19 Novembre 2022
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Messina, mercoledì 13 settembre 1989
Gli echi dell'ultimo accordo della Strato di Steve Ray, si
andavano spegnendo alla fine del lungo e straziante assolo
che chiudeva il pezzo. Blues allo stato puro, musica del diavolo, da godersi a tutto volume nella ritrovata solitudine
nella breve pausa silenziosa, prima dell’attacco del brano
successivo, emerse il fastidioso e insistente trillo del telefono. Chissà da quanto tempo squillava, si chiedeva Giulio
mentre sollevava ansioso la cornetta.
“Ma dove ti eri cacciato? Perché non rispondevi?”. La
voce stizzita della moglie, che chiamava da Genova, aveva
spazzato via di colpo la piacevolezza di quel blues che ancora riecheggiava nella sua testa e nel suo animo.
“Scusami, tesoro, ero in giardino, non ho sentito, come
stai?” mentì…
Dall’inizio del mese Giulio era rimasto da solo nella casa
dove da quasi un anno viveva con la moglie; una vecchia
casa colonica ristrutturata che si affacciava sul meraviglioso e unico panorama dello Stretto. in quella casa avevano vissuto passioni e amore, sfociati poi nel
concepimento di una nuova vita. Qualche settimana prima,
in prossimità del parto, Bruna con il suo pancione, era partita alla volta di Genova per dare alla luce, nella città dov’era nata e dove viveva la madre, quella che già sapevano
essere la loro prima figlia. Giulio aveva accettato di buon
grado questa sua decisione, capiva che la vicinanza della
madre le avrebbe dato maggiore serenità. Dopo le prime
visite aveva saputo che il parto era stato previsto tra il 20
ed il 21 del mese, aveva quindi tutto il tempo per organizzarsi ed essere presente al momento dell’evento.
“Sono stata da ginecologo per una visita di controllo, domattina alle otto dovrò essere in ospedale per il cesareo!”
Giulio, disorientato dalla notizia che sconvolgeva i suoi
piani per la partenza della settimana successiva, non chiese
spiegazioni ma rispose semplicemente:
“Farò di tutto per esserci, ci vediamo domani a Genova”.
alle 18.15 trovare un mezzo, aereo o treno, che lo portasse a destinazione in tempo per l’evento era solo un’utopia; scartò subito l’idea di chiamare l’agenzia di viaggio del
suo amico, solo tempo perso, nessuno avrebbe potuto risolvergli il problema. Restava un’unica possibilità, una
corsa in auto attraverso tutta la penisola; era un percorso
che conosceva bene e che aveva fatto decine e decine di
volte. non poteva perdere tempo, infilò alla rinfusa in una
sacca alcuni indumenti, rasoio e spazzolino, mentre pensava al lungo viaggio che lo attendeva. alle 18,45 era già
in coda nelle breve fila di auto e camion che il traghetto inghiottiva voracemente nel suo ventre. La traversata, con
l’aria fresca e salmastra del mare, gli restituì la lucidità che
la notizia e la frenesia della partenza gli avevano tolto. alle
19.30 sarebbe sbarcato nel “continente”, doveva percorrere
circa 1.200 chilometri e arrivare a destinazione intorno le
sei del mattino successivo per accompagnare Bruna in
ospedale e assistere al parto; quindi aveva undici ore scarse
di tempo, undici ore per bruciare nella notte quella distanza. Ce la poteva fare. Guidare di notte era un’abitudine
che gli aveva trasmesso il padre, di notte, gli diceva, c’è
meno traffico, si va più spediti. Stakanovista della guida,
era capace di percorrere migliaia di chilometri senza sosta,
fermandosi solo per rifornirsi di carburante, caffè e sigarette. operazione, questa, espletata in massimo 15 minuti,
poi di nuovo alla guida a divorare chilometri. Giulio ricordava il primo viaggio fatto con papà, quando nel 1965
aveva deciso di trasferirsi con la famiglia a trieste. allora
la Salerno Reggio Calabria era ancora un progetto da realizzare, ovviamente in coda a tanti altri che in quegli anni
di boom economico avevano la precedenza. Raggiungere
Salerno, dove iniziava l’agognata autostrada del Sole, era
davvero un’impresa. Più di quattrocento chilometri di
strade provinciali che attraversavano sperduti paesini, tornanti che si arrampicavano, inanellandosi, sui fianchi di
scoscese montagne nell’oscurità totale che le avvolgeva,
per poi ridiscendere approdando su lunghi tratti di costa
dove il riflesso della luna sul mare sembrava accogliere il
viaggiatore come un faro. Una via crucis di quasi dieci ore,
un tour de force per iniziati.
il frastuono metallico delle catene che accompagnavano
la discesa del portellone del traghetto al suo approdo, scacciò via quel ricordo dalla sua mente riportandolo alla realtà. La lentezza con la quale le auto procedevano allo
sbarco gli provocò una sensazione d’inquietudine. Si accodò impaziente al serpentone che si dirigeva verso l’imbocco dell’autostrada, imprecando per la lentezza con il
quale si muoveva. “Ci sarà certamente qualche imbranato
che se la prende comoda”, pensava tra sé mentre si accendeva l’ennesima sigaretta; ne aveva fatto una scorta sufficiente per tutto il lungo viaggio. La teoria di auto
finalmente raggiunse l’imbocco della autostrada; lampeggiatore subito a sinistra il piede schiacciato sull’acceleratore
e un lungo sorpasso a scavalcare tutte auto che lo precedevano. alla sua sinistra le luci che disegnavano l’ultimo spigolo di Sicilia si andavano perdendo in lontananza, fino a
scomparire nella notte. infilò un CD nella stretta fessura
dell’autoradio; la musica sarebbe stata la sua unica compagna nella lunga corsa verso la Liguria. Era solo mentre faceva calcoli stilando mentalmente una tabella di marcia da
rispettare a tutti i costi: rispettandola prevedeva di arrivare
a Genova intorno alle 6. il tempo di rinfrescarsi e avrebbe
accompagnato Bruna al Galliera.
Quante volte, la testa poggiata sulla grembo di Bruna,
l’aveva sentita scalciare, sempre più prepotentemente,
sempre più forte, quasi a volergli comunicare la sua voglia
di nascere, di farsi stringere dalle sue braccia. Le parlava,
quasi potesse sentirlo.
Palmi, Gioia tauro, Rosarno... i verdi cartelli che segnalavano le uscite, marcavano il suo progressivo avanzare
nella notte, nomi ormai familiari di luoghi che non aveva
mai visitato, solo comparse nei suoi precedenti viaggi. La
strada, che fino a quel momento correva lungo la piatta litoranea, superata l’illuminata Falerna, piegava verso l’interno, arrampicandosi verso la boscosa Sila.
Quasi sempre, verso la fine del primo centinaio di chilometri dei suoi innumerevoli viaggi in auto, Giulio, che
fosse giorno o notte, cadeva spesso in una sorta di torpore
simile al sonno, che nemmeno la musica riusciva a contrastare, era come se l’adrenalina iniziale fosse stata sostituita
da un flusso di endorfina anestetizzante. Conosceva bene
questi sintomi e sapeva bene come reagire: si accendeva
una sigaretta, tirava giù entrambi i finestrini in modo che
un violento getto d’aria fresca e turbinante lo colpisse, rianimandolo e purificando l’atmosfera viziata e fumosa
dell’abitacolo. Poi, per tutto il resto del viaggio, per quanto
lungo potesse essere, il fenomeno non si ripresentava.
alle 21.30, dopo due ore di guida, Giulio affrontava il
lungo rettilineo che portava all’uscita di Cosenza; le luci
fredde della sua periferia, penetrando nell’abitacolo, gli
provocavano una sensazione di squallore e di vuoto; se le
lasciò ben presto alle spalle rituffandosi nella notte. Un’occhiata veloce al livello del carburante che stazionava sulla
metà e agli altri strumenti, un nuovo cd, una nuova sigaretta. aveva una voglia disperata di caffè e anche un certo
languore per la cena saltata; si sarebbe fermato più avanti,
prima che la spia rossa si accendesse, per un veloce pitstop: pieno di carburante una veloce incursione all’autogrill per un caffè e qualche genere di conforto che avrebbe
consumato alla guida. Poteva percorrere ancora un centinaio di chilometri in sicurezza, fino a Lauria dove sapeva
esserci un autogrill, un’altra ora di marcia attraverso le
montagne del Pollino superando le uscite di Sala Consilina
e tarsia, altre comparse sul suo percorso. Giulio, concentrato nella guida e nella tabella di marcia che fino a quel
momento aveva rispettato, si era quasi dimenticato del motivo del suo viaggio. Emerse improvviso, accompagnato da
una scarica di adrenalina che gli infiammò il viso. Stava diventando padre! aveva un appuntamento con sua figlia,
col suo nuovo futuro, con nuove responsabilità, con nuove
gioie. Come le avrebbe affrontate? Era arrivato al matrimonio che aveva ormai 37 anni, ultimo di tutta la schiera dei
suoi amici che già da tempo si erano accasati. La sua era
stata una scommessa quasi temeraria: una moglie che veniva da lontano e che si portava appresso cultura e abitudini diverse dalle sue. Sarebbero riusciti, adesso che tra di
loro spuntava questa nuova presenza, a integrare e fondere
le due culture, indirizzandole per il bene della figlia? aveva
sempre amato i bambini e questo rappresentava certamente un vantaggio, con loro instaurava immediatamente
e senza sforzo un rapporto empatico subito ricambiato.
Giulio era fiducioso, sapeva come gestire, anche praticamente, questo nuovo rapporto.
Le luci che in lontananza spezzavano il buio, gli annunciavano che era in prossimità dell’area di servizio. allentò
la pressione sull’acceleratore, guardò l’orologio luminoso
sul cruscotto, erano da poco passate le 22. Realizzò d’essere
in anticipo sulla tabella. L’aria fresca che sapeva di benzina
e di campagna gli provocò un brivido di freddo, si precipitò nel bar quasi deserto, ordinò un caffè ristretto, acquistò
dei biscotti e, per soddisfare la sua golosità, qualche tavoletta di cioccolata. L’accento dell’assonnato barista sembrava sottolineare la distanza che aveva messo tra lui e la
Sicilia, altri ne avrebbe uditi nel suo percorso: la cadenza
musicale del napoletano, quella guascone del romano,
l’asmatico toscano e, alla fine, il salmastro ligure.
Riempito il serbatoio, si rituffò nella monotona e rettili
nea oscurità. i km scorrevano veloci sotto l’auto, il buio li
rendeva tutti uguali e anonimi. Pensava a sua figlia…
l’aveva vista qualche tempo prima in una sfocata e confusa
immagine dell’ecografo, sufficiente però a determinarne il
sesso. non aveva preferenze, non era il tipo da desiderare
un maschio solo per poter trasferire su di lui i suoi sogni
irrealizzati. La avrebbe amata in ogni caso.
ancora non avevano deciso che nome dare alla nascitura, stranamente non avevano mai affrontato l’argomento,
anche se Guido un’idea già ce l’aveva: Marta! Come quella
canzone dei Beatles “Martha my dear you have always
been my inspiration” che spesso canticchiava quando pensava a lei.
Giulio era immerso in paesaggi che, nonostante l’oscurità, riconosceva. Gli scorrevano accanto veloci, riportandogli alla mente viaggi fatti in altri tempi, seduto accanto
a suo padre o con gli amici per le sue fughe, sempre con la
voglia addosso di scoprire, di vedere, di vivere. Stava diventando un viaggio nel tempo, non nello spazio. Era come
se il monotono ed incessante vibrare del motore avesse il
potere di frantumare la crosta che rivestiva i suoi ricordi
più remoti, riportandoli, vivi e palpitanti, tra le pieghe del
suo pensiero. adesso, però, doveva concentrarsi sul futuro,
su ciò che, alla fine di quell’interminabile susseguirsi di chilometri, lo aspettava.
Salerno era un ammasso di luci che si riflettevano sul
mare, presto inghiottite dal buio quando la strada, curvando a destra, iniziò ad impennarsi verso l’interno. Superava sperduti autogrill vincendo la voglia di fermarsi per
un caffè e una respirare una boccata d’aria fresca. non poteva fermarsi, doveva rispettare i tempi, se li lasciava alle
spalle con rimpianto pestando ancora di più sull’acceleratore. Mangiò qualche biscotto e un’intera tavoletta di cioccolato, guardò il display dell’orologio, da poco era iniziato
il nuovo giorno, il 14, il giorno della nascita di sua figlia,
una data che non avrebbe mai dimenticato.
La notte srotolava indifferente le sue ore avvolgendo gli
ormai rari viaggiatori nel suo scuro abbraccio. Quella dimensione, dove tutto sembra essersi fermato in attesa della
luce, gli aveva sempre suscitato un senso di complice intimità; gli ricordava le scorribande con gli amici di qualche
anno prima, incapsulati in auto ad ascoltare la loro musica,
o le levatacce prima dell’alba per recarsi al lavoro, quando,
assonnato, percorreva le vie della città immaginando, ma
soprattutto, invidiando chi ancora si godeva il sonno.
Un cartello fosforescente gli annunciò che mancavano
solo poche decine di chilometri all’autogrill, un’oasi di luci
ammiccanti e sfavillanti nel buio. Un senso di doloroso fastidio aveva iniziato a insinuarsi nella sua schiena, la braccia, incollate allo sterzo, quasi anestetizzate, e la bocca
amara, satura di nicotina, reclamavano un stop, qualche
momento per rigenerarsi. Pochi chilometri bruciati in velocità, poi la sosta davanti l’ingresso del bar. arrestò il motore che col suo silenzio sembrò quasi ringraziarlo, salì di
slancio le scale fino alla porta d’ingresso. Le luci assordanti
quasi lo accecarono, mentre le sue gambe ancora vacillavano insicure. nonostante l’orario notturno, una piccola
folla affollava la cassa, pochi ma lunghissimi minuti di nervosa attesa poi di corsa verso il bancone per il suo desiderato caffè. Percorse il lungo labirinto che si snodava tra gli scaffali ricolmi di ogni genere di prodotti, dribblando persone e cesti ricolmi provocanti e golose specialità gastronomiche, raggiungendo l’uscita. Si accese la canonica
sigaretta del dopo caffè che consumò lentamente passeggiando sul piazzale, nella sua testa calcolava lo spazio e il
tempo necessari a raggiungere Genova.
nuovamente nel buio, rinfrancato dalla sosta, si sentiva
carico di energia e anche di curiosità. Concentrò il pensiero
sulla creatura che stava per nascere, cercava di immaginarne il suo volto, si domandava cosa avrebbe prodotto la
fusione di due persone così geneticamente lontane? Giulio,
siciliano da generazioni, pelle e occhi scuri, e Bruna, nelle
cui vene scorreva sangue inglese, dai tratti nordici, coi capelli biondi e gli occhi azzurri. Sarebbe stata una bimba con
gli occhi azzurri e capelli biondi come la madre o avrebbe
ereditato i suoi colori mediterranei? o forse qualcosa di
completamente diverso, una fusione armonica delle caratteristiche di Bruna e sue?
Le luci che sfilavano alte alla sua sinistra sulla rocca di
orvieto, gli fecero abbandonare quelle congetture; la toscana con i suoi paesaggi nascosti nel buio gli veniva incontro. La nottata era serena, illuminata da una grande
luna piena che gettava i suoi raggi sul paesaggio che costeggiava la lunga striscia di asfalto. a est poteva distinguere nitidamente la pianura che si corrugava diventando
l’avanguardia degli appennini.
iniziarono a comparire con la loro fosforescente luminosità i primi cartelli che segnalavano l’uscita di arezzo. Conosceva bene quell’antica città dove viveva una cara amica, spesso l’andava a trovare per mangiare una “ribollita” nella sua trattoria in piazza Grande, ma soprattutto per
rinnovare i loro legami di amicizia e affetto. L’aveva chiamata quando aveva saputo che stava per diventare padre
e, Manuela, la sua amica, non aveva saputo trattenere un
urlo di sincera gioia.
Badia al Pino, ultimo rifornimento, ultima sosta prima
di affrontare gli ultimi 280 km fino a Genova. Considerato
che era in anticipo, stavolta si concesse anche una piccola
colazione. nuovamente alla guida, nell’abitacolo impregnato dal fumo di decine e decine di sigarette, si immaginava davanti la porta di casa della suocera, curioso di
vedere la reazione di Bruna quando se lo sarebbe visto
comparire davanti, certamente con una espressione di incredulità.
14 settembre 1989, ore 05,15
Giulio imboccò l’uscita di Genova Est che, dopo la lunga
discesa che sfiorava il cimitero di Staglieno e il vecchio stadio Marassi, lo avrebbe portato nelle vicinanze della stazione di Brignole e di via XX Settembre, a due passi dalla
casa dei suoceri. Una voce assonnata gracchiò nel citofono
e subito dopo uno scatto metallico aprì il portone. Spinse
le pesanti ante di legno massiccio che si aprivano nell’ atrio
dai lucidi pavimenti. La salita in ascensore, che lo stava
portando al quarto piano, gli restituì la sua immagine riflessa. tutti quei chilometri sembravano essersi incollati sul
suo volto, sbiadendo quel colore scuro che gli aveva
l’asciato l’estate siciliana.
Dietro la porta socchiusa dell’appartamento, che si spalancò al frastuono delle porte dell’ascensore, c’era Bruna
ad accoglierlo con il suo pancione; l’espressione mal celata
tra la meraviglia e il disappunto, il viso affaticato e teso.
“tu sei un incosciente!!!” le sue prime parole, “hai rischiato
di far nascere tua figlia già orfana!”. Poi il suo viso di aprì
in un sorriso e lo abbracciò.
L’aroma del caffè appena fatto sommerse il tenue profumo di Bruna, attirando Giulio verso la cucina. Salutò i
suoceri, James e Fosca, versandosene una bollente tazza.
tra un sorso e una sigaretta, raccontò brevemente la corsa
che aveva compiuto per arrivare in tempo per il parto,
dopo li lasciò per chiudersi in bagno; una doccia ristoratrice per togliersi di dosso la stanchezza e la puzza di fumo
e una veloce passata di rasoio per cancellare la viso ogni
residuo di stanchezza.
Era l’ora di andare. Rigenerato ma emozionato, con
Bruna e i suoi genitori sul sedile posteriore, percorse il
breve tragitto che si arrampicava fino all’ospedale. La piccola comitiva accompagnò la futura puerpera fino al reparto; gli ultimi saluti, le rassicurazioni, la mano di Bruna
che dalla lettiga stringeva la sua, poi, insieme alla madre,
scomparì dietro la porta della sala operatoria.
Restò solo con il suocero nella piccola saletta d’attesa
fuori dal reparto. all’unisono si accesero le rispettive sigarette. Giulio immaginava che nella lunga e nervosa attesa,
come spesso si racconta, avrebbe dato fondo a tutto il pacchetto che stringeva nervosamente nella tasca della giacca.
Due chiacchiere con il suocero, l’altissimo e dinoccolato
James, ultime boccate alle sigarette e pacchetto già in mano
per la successiva. La porta della saletta si aprì improvvisamente e si materializzò una infermiera con ancora indosso
il camice verde da sala operatoria; tra le braccia un asciugamano arrotolato. “Chi è il signor Dagnino?”, chiese con
tono perentorio e senza nemmeno salutare. Giulio, che al
suo apparire aveva velocemente riposto in tasca il pacchetto delle sigarette, le rispose tra il timido e l’ansioso
“Sono io”. La donna gli si avvicinò, con una mano spostò
un lembo della asciugamano che teneva in braccio rivelando il volto paonazzo di una bimba. “Questa è sua figlia,
signor Dagnino “. Richiuse l’involto e rientrò nel reparto.
L’improvvisa emozione di quella brevissima immagine
del viso di sua figlia, gli esplose dentro spingendolo tra le
braccia del suocero, dove quell’emozione si trasformò presto in gioia che lasciò sgorgare liquidamente dai suoi occhi.
Giulio respirava l’odore acre delle candele che si mescolava in modo sgradevole con quello dolciastro dei fiori.
non metteva piede in una chiesa da anni, salvo che per
presenziare al funerale di qualche parente. Viveva a Milano
da qualche decennio e in quegli anni aveva periodicamente
ricevuto le tristi telefonate di chi l’avvisava che qualcuno
a lui vicino era mancato. Era stato così, anni prima, anche
per suo padre. Ricordava il mesto volo che lo riportava
nella sua città, rievocando antichi momenti vissuti con lui,
la sua voce, la sua risata e con il senso di colpa per non aver
potuto essergli vicino negli ultimi suoi attimi. Scacciò infastidito questi pensieri dalla sua mente.
Lasciò il suo posto, attraversò le file di banchi dove
erano assiepati amici, parenti e conoscenti, percorrendo la
lunga passatoia che portava all’ingresso. Fuori, sotto un
sole implacabile, quella fastidiosa mescolanza di odori
svanì, restituendogli la voglia di respirare e di fumare. Un
paio di boccate e la Mercedes scura si fermò nel piazzale,
davanti l’ingresso. Qualcuno aprì la portiera posteriore e
lo svolazzare di un prezioso tessuto bianco, lasciò l’abitacolo. L’elegante e sobrio abito da sposa che adele indossava, contrastava con la sua carnagione abbronzata e i
lunghi capelli ricci facevano da cornice a un sorriso che
emanava tutta la sua gioia e felicità. Le si avvicinò, la
strinse in un abbraccio che voleva trasmetterle tutta la sua
contentezza, il suo orgoglio di padre, ma anche il remoto
dispiacere di perderla.
Poi Giulio le porse il braccio, adele gli si aggrappò come
se non volesse più staccarsi da lui e insieme, lentamente,
mentre le note di un organo riecheggiavano tra le volte
della chiesa, percorsero quell’ultimo tratto che portava all’altare.
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