29 Dicembre 2022
Fonte: imago
Il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano sostiene che la lingua italiana debba entrare nella Costituzione. L'ammissione fatta durante un'intervista al Messaggero in cui critica "un certo abuso dei termini anglofoni", ma allo stesso tempo ne fa uso spiegando che appartengono "a un certo snobismo, molto radical chic, che spesso nasce dalla scarsa consapevolezza del valore globale della cultura italiana e della sua lingua, ricca di vocaboli sfumature diverse". Sangiuliano fa poi l'esempio di un termine da utilizzare per sostituire gli anglicismi: "Dal lavoro della Crusca nasce l’utilizzo dell’espressione “lavoro agile” in alternativa a smart working".
Anche Sangiuliano, nella spirale degli anglicismi ormai noti e spesso ripetuti ci casca. Per quanto riguarda l'ipotesi della lingua italiana in Costituzione, tema che va avanti ormai da anni, spiega: "La consacrazione della lingua nazionale è in molte Costituzioni, di gran parte dei Paesi non solo europei, come ha opportunamente ricordato Federico Guiglia", sottolinea. "Quindi si tratta di essere coerenti con altre grandi nazioni europee e occidentali, e già il presidente Meloni presentò una proposta in tal senso. Poi, naturalmente, la riforma va armonizzata con il quadro di riforme a cui sta lavorando il ministro Casellati".
"La lingua è l’anima della nostra nazione, il tratto distintivo della sua identità. Il secolo scorso insigni studiosi del calibro di Croce, Gentile, Volpe hanno a lungo argomentato sulla circostanza che l’Italia sia nata molto prima della sua consacrazione statutaria e unitaria. L’Italia nasce attorno a quella che fu definita la “lingua di Dante”. E poi ci sono altri esempi che si possono fare", spiega il ministro.
Sangiuliano pone poi l'accento sul fatto che l'Accademia della Crusca, il più importante istituto di ricerca della lingua italiana è "privo di strumenti giuridici", al contrario "dell’Académie française e il Conseil International, per la Francia, o la Real Academia Espanõla per la Spagna", che sono "autorità pubbliche che mancano in Italia".
Ivan Vito
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