07 Luglio 2023
Gennaro Sangiuliano e Vittorio Sgarbi
«Lei li vede Benedetto Croce, Giovanni Gentile,, Giuseppe Prezzolini, Chateaubriand, Tolkien o Ortega y Gasset abbandonarsi a parole del genere? Essere conservatori significa avere sostanza e stile ma anche un’estetica del comportamento»
Questa la recente dichiarazione del ministro della cultura Sangiuliano, interpellato da un giornalista sull’episodio del turpiloquio sgarbiano al Maxxi di Roma. Francamente dei nomi citati dal ministro è difficile conoscerne certi. Sicuramente Benedetto Croce ancora si studia per il suo contributo alla cultura italiana del ventennio del secolo scorso, come Gentile. Tolkien anche è d’inizio secolo scorso, e, questo difficile non conoscerlo se per inciso si ricorda che ha scritto il romanzo dal quale è tratta la saga cinematografica del ‘Signore degli anelli’ e dello ‘Hobbit’; autore anche caro alle giovanili di quella che un tempo era riconducibile all’area politica dell’attuale destra. Chateaubriand, autore d’inizio Ottocento addirittura, viene citato dai dizionari come fondatore del Romanticismo francese ma con influenze successive forse circoscritte alla sola Francia; certo potrei sbagliarmi, ma credo che dell’800 francese da un punto di vista culturale abbia preso poi il sopravvento la letteratura della seconda metà del secolo, in cui appunto nasce l’arte moderna. E mea culpa se si disconosce Ortega Y Gasset, un filosofo spagnolo d’inizio ‘900. Certo si, sono nomi che ormai sono consegnati alla storia della filosofia e della letteratura ed è difficile delineare una gerarchia tra questi nomi dalla quale si evinca chi abbia dato un maggior contributo alla storia della cultura. Certo è che se i nomi li fa un ministro forse bisognerebbe chiedersi se siano sufficienti per la reprimenda a Sgarbi, quando forse citare un Baudelaire sarebbe stato sufficiente a far rientrare la polemica nata da una parte politica d’opposizione -e quindi strumentale-, che ha portato addirittura un'interrogazione in parlamento.
Baudelaire, scrittore di fine Ottocento, ha influenzato notevolmente l'arte contemporanea e la modernità con la sua poesia innovativa e rivoluzionaria, focalizzata su temi come l'amore, la città moderna, la bellezza e la decadenza, ha avuto un impatto significativo su molti artisti successivi, nelle avanguardie e ancor oggi nell'arte contemporanea per via di sue certe ambigue rappresentazioni e a volte ai limiti del cosiddetto e odierno ‘politically correct’. Basti pensare ‘I fiori del male’, il suo libro più famoso. Sembrano nomi -quelli citati dal ministro- che abbiano svolto anche ruoli politici, forse a ricordare che Sgarbi ne ricopre uno. L'ingresso dell'arte nella politica può generare diverse conseguenze, alcune positive e altre negative, a seconda del contesto e di come viene gestita: ad esempio nel caso del sodalizio nato tra André Breton e Leon Trotsky, entrambi importanti figure dell'arte e della politica d’inizio ‘900, la loro collaborazione e l'influenza reciproca ha avuto implicazioni controverse, tanto da interrompersi a causa dell'assassinio di Trotsky nel 1940 da parte di un agente stalinista. Quando i due si incontrarono negli anni '30, si unirono per promuovere un'arte che servisse la rivoluzione -alcune analogie ci sono con i Futuristi, citati appunto da Sgarbi a sua difesa nella polemica, e a cui il ministro sembra stia preparando una mostra- mentre altri vedevano un’arte più sottomessa alla politica anziché organica ad essa. Ecco perché ad esempio Il Fascismo si allontanò dai Futuristi preferendo i pittori più conformisti e gestibili del gruppo Novecento.
L'assassinio di Trotsky ha avuto conseguenze significative, tra cui la polarizzazione politica, che vide l’affermarsi dello stile pittorico del Realismo socialista con Stalin, diretto emanatore di un’arte di Stato, figurativa e comprensibile, con ripercussioni in tutta Europa, addirittura con l’affermarsi di due blocchi stilistici da ‘guerra fredda’: il mondo occidentale con la Pop Art e il Patto di Varsavia con il Realismo socialista.
Alcuni autori come Karel Teige fanno notare certe similitudini tra il Realismo socialista e la pittura d’inizio ‘800, anche se il risultato fu di una pittura abbastanza retrograda e poco liberale; con la caduta del muro di Berlino anche i paesi dell’Est sembrano essersi -anche solo parzialmente- aperti alle nuove correnti dell’arte contemporanea. C’è forse in questi politici che si definiscono ‘conservatori’ un qualche legame con le filosofie d’inizio ottocento che in buona sostanza ammettevano un’impronta energica dello Stato nell’arte, tanto da far nascere stili di Stato; come fu anche il neoclassicismo in effetti, lo stile ufficiale del Salon dell’Accademia Reale fin dalla sua nascita (1667) e appunto chiuso nel 1863, a causa di più di 3000 artisti rifiutati, e la corrispondente istituzione del Salon des Refugees grazie al quale poi nacque la rivoluzione dell’arte moderna di Manet e degli Impressionisti: in quell’occasione si ricordi che fu esposto il Déjeuner sur l’herbe e che appunto generò polemiche simili a quella scaturita al Maxxi (con gli stessi effetti l’Olimpya due anni dopo). Quindi diciamo che il ministro ha espresso modelli difficilmente accostabili a una cultura moderna e contemporanea, liberale, che Sgarbi rappresenta, essendo oltretutto sempre stato nell’area di centro dello scacchiere politico. Francamente una questione di cui non si capisce molto il senso se non quello di una polemica intorno al gergo più o meno utilizzabile dalle personalità che ricoprono incarichi politici ma, se consideriamo la cultura per quello che è, ossia un mare enorme di conoscenze e questioni, la polemica si riduce veramente a poca cosa.
Di Davide Tedeschini.
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