga La scultura colorata nella Firenze del primo Rinascimento, considerando come si abbia
oggi una visione distorta dell’immagine che la città offriva all’epoca: «Quello che vediamo oggi […] è solo un
accenno alla centralità del colore nella cultura artistica della Firenze rinascimentale, poiché molte delle
superfici dipinte di sculture e edifici si sono logorate con il tempo e con l’uso o sono state intenzionalmente
private delle loro tonalità originali. Le vibranti sculture fatte di pigmenti di Anish Kapoor, una selezione
delle quali è inclusa nell’attuale mostra a Palazzo Strozzi, invitano a riflettere su questa storia locale e a
considerare gli usi e le connotazioni dei pigmenti nella scultura rinascimentale in particolare. Si tratta di una
storia che solo ora inizia a essere esplorata, e in alcuni casi celebrata, dagli studiosi del periodo, anche se i
pregiudizi nei confronti della scultura a colori – spesso liquidata come poco sofisticata, innaturale, troppo
religiosa, sentimentale, appariscente o kitsch – rimangono radicati nella disciplina della storia dell’arte. I
pigmenti fortemente colorati sono ancora considerati competenza esclusiva dei pittori della prima età
moderna, non di coloro che creavano forme tridimensionali». Boyd rivolge la sua attenzione soprattutto a
due artisti per i quali – come per Kapoor – colore e materiali hanno avuto un ruolo fondamentale:
«Donatello usò una gamma di materiali colorati – da cera pigmentata rossa e verde a frammenti di
ceramica smaltata – per creare fondi riflettenti dai colori vivaci per i suoi rilievi in terracotta e marmo. Se
Donatello sperimentava in modo costante con i materiali, creando una sorprendente gamma di effetti
visivi, fu però il suo contemporaneo Luca della Robbia a realizzare una fusione quasi completa tra arte
pittorica e scultorea».
Morgan Ng (Assistant Professor al Dipartimento di Storia dell’Arte della Yale University) in Vuoti
rinascimentali – immaginando di entrare nella tavola raffigurante la Città ideale conservata a Urbino –
esplora il mondo ipogeo come immaginato nel Rinascimento, nel «paesaggio sotterraneo come quello
raffigurato da certi artisti e architetti del Quattrocento. Figure come Mariano Taccola da Siena o il suo
seguace Francesco di Giorgio Martini, quest’ultimo forse collega del pittore della Città ideale alla corte dei
Montefeltro (alcuni hanno addirittura ipotizzato che Francesco stesso possa essere l’autore della tavola). Nei
loro disegni e schizzi la visione trascende i limiti materiali e corporei. Le viscere della terra rivelano il loro
contenuto come in una radiografia. Impenetrabili pareti montuose appaiono come volumi trasparenti che
svelano la presenza di gallerie idrauliche e mulini sotterranei». «Queste visioni sotterranee trovano una
sorprendente controparte nel più ampio immaginario letterario, teologico e artistico del Quattrocento. Si
consideri il commento del 1472 alla Divina Commedia dantesca da parte di Antonio di Tuccio Manetti,
architetto e intellettuale poliedrico. Manetti si prefisse un’impresa stupefacente: la descrizione topografica
sistematica di “sito, forma e grandezza dell’Inferno”. Con un’ossessiva precisione numerica, degna di
Francesco di Giorgio Martini e delle sue geometrie sotterranee, specificò sia la larghezza dell’apertura sia la
profondità di questa “enorme caverna”: esattamente 3245 miglia e 5/11. L’impulso rinascimentale a
misurare razionalmente la terra assume qui una forma assurda e grottesca: il progetto di mappare una
geografia infernale mai vista. Con iperbolica sicurezza, Manetti afferma che l’inferno, al pari di qualsiasi altra
città, è un luogo abitabile con attributi fisici concreti, coordinate localizzabili e dimensioni misurabili».
Diane H. Bodart (Maître de conférences di Storia dell’arte moderna all’Università di Poitiers), rilegge con
Un medium pittorico per la scultura: le superfici riflettenti di Anish Kapoor, le opere specchianti di Kapoor,
lavori che si inseriscono nella lunga disputa sul paragone tra le arti, che tanta letteratura ha prodotto in epoca
rinascimentale: «Collocando la sua pratica all’intersezione tra scultura e pittura e fondendo la dimensione
fisica della prima con la qualità illusoria della seconda, Kapoor ripropone i termini dell’antico dibattito
comparativo tra le due arti, comunemente noto come “paragone”, che infiammò il discorso artistico durante
il Rinascimento italiano. Nel contesto di questa disputa, la supremazia della scultura veniva rivendicata per
la verità della sua sostanza fisica, che poteva essere attestata non solo con la visione dell’occhio ma anche
con il tocco della mano, mentre la preminenza della pittura si basava sulla sua capacità di rappresentare
l’intero mondo visibile, compresi la luce immateriale e i fenomeni atmosferici come nuvole, folgori e riflessi.
Le superfici riflettenti sarebbero effettivamente diventate l’arma assoluta della pittura, sia negli scritti dei
letterati sia nelle opere dimostrative dei pittori».
In relazione ai lavori di Kapoor Bodart cita la famosa “tavoletta” brunelleschiana «raffigurante l’alzato del
battistero di Firenze visto dalla cattedrale. Nella tavola, la parte superiore posta sopra l’orizzonte non era
dipinta bensì ricoperta da una foglia d’argento lucida. Se osservata nella giusta posizione, riflessa in uno
specchio di fronte al battistero, l’immagine sulla tavoletta si sovrapponeva perfettamente all’edificio reale,
mentre il cielo si rifletteva nella lamina argentea. Dimostrando le potenzialità del nuovo strumento nel
proiettare lo spazio architettonico tridimensionale su una superficie piana, Brunelleschi ne riconosceva
contemporaneamente i limiti: i movimenti della natura, come la variazione della luce e il passaggio delle
nuvole, non potevano essere ridotti alla logica geometrica della griglia prospettica. Gli oggetti specchianti
che Kapoor colloca in spazi urbani attivano in modo analogo la tensione tra permanente e mutevole,
superandola tuttavia simultaneamente. Infatti, sulla superficie riflettente delle sculture, non solo il cielo ma
anche l’aspetto dello skyline cambia a seconda del tempo e dell’ora, includendo inoltre il continuo viavai
quotidiano delle persone che animano la città».
FUORIMOSTRA
Per ogni mostra Palazzo Strozzi propone un itinerario nella regione creando una connessione tra la mostra e
musei, istituzioni culturali e partner della Città Metropolitana di Firenze e della Regione Toscana. Palazzo
Strozzi si pone come un catalizzatore per Firenze e la Toscana, alla ricerca di sinergie e collaborazioni che
stimolino la promozione culturale del territorio. Sono 16 i luoghi coinvolti nel Fuorimostra sviluppato in occasione della mostra Anish Kapoor. Untrue Unreal:
FIRENZE
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI FIRENZE
BASE / PROGETTI PER L'ARTE
COLLEZIONE ROBERTO CASAMONTI
IED ISTITUTO EUROPEO DI DESIGN
MAD — MURATE ART DISTRICT
MUSEO GALILEO
MUSEO NOVECENTO
VILLA ROMANA
BARGINO
ANTINORI ART PROJECT
GAIOLE IN CHIANTI
CASTELLO DI AMA
PISTOIA
PISTOIA MUSEI
PRATO
CENTRO PER L’ARTE CONTEMPORANEA LUIGI PECCI
SAN CASCIANO VAL DI PESA
COLLEZIONE FREYMOND
SAN GIMIGNANO
GALLERIA CONTINUA
TORRIONE DI SANT’AGOSTINO
VOLTERRA
ARTE ALL’ARTE 1997
Per maggiori informazioni: www.palazzostrozzi.org/fuorimostra
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