01 Marzo 2023
Ma che cos'è in realtà questa cancel culture, cosa si propone davvero di cancellare? Forse manca ancora una comprensione completa, una riflessione seria l'ha tracciata finora solo Federico Rampini nei suoi ultimi libri, scritti dal cuore del processo, dall'America liberal e megalopolitana. È certo che c'è una casta intellettuale sempre più esagitata nel proibire la qualunque ed è certissimo che a cavalcarla, nel solito rapporto fra cattivi maestri e pessimi esecutori, siano le frange scatenate, paleomarxiste del BLM, del metoo, le baronie universitarie, gli altri focolai della sovversione possibile. Ma se tanta speme andasse oltre il tornaconto del momento, se i piccoli meschini tentativi di marcare il territorio, nelle scuole, nel dibattito giornalistico, nelle case editrici, negli atenei, nei centri di produzione culturale, fossero solo pretesti nel quadro di una trasformazione più comprensiva e più radicale? È anche certo che la sinistra razionale, ammesso che ne rimanga una, segue con sempre meno voglia il fanatismo dominante sospettandone gli effetti a lungo andare controproducenti; così come è evidente che la destra intellettuale non sappia andare oltre il dito che indica la luna, segnalando la prevalenza del materialismo utilitaristico, del conformismo totalitario, critica quest'ultima nella quale ha una discreta coda di paglia. La sinistra per così dire riflessiva teme la trappola spiritualistica, non vuole sentirsi rinfacciare tentazioni ratzingeriane o alla Robert Sarah, il cardinale della Guinea in fama di reazionario, a questa sinistra laica ma all'occorrenza fideista fa orrore la risacca confessionale, la deriva sanfedista. Ma non c'è bisogno di involuzioni postnapoleoniche per tentare una analisi più onesta, che non si neghi i fini ultimi. Il processo di riscrittura che va dalla Bibbia alla Tempesta di Shakespeare, da zio Paperone alla Fabbrica di cioccolato pare inserito, a Matrioska, nel più vasto processo di una cancellazione sociale prima che culturale; o, se si preferisce, che usa la cultura popolare per minare a fondo la società così come declinatasi in saecula: una distruzione non creatrice volta a lasciare fumo di puro oblio, il tabula rasa, una ridefinizione che parte dal nulla per arrivare al nulla. Una ricostruzione d'aria e di nuvole.
Adesso tocca a James Bond: licenza di uccidere lui, i suoi romanzi, le sue pellicole. Cominciamo allora col dire che se l'intervento ha da essere per così dire estetico-ricostruttivo, meglio la morte pura e semplice: fa meno male un'opera bruciata, o confinata al Sillabo, di una corretta e vuoi perché correggere i capolavori popolari è semplicemente privo di senso, vuoi perché gli interventi, lungi dall'essere adeguati, si risolvono in catastrofici. Tu puoi, se munito di adeguata perversione, eliminare i negri che affollano la bettola erotica di Harlem dove il pubblico “ansima e grugnisce come maiali”, puoi rimuovere gli irlandesi che bevono, gli italiani che ammazzano, ma sostituirli con gli stilemi del conformismo autoritario, le persone umane che traspirano allo spettacolo della sessualità non binaria, questa roba prima che ipocrita è stilisticamente, letterariamente improponibile, è da fucilazione immediata. Un'opera vive di particolarissimi equilibri, di quell'atmosfera unica che si raggiunge nell'unione dei suoi mille elementi dei quali lo stile, il linguaggio, è fra quelli fondamentali: la vecchia storia della forma che si fa sostanza. Se cambi anche solo una virgola ad un'opera, non tanto la violenti quanto la neghi, la annienti.
Ed è precisamente questo, forse, che si punta a fare nell'apparente foga di intervenire su ogni e qualsiasi cosa. È la menzogna sistematica su tutto che non parte da 007 o dalla Nona di Beethoven che, essendo bianca e occidentale, diventa “razzista”: questi sono strumenti, la grande bugia viene prima e avvolge il clima, l'energia, l'alimentazione come fattore identitario, corrompe a monte il linguaggio, sì da poter intervenire sulle singole opere ma in seconda battuta. Interviene, insomma, sui fattori più macroscopici e più urgenti, sugli elementi che fanno da collante all'interno delle singole comunità nazionali e poi fra le stesse in un rapporto proficuo di scambio, di contaminazione. La cosiddetta cultura della cancellazione, il woke, nell'apparente tensione all'integrazione inseguono l'obiettivo contrario: disintegrare, isolare, contrapporre. È il modo di agire delle dittature, costituzionalmente paranoidi, che si alimentano di diffidenza, che per durare hanno bisogno di sempre nuovi nemici con cui giustificarsi. James Bond o gli Aristogatti in questo senso escono come secondari, come strumentali benché la violenza loro inflitta si riveli traumatica. Ci salverà il buon senso? Sì e no, anche se si comincia ad avvertire segnali di saturazione, di esasperazione; forse ci salverà il solito Mercato, che, nella sua conclamata follia anarcoide, conserva una sua razionalità ultima: i più recenti exploit censori, revisionisti della Disney erano così strampalati, così forzati che si sono tutti risolti in fragorosi fallimenti di pubblico. Esito che ha cominciato a socchiudere le porte di una riflessione almeno su basi di puro profitto: meglio che niente. Lo stesso è accaduto con la purga ai libri di Roald Dahl, che ha scatenato una autentica rivolta fra i lettori, sì da indurre l'editore Puffin, controllato dalla Penguin Random House, ad una soluzione più paraculesca che salomonica: lasciare entrambe le versioni, quella originale e l'altra rieditata. Ma se perfino il premier britannico, Rishi Sunak, democratico e musulmano, si è espresso senza diplomazia contro la chirurgia letteraria! Quanto alla neoregina Camilla, regina del re ecologista Carlo, così si è rivolta in una cena di scrittori riuniti: “Per favore, restate fedeli alla vostra vocazione, non fatevi condizionare da quanti vogliono frenare la libertà della vostra espressione o imporre limiti alla vostra immaginazione”. Discorso da regina (non da presidentessa). Laddove la precedente, Diana “principessa triste”, quella inzuppata di pop culture, dai Duran Duran al solidarismo glamour, non avrebbe esitato a schierarsi in favore dei censori, della narrativa Frankenstein, degli Stranamore dell'arte popolare e non.
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