05 Novembre 2022
fonte: pixabay
Quando sul calendario si accoppiano quel numero inviso e quel particolare giorno della settimana, per tanti, un
giorno qualunque si trasforma in una data funesta, in un
giorno da vivere con cautela, prestando attenzione a ogni
piccolo segnale di pericolo. Un funesto retaggio legato al
giorno della morte di Gesù, un venerdì per l’appunto.
Giulio non si lasciava condizionare da certe credenze; il
suo scetticismo e la sua razionalità avevano avuto sempre
il sopravvento; di tante credenze popolari ne conosceva
l’origine storica che il tempo aveva trasformato in superstizione, pertanto non aveva mai vissuto quella giornata
con ansia, non attribuendole alcuna capacità di essere foriera di eventi negativi e funesti. Di tanto in tanto si concedeva di guardare gli oroscopi che trovava sui quotidiani,
giusto per curiosità, per costatare l’omologazione delle risposte e la loro subdola adattabilità a ogni personalità e a
ogni evento. Quel venerdì 17, però, era una giornata particolarmente importante per Giulio, per la sua carriera e i
suoi guadagni; la coincidenza della data quasi gli era sfuggita, tuttavia, fin dalle prime ore della mattina i segnali che
una sottile ansia lo stava prendendo erano diventati sempre più palesi, e certi sintomi fisici si facevano sempre più
forti e dolorosi. Per tutta la mattinata aveva girato in auto
nel traffico di Milano, correndo freneticamente da un appuntamento di lavoro all’altro, sempre sotto pressione fin
quando, poco prima l’ora di pranzo, quel filo d’ansia si era
trasformato in una costante fitta dolorosa che partiva da
entrambe i lombi: un dolore costante, un morso che gli
dilaniava adesso tutta la schiena e che Giulio aveva notato,
cresceva sempre più. Guidare nel traffico di Milano, poi,
era una vera tortura, sentiva montare continue ondate di
dolore che gli toglievano il respiro.
Conosceva la causa di tutta quell’ansia. L’avvicinarsi di
quel conclusivo appuntamento di lavoro. Fissato per le diciassette di quel pomeriggio, gli sarebbe stato comunicato
l’esito del piano d’investimenti che aveva presentato a
quell’importante società e la cui decisione dipendeva dal
parere del direttore generale, figura che non aveva mai conosciuto. Positivo o negativo... aveva il 50% di probabilità
di successo o di fallimento, e questa seconda possibilità
avrebbe vanificato il lavoro di giorni e giorni e fatto crollare
le sue aspettative. nelle settimane precedenti, Giulio aveva
studiato meticolosamente i servizi più adatti alle esigenze
del cliente, la giusta pianificazione degli investimenti per
tutto il periodo successivo, ottimizzando i vantaggi che tale
investimento avrebbe procurato alla società. Era tutto perfetto e calibrato, studiato a quattro mani nel corso di diversi
incontri e con la collaborazione della responsabile di settore, una bellissima ed elegante donna sulla cinquantina,
alla quale Giulio non aveva risparmiato qualche discreta e
gradita galanteria. La proposta conclusiva prevedeva la
sottoscrizione di un contratto e il conseguente investimento
di oltre un centinaio di milioni di lire, una cifra importante,
che oltre al prestigio che gli avrebbe procurato in azienda,
si sarebbe tradotto in un cospicuo e concreto montante provigionale.
L’incertezza dell’esito aveva, quindi, generato quello
stress mentale che si era andato a materializzarsi nella sua
schiena trasformandosi in una fitta di dolore che adesso gli
faceva contrarre tutti i muscoli del corpo; prima di pranzo,
la faccenda era divenuta insopportabile. Giulio non ne poteva più, annullò con una scusa l’ultimo appuntamento
della mattinata e, stringendo i denti per la sofferenza, si diresse verso casa; aveva bisogno di stendersi, di prendere
qualcosa per lenire il dolore, di rilassarsi in tempo per il fatidico appuntamento delle diciassette. Ce l’avrebbe fatta?
Sarebbe riuscito a sconfiggere almeno in parte quel disagio
che gli impediva persino di pensare?
trovare posteggio sotto casa a quell’ora, era impresa da
coraggiosi e spavaldi ottimisti; Giulio iniziò ad anellare giri
su giri intorno alle stradine più prossime alla sua casa, in
cerca di un posto dove lasciare l’auto, ma nemmeno la sua
fantasia e la sicula predisposizione a infrangere ogni regola, anche rischiando una multa, lo aiutarono. Con occhio
attento a ogni particolare, studiava ogni indizio, ogni movimento che gli potesse dare la speranza che qualcuno
stesse per lasciare libero un posto. notò una signora che
arrancava sotto il peso di almeno quattro buste del supermercato, la vide fermarsi, posare i pesi sull’asfalto, esplorare il fondo della sua capiente borsa. Bastò questo a Giulio
a fargli capire che la donna stava certamente cercando, nel
caos di quella sporta, le chiavi della sua auto. Rallentò fino
a fermarsi davanti ad un passo carraio, da li poteva seguirne i suoi movimenti e quale fosse la sua auto. Era in
agguato come un falco pellegrino, seguì con lo sguardo la
donna, che miracolosamente doveva aver trovato le chiavi,
mentre si dirigeva verso l’incrocio. Certamente non doveva
essere distante, forse era proprio quella parcheggiata al
l’angolo; avviò l’auto e, a passo d’uomo, occupando la carreggiata in modo da non poter essere preceduto da nessuno, raggiunse la donna mentre le luci che sbloccavano le
portiere iniziavano a lampeggiare. Centro! attese pazientemente il carico di tutte le sporte nel bagagliaio, la osservò
sparire all’interno della vettura, controllare nello specchietto se era proprio lei, sistemare la borsa sul sedile accanto, portare all’orecchio un telefonino. tutto svolto con
esasperante lentezza, con una noncuranza quasi sfottente,
senza alcun rispetto per il dolore di Giulio! Partì un meridionalissimo colpo di clacson che risuonò amplificato nella
stretta stradina. Vide lo sguardo interrogativo della donna
posarsi sullo specchietto esterno, meravigliata per quell’inusuale esternazione sonora che il gesto esplicito di Giulio, che con la mano le faceva cenno di avviarsi, rafforzò.
anche smontare dall’auto era stata impresa difficile e
dolorosa per Giulio, movimenti studiati e calibrati sulle
parti più doloranti per evitare il peggio, lo accompagnarono, passo dopo passo, fin davanti alla porta di casa. Stramazzò sul letto con ancora l’inseparabile valigetta di lavoro
in mano; erano le 13.30, aveva poco più di tre ore per combattere il dolore e recuperare forze e lucidità per recarsi all’incontro. Saltò il pranzo nonostante la massiccia dose di
antidolorifici che, appena ripreso fiato, aveva ingurgitato
a stomaco vuoto. acqua fresca... il dolore, dopo più di
un’ora era sempre lì a mordergli la schiena, gli sembrava
quasi più intenso, più cattivo. tentò con il training autogeno, pratica appresa qualche tempo prima, ma senza esito
alcuno. il tempo passava velocemente, sembrava accelerare
di attimo in attimo, gli restava ancora poco più di un’ora
prima dell’appuntamento, e la sua ansia cresceva a dismisura, mettendogli un’agitazione che si contrapponeva a
ogni tentativo di rilassamento. Si sentiva impotente, vinto,
pronto a gettare la spugna, costretto a rimandare l’incontro
conclusivo ad altra data. Era conscio che non era una
mossa professionale che certo non deponeva a suo favore,
poteva essere interpretata come una semplice scusa, una
mancanza d’interesse, né, tantomeno, pensava di abbandonarsi a una pietosa descrizione del suo stato. Doveva trovare una soluzione diversa a quella che sembrava la più
ovvia. il suo diretto superiore nell’organigramma aziendale era uno dei due direttori commerciali, che era già stato
presente a una delle precedenti trattative intavolate con il
cliente. Era un suo vecchio e fraterno amico, una persona
affidabile, professionale e quel tanto spregiudicata da portarlo ai vertici aziendali. tra di loro non esisteva nessuna
differenza gerarchica, si lavorava spesso per il comune interesse, senza invidia, con rispetto e anche con affetto. Giulio poteva, anzi, doveva contare su di lui in questo
momento critico, avrebbe chiesto a Cesare, questo era il suo
nome, di sostituirlo, di prendere il suo posto, magari con
la scusa che la trattativa era così importante da giustificare
l’intervento di una figura aziendale più significativa. Muovendosi con la massima cautela e stringendo i denti per il
dolore che ogni suo minimo movimento amplificava, afferrò il telefono e compose il numero dell’amico, attese. Gli
squilli si succedevano regolari, dieci, quindici, tanti. nessuna risposta, nessun segno. Rassegnato, disperato quasi,
Giulio chiuse la comunicazione. Bloccò sul nascere un minaccioso attacco di panico, scartò a priori l’idea di mollare
tutto, di mandare all’aria la trattativa, cliente e guadagni
sforzandosi, invece, di ragionare lucidamente, concentrandosi alla ricerca di un’alternativa, un sistema per aggirare
quel telefono dispettosamente muto. Ricompose il numero
nella speranza che il silenzio di Cesare fosse temporaneo,
magari impossibilitato a sentire lo squillo, che fosse impegnato. il terzo squillo fu l’ultimo, poi solo silenzio. Giulio
capì! Cesare aveva rifiutato la chiamata! L’ansia e la quasi
disperazione si trasformarono in un nanosecondo in una
rabbia incontenibile. iniziò a urlare a tutta voce, come se
Cesare lo avesse potuto udire, una litania di apprezzamenti
e anatemi irripetibili. Scaraventò sul letto quell’oggetto
inutile e si alzò di scatto. La rabbia aveva temporaneamente scavalcato il dolore che, con quel movimento repentino, tornò più prepotente di prima. Una fitta lancinante gli
segò di colpo le gambe facendolo precipitare sul letto, faccia in giù, come un burattino inanimato, stordito, il respiro
sospeso come attendesse il colpo di grazia definitivo e maledicendosi per quel gesto stupido e irresponsabile. Lentamente, con gesti misurati come se stesse disinnescando una
bomba, si rigirò mettendosi supino, cercando una posizione che gli attenuasse in parte la morsa che gli serrava le
reni. Sul comodino alla sua destra la confezione degli antidolorifici lo chiamava prepotentemente; allungò il braccio
fino a afferrare la scatola, espulse due compresse dal blister
e le ingoiò con un sorso d’acqua cercando di rilassarsi.
adesso il respiro era tornato regolare, e il dolore, forse per
la posizione supina o forse per le pillole, sembrava in parte
più gestibile. Prese il telefono e iniziò a scorrere tutta la rubrica, in cerca di un nome che gli accendesse un’idea. in
fondo alla nutrita lista di numeri scorsi da Giulio, apparve
un nome, Romeo Varzini, l’altro direttore commerciale.
Bingo! Era la persona giusta; si conoscevano da tempo
spesso si erano ritrovati in riunioni importanti, o in occasione di qualche cena aziendale e, più spesso, in amene serate per un aperitivo. Compose il suo numero pregando
che gli rispondesse, che il telefono non squillasse a vuoto
come quello di Cesare.
“Pronto!” al quarto squillo la voce di Romeo irruppe nell’orecchio di Giulio provocandoli un sussulto, si mise seduto, tirò un lungo respiro e rispose “Ciao Romeo, sono in
totale emergenza” e iniziò a sciorinargli brevemente tutta
la storia di quella giornata e l’impossibilità di comunicare
con Cesare. “alberti” Romeo chiamava da sempre Cesare
con il solo cognome, “è in direzione generale per una riunione, io sono uscito un attimo per fare una telefonata, comunque l’incontro sta per finire, riferirò quanto mi hai
raccontato, stai tranquillo, ti faccio chiamare appena si libera”. L’effetto di quel breve colloquio fu miracoloso per i
suoi dolori e il suo umore; Giulio adesso si sentiva rinfrancato, nel corpo e nello spirito. Provò a mettere i piedi fuori
dal letto, li poggiò per terra sollevandosi lentamente e, reggendosi alle pareti, si diresse lentamente verso la piccola
cucina; il suo stomaco, infatti, bombardato dalla massiccia
dose di medicine che aveva ingollato a digiuno, era in subbuglio e ondate di nausea gli arrivavano intermittenti. tagliò una fetta della crostata che aveva preparato la sera
prima, faticando a ingoiare il primo boccone, la sua bocca,
infatti, era secca e il dolce gli s’incollava nel palato. Bevve
del succo di frutta che lo aiutò a ingoiare il perfido boccone,
tagliò un’altra piccola fetta che mangiò avidamente e più
agevolmente mentre metteva sul fuoco la piccola caffettiera. il profumo del caffè inondò il piccolo locale con il suo
penetrante aroma, se ne versò un’abbondante tazza afferrando contemporaneamente il rosso pacchetto delle sigarette; non fumava da ore, il malessere gli aveva soffocato
anche quel vizio e la prima boccata gli provocò una raffica
di violenti colpi di tosse che rimbombarono pericolosamente sulla sua schiena dolorante.
adesso doveva solo aspettare la chiamata di Cesare e tenere sotto controllo la naturale ansia che l’attesa avrebbe
scatenato, insieme al dubbio per l’esito della trattativa.
tornò a stendersi a letto, la schiena gli doleva ancora tanto,
anche se il dolore era diventato più sopportabile, prese il
libro che stazionava sul comodino nel tentativo di distrarsi
e far passare così il tempo dell’attesa. Le righe di quel romanzo scorrevano velocemente ma a differenza della sera
prima nulla di ciò che stava leggendo gli era comprensibile,
solo macchie senza senso. il suo pensiero era altrove, con
Cesare, in quell’ufficio dove si sarebbe conclusa, in un
modo o nell’altro, la trattativa. Chiuse il libro che riposò
sul comodino, gli occhi gli si chiudevano per lo stress di
quella giornata campale, li assecondò scivolando in un
sonno profondo e anestetizzante.
Lo squillo del telefono lo riportò bruscamente alla realtà;
guardò l’orologio, erano passati poco più di una ventina di
minuti dal momento in cui il sonno aveva avuto il sopravvento. Gli era sembrata un’eternità. Riconobbe il numero
di Cesare, e questo gli provocò una scarica di adrenalina
che cancellò all’istante il torpore del sonno. Prese fiato
come volesse prepararsi a ogni eventualità, anche la più
negativa, la meno auspicabile. timidamente rispose alla
chiamata. “Cesare! Che mi dici?”. Giulio interpretò la lunga
pausa che precedette la risposta di Cesare, come foriera di
cattive notizie…e una vampata incandescente percorse
tutto il suo corpo infiammandogli le gote.
Con l’apparecchio incollato all’orecchio, Giulio sentiva
in lontananza la voce dell’amico che parlava con qualcuno.
“Cesare!” quasi urlò nel telefono, poi nuovamente quella
voce familiare, adesso forte e chiara, che gli diceva” Ciao
Giulio, tutto ok, il contratto, firmato e timbrato per quell’importo, è nella mia borsa. Scusami devo lasciarti, poi ti
racconto. Stammi bene”. La notizia sembrò sciogliere all’istante quella massa dei nervi contratti che da ore tormentava Giulio che, in uno slancio d’ottimismo e incurante
delle possibili conseguenze, per l’entusiasmo saltò giù dal
letto con l’agilità di un gatto. Si bloccò immediatamente,
quel gesto sconsiderato avrebbe certamente generato una
nuova fitta di dolore fortissima, la aspettava, denti stretti,
preparato ad affrontare un nuovo devastante assalto. Ma
non accadde nulla! ogni fastidio era sparito, quella morsa
che gli martoriava i lombi svanita come per magia. Stava
bene adesso, tutto finito, l’inferno che l’aveva accompagnato per tutta la giornata adesso si era trasformato in un
limbo indolore. Era bastata solo quella miracolosa notizia!
Se Giulio aveva ancora qualche dubbio sull’origine psicosomatica di tutto quel malessere, quell’improvvisa guarigione gli confermava come l’origine di certi malanni,
anche di certe malattie, abbia origine nel nostro cervello,
che così ci manifesta il suo disagio.
Qualche giorno dopo, ristabilitosi e in piena forma, Giulio fissò un nuovo appuntamento con quello che era ormai
diventato un cliente; alcune formalità tecniche, il ritiro del
materiale necessario per la campagna, un saluto alla bella
e affascinante responsabile. La donna le raccontò alcuni retroscena di quel fatidico giorno della firma. Quando gli raccontò che si era giunti alla firma dell’accordo solo ed
esclusivamente per la presenza del presidente che, lasciando ogni impegno, aveva accompagnato Cesare all’incontro, Giulio, perplesso, stava per risponderle che era
impossibile che il presidente avesse potuto partecipare alla
trattativa, perché lo sapeva a Roma per altri impegni. Un
sesto senso gli bloccò sulla lingua la risposta; confermò, invece, che il presidente, volto noto anche della politica,
aveva voluto essere presente per l’importanza e il prestigio
dell’azienda e della trattativa in atto. Giulio si fece carico
di riportare i saluti e i ringraziamenti al famoso personaggio. Gli ultimi saluti, la mano di Giulio che indugiava in
quella della donna, come se volesse esprimerle tutta la sua
ammirazione per la sua elegante bellezza.
appena in auto, Giulio chiamò immediatamente Cesare;
ancora non riusciva a darsi una spiegazione per quell’equivoco così determinante per la conclusione positiva della
trattativa. Cesare, stavolta, rispose al secondo squillo. Gli
raccontò, parola per parola, l’incomprensibile racconto
della donna e l’inspiegabile presenza del presidente, chiedendogli di chiarirgli il mistero. Giulio sentì l’amico abbandonarsi in una lunga e sonora risata. Quando Cesare si
ricompose e poté parlare in modo comprensibile, gli raccontò come, alla fine della riunione e dopo aver ricevuto il
messaggio da parte di Romeo, aveva chiesto al collega di
accompagnarlo e partecipare alla trattativa. Romeo, Giulio
ripassò mentalmente la fisionomia dell’uomo…sì, certo! i
tratti del volto ricordavano vagamente quelli del presidente, la mascella squadrata, gli occhiali da vista, la pettinatura, coincideva proprio tutto! Scambiarlo per lui, a chi
non aveva mai incontrato il vero presidente, era più che
naturale. Questa volta un’irrefrenabile e sonora risata partì
dalla gola di Giulio: aveva capito tutto! Cesare era capace
di inventarsi soluzioni del genere, di bluffare spudoratamente, di giocare sull’equivoco.
Giulio lo insultò affettuosamente, ringraziandolo di
cuore per la cortesia che gli aveva fatto e in segno di riconoscenza e per sdebitarsi, lo invitò a cena per la stessa sera.
Di Pippo Donato
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