26 Luglio 2023
C’è la polvere dei sognatori, a miliardi e c’è il prato basso di chi ci prova, quelli che suonano per passione, per mestiere, poi chi ce la fa una volta nella vita, poi, su a salire, a piramide, i professionali e i professionisti, gli onesti mestieranti, quelli che hanno successo, le star, le superstar, le megastar, l’Olimpo e sopra tutto questo ci sono i Rolling Stones e c’è Mick Jagger che da 40 anni neanche si veste più da rockstar, sarebbe inutile, sarebbe sminuirsi. Lui compra magioni e castelli per il mondo, adesso in Sicilia, dove gli piace vivere, e ritarda questo benedetto maledetto disco in uscita da 20 anni, una proporzione del tempo offensiva per gli umani, ma dei Rolling Stones affascina quel sovrano distacco anche per il tempo, ma sì, ce n’è ancora, ce n’è sempre, è dalla nostra parte, ci aspetta. Poi non è proprio così, anche loro muoiono, incartapecoriscono, ma Mick è sempre lì, con lo stesso corpo nevrile e ossuto dei vent’anni: però quel ragazzo ne ha fatta di strada, talmente tanta da non potere andare in pensione neanche con un miliardo di dollari in banca. “Solo rubando sarei potuto diventare così ricco”. Ha scelto un’altra strada, ma fino a un certo punto: c’erano i balordi, i tagliagole, i delinquenti del punk, i posseduti del metal e, sopra, molto sopra, i Rolling Stones che potevano distruggerti nello spazio di una canzone, come nel 1990 scoprì Axl Rose degli emergenti Guns and Roses, tutti droga ed eccessi: salito sul palco con Jagger, ne fu oscurato in un modo così plateale, così brutale, che sprofondò in una crisi irreversibile. Mentre gli altri finivano, ogni tanto, a suonare con Ron Wood. Anche Slash, che però da Keith Richards girava alla larga, essendosi permesso di suggerirgli una soluzione musicale, mossa pericolosissima che difatti gli valse un coltello davanti alla faccia.
Ah, i Rolling Stones! E senza di loro non c’è Mick e senza Mick non ci sono i Rolling Stones. L’uomo è ciò che deve, diceva Fichte, ma è anche ciò che fa e senza un palco Jagger non può esistere. Si è fatto perdonare tutto ma restano, per chi lo conosce, i suoi segreti da custodire, tali e tanti da fargli guardare con orrore una autobiografia: quando si è destinati all’inferno è meglio non guardarsi indietro, anche la controparte, Keith, scrivendo la sua vita pare piangesse sempre e un po’ perché non ricordava e un po’ perché ricordava troppo. Questo vivere con addosso il peso di sé, una mitologia insostenibile eppure vera per difetto: cosa siano stati quei sei decenni, quelle vite, non lo sapremo mai davvero. Solo loro lo sanno, e però lo tengono nel museo della mitologia che Jagger ha sempre odiato: mai stato uno ancorato al passato, ha sempre vissuto nell’attimo sparato sul successivo, testa ragionante e ragioniera, “Sì lo so cosa dicono tutti, Keith la passione Mick il calcolo, ma pure io ho la passione, passione perché tutto venga fatto bene perché coi Rolling Stones non puoi permetterti niente di meno”.
Non una banda, non quattro disperati che suonano il rock and roll, non uno spettacolo ma una intrapresa oltre il colossale, altro motivo di fascinazione: uno può fare le baracconate che vuole, ma sopra avrà sempre questi qui che travolgono, che eclissano. I livelli dell’intrattenimento musicale sono scoppiati, oggi perfino l’aria che cammina dei Pinguini tattici nucleari può riempire San Siro, tripudio di biglietti regalati agli sponsor, ma i Rolling Stones restano altro, sono lo sbarco militare che conquista Cuba o Copacabana, gli unici che mettono in fila i potenti della terra i quali per una sera diventano come tutti gli altri e rendono omaggio a questi pirati del ventesimo secolo. “Ha una bella faccia tosta, quello là: lavoriamo due anni per questo e poi vorrebbe venire lui? Si metta in coda, prego”. Quello là era Bergoglio, il papa cattolico che a Cuba voleva infilarsi dopo Obama “che ci ha fatto da band di apertura”. È questo che li rende diversi, il sovrano disprezzo del tempo e delle proporzioni. Ci sono i microbi, gli invertebrati, gli strutturati, le belve, i dinosauri e in cima alla catena alimentare ci stanno i T-Rex. Semplice. Ma a differenza dei tirannosauri, i Rolling Stones sono ancora in circolazione e, tutto sommato, in un modo dignitoso per l’età. Jagger e Richards, le due facce di una sola entità, affiorano ancora da ogni serie tv, pellicola, nella cultura di massa, nel costume, nell’iconografico, solo il pugile attivista Muhammad Ali ha saputo essere più diffuso, più riconoscibile di loro ma lì siamo già nel sovrumano. Mick Jagger è stato umano, troppo umano e per stare sopra il circo degli eccessi devi essere durissimo, furbissimo, “un piccolo, svelto figlio di puttana” come dice Keith. Capace delle peggio imprese, di sedurre una madre e poi la figlia, l’ego troppo strabordante per un pianeta solo, e può giocare a fare il normale, in un video del 1984 c’è lui che si ritrova, straccione e disperso, in una baracca di una favela, prova in tutti i modi a farsi riconoscere, ma nessuno sa chi è, due baraccati di Dio sa dove lo compatiscono. È stato forse il culmine dell’arroganza, dello snobismo piratesco, ma si era nel mezzo degli anni Ottanta, fase seminale di un egocentrismo mai più rinchiuso nel vaso di Pandora. E Jagger era già oltre, il che originò poi la crisi in seno al gruppo, ricomposta solo nel decennio seguente.
Essere Mick: chissà cosa si prova, una volta hanno fatto anche un documentario con quel titolo. Qualcosa di inimmaginabile, come volare, come sentire il mondo una sola, sconfinata casa, averlo tutto, possederlo completamente, essere un finanziere che si esibisce, come nessuno tra l’altro, cenare con re e presidenti e dividere la bottiglia d’acqua piovana coi campesinos, galera e cattedrale, derive e panfili, pure baronetto l’hanno fatto. Pirati del XX secolo che però al mondo hanno anche dato tutto: 80 anni Mick, tra pochissimo anche Keith, e non si può parlare dell’uno prescindendo dall’altro, sta di fatto che per la più parte di noi un mondo senza di loro non c’è mai stato, un mondo senza i Rolling Stones non si ammette in natura e sarà così per sempre: un altro disco, un altro tour, come sempre l’ultimo, ma non si scoglieranno mai, un giorno, semplicemente, smetteranno di esistere e per noi cambierà niente perché abbiamo sempre vissuto come se non fossero davvero reali eppure sentendoceli al fianco, dentro, nel culo, nell’anima. Abbiamo dirottato le nostre vite, le abbiamo rovinate, riscattate, ammalate, rese migliori, abbiamo imparato come essere giovani e come invecchiare grazie a quei modelli inavvicinabili. Una volta me li sono trovati addosso quasi per sbaglio, prima di un concerto, sono lì all’ingresso della tribuna Monte Mario quando si materializzano alcuni furgoni neri, lugubri, ed escono loro in ordine sparso, ho quasi dato una gomitata in pancia a Jo Wood per l’agitazione, sono passati, hanno più o meno salutato, sono scomparsi nelle viscere dello stadio ma io potevo sentire le folate d’energia che m’investivano, come quando nelle pinacoteche sei travolto dalle ondate silenziose. Da 60 anni, a miliardi stiamo in Sindrome di Stoccolma per i Rolling Stones. Oggi Keith suona il blues e una luce di orgoglio rassegnato gli si accende negli occhi, ah, è stato fantastico, lo è ancora ma vedo la mia fermata, dovrei prepararmi, sapete. Mick è di un’altra durezza, non perde mai lo schermo del cinismo, compra case in Sicilia, si risposa, proprio così. Hanno contato più trionfi e più tragedie dell’umanità messa insieme, ma la vita è tempo che non aspetta nessuno e ciascuno si difende come può. Mick ha smesso con gli eccessi a 35 anni, perché guardava lontano e una volta disse di lui Ron Wood, che ha sempre avuto l’orizzonte strategico di un moscerino: “Mick si tiene in forma, vuole esibirsi fino a 80 anni: tutti lo vogliamo”. Pareva una di quelle uscite del tipo, ah Ronnie, dacci un taglio con la droga, invece anche lui, quella volta, vedeva lungo. Eccoli qui. Hanno 80 anni, non si fermano ancora, moriranno di vita e di musica, ma per noi, che abbiamo vissuto di loro, non cambierà niente perché gli abbiamo preso tutto, compresa l’illusione di arrivare a 80 anni e di arrivarci come Mick. Sognare non costa niente o forse troppo, ma non sognare costa molto di più.
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