09 Luglio 2022
fonte: pixabay
Giulio viveva a Milano ormai da anni e lavorava come venditore per l’istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, promuovendo l’acquisto di edizioni a tiratura limitata di opere letterarie molto pregiate e destinate a un pubblico ricercato, per lo più da collezionisti. L’ultima pubblicazione aveva come tema “il teatro alla Scala di Milano”. Quel giorno Giulio aveva in agenda un appuntamento con un potenziale cliente, un certo signor Giuseppe Musco.
Il signore abitava in una zona residenziale molto esclusiva dalle parti del San Raffaele. Per ogni venditore, e così era
anche per Giulio, qualsiasi appuntamento rappresentava una possibilità di guadagno e di conseguenza la pianificazione e la preparazione dell’incontro avevano la sua importanza. Giulio si preparava sempre all’incontro analizzando il potenziale cliente in ogni sua peculiarità. Spesso dal cognome trovava spunti per creare la giusta empatia. Dal cognome, infatti, poteva risalire alle origini territoriali, in modo da poter trovare uno spunto, magari un ricordo o una conoscenza legata a quel luogo; un modo di rompere il ghiaccio. il cognome Musco proprio non gli diceva nulla!
Nessun problema, Giulio era stato sempre un buon osservatore, per cui si sarebbe basato su altri indizi per capire la personalità del suo interlocutore e, con essi, il giusto modo per iniziare una conversazione per poi passare alla trattativa.
arrivato, come sempre, puntualissimo all’appuntamento, gli venne ad aprire una colf sudamericana che l'introdusse in un luminoso salotto arredato con mobili di prestigio, antichi divani e poltrone damascati, una collezione di quadri alle pareti, lucidi argenti e una ricca libreria, in cui spiccavano altre pubblicazioni dell’istituto da lui rappresentato. il tutto in una pulizia e un ordine supremo che l’ampia vetrata, che dava luce a tutto l’ambiente, metteva in risalto. Era palese che tutto questo equilibrio nell’arredamento fosse stato realizzato da mani sapienti.
L’architetto però era stato abile nell’aver armonizzato e unificato diversi elementi anche eterogeni tra loro, riuscendo a creare un'armonia sobria ed equilibrata. La mano che aveva creato quell’armonia, identificava lo spirito degli abitanti,. il tema ricorrente in tutta la casa era la fusione fra i diversi elementi in cui la luce giocava un ruolo fondamentale. Penetrava in tutte le stanze; una luce che poteva essere intensa ma che si trasformava, con il trascorrere delle ore della giornata, fino a divenire tenue, donando agli ambienti un'intimità enigmatica.
Seduto, anzi, sprofondato su di un’ampia poltrona, un signore sugli ottanta. i pochi capelli candidi, la figura esile, minuta e ossuta, l’aria serafica e stanca, quasi rassegnata, emanavano un grande senso di nobile dignità. Un vero “signore”, di quelli di una volta. Con garbo lo invitò ad accomodarsi nella poltrona accanto per illustrargli l’opera, motivo della visita. Giulio lo osservava, mentre le parole gli uscivano automaticamente dalla bocca, studiava le sue espressioni per valutare il suo interesse. Il signor Musco era attento a ciò che Giulio gli stava illustrando, tuttavia la sua attenzione era più una forma di rispetto nei suoi confronti, per il lavoro che stava svolgendo, che vero interesse per il libro che gli mostrava.
Mentre dalla sua bocca uscivano in scioltezza parole su parole, che illustravano le caratteristiche e la preziosità di quell’edizione limitata, il suo sguardo si posava su ogni oggetto, su ogni cosa presente in quell’ambiente, alla ricerca di qualche indizio, uno spunto che avrebbe potuto essere utile per creare l’empatia necessaria a dare una svolta meno formale all’incontro. accanto alla poltrona dove era stato invitato ad accomodarsi, su un tavolino ricoperto da un fine merletto, fioriva una selva di cornici in argento con delle foto, le più recenti a colori, e altre in bianco/nero che risalivano all’inizio del secolo. troneggiava su tutto un ritratto color seppia di un uomo. La carnagione scura, i tratti marcati della gente del sud e la fronte ampia; un volto che
trasmetteva una grande forza, una personalità vigorosa.
Una vena d’ironia traspariva dal sorriso. inoltre quell’espressione così ammiccante aveva e una strana familiarità. Diede fondo ai suoi ricordi, scavò nella sua testa nel tentativo di trovare una corrispondenza, fino a quando dall’archivio della memoria emerse un nome: angelo Musco! il grande e notissimo attore, vanto del teatro siciliano, interprete di tante commedie e protagonista di popolari film dell’epoca. Solo allora associò il cognome del suo interlocutore a quel ritratto.
“Ma”, chiese: “Quel signore nella foto non è angelo Musco? Ma allora lei...” “si”, rispose il vecchio, “era mio padre”! immensa fu la sorpresa e il piacere che Giulio provò nel trovarsi al cospetto dell’erede del grande attore, interprete eccelso del teatro Pirandelliano, con il quale condivideva le origini siciliane. iniziarono, così, una fitta chiacchierata sempre più confidenziale, che li portò a viaggiare con la memoria, in luoghi e tempi lontani. L’atteggiamento del signor Giuseppe era notevolmente cambiato, il cortese di stacco dei momenti precedenti, lasciò spazio a una sorta di complicità che scaturiva dalle comuni origini. Giulio lo aggiornò sui cambiamenti avvenuti in Sicilia negli ultimi anni, sui sempre irrisolti problemi che affliggevano e affliggono la bella e dannata isola. Parlarono della bellezza di quella terra, dei suoi profumi, dei sapori, dei colori, che al Signor Musco mancavano ormai da anni.
Gli parlò della villa, oggi trasformata in ristorante, nei pressi della città, che porta ancora oggi il loro cognome. il formalismo dei primi momenti si era trasformato in empatia, in condivisione. il librone era rimasto li, su un tavolo, dimenticato... il signor Giuseppe nel sentir parlare il suo ospite con tanto ardore della loro terra era commosso. Probabilmente aveva avuto modo di ripercorrere in pochi minuti le vie dei ricordi legate alla sua infanzia siciliana. La nostalgia, parola che deriva dal greco e che vuol dire "dolore del ritorno", si era per un momento impadronita dell’uomo e un velo di tristezza era calato sul suo volto. La tristezza per la lontananza da persone e da luoghi cari, che erano stati i protagonisti e scenario di un passato che probabilmente avrebbe voluto rivivere, perché era fatto di giovinezza. Proprio in quel momento, in modo irruento e inopportuno, faceva la sua comparsa la moglie, anche lei avanti con gli anni, ma che Giulio vedeva come una figura totalmente
antitetica a quella del marito. il signor Giuseppe gli presentò la donna, informandola del motivo della presenza di Giulio. La signora incarnava la classica “sciura” milanese: ricca, fredda e controllata.
Per nulla doma ai disastri che il tempo aveva inflitto alla sua intuibile antica bellezza. agghindata di tutto punto, pronta per andare in centro, ostentava un fisico ancora prestante, quasi imponente, se paragonato a quello minuto del marito; elegantissima in un vestito di seta leggerissimo, colorato e svolazzante, ornata con preziosi gioielli, profumata e sicura di se. Si presentò pronunciando enfaticamente il suo cognome: “Lattuada!”, discendente dell’antica e nota famiglia che vantava prestigiosi personaggi della cultura milanese.
La donna s’interessò, con sincero entusiasmo al libro, apprezzandone i contenuti e manifestando esplicitamente la volontà di acquistarlo, anche perché sarebbe stata un’ottima occasione, in vista dell’imminente compleanno del figlio, di fargliene dono. Su questo nulla da dire se non fosse per il racconto che seguì… La Signora Matilde, infatti, iniziò a raccontare a Giulio le velleità artistiche del figlio, che avrebbe desiderato diventare un cantante lirico di successo ma che, per mancanza di talento, non aveva mai potuto varcare la soglia di teatri famosi, tanto meno quello della Scala.
Più Giulio ascoltava il racconto della donna e più il suo entusiasmo per la vendita, ormai certa, sfumava in uno strano senso d’imbarazzo che cominciò a farsi fastidiosamente sentire. Come poteva una donna, una madre, essere tanto insensibile e indifferente di fronte alle sconfitte del figlio? Si chiedeva perplesso Giulio; era ottusità, cinismo o superficialità, questa difficoltà nel capire che un regalo del genere avrebbe messo il figlio di fronte ancora una volta alla sconfitta. O era semplice stupidità? Forse coesistevano in lei entrambe le cose. Forse era solo presunzione. Giulio girò lo sguardo verso la poltrona, dove era seduto il marito e, dopo che i loro sguardi s’incrociarono per una frazione di secondo, che gli ricordò una novella di Pirandello, prese la sua decisione...
La donna, forse un po’ infastidita dalla presenza estranea o pressata da qualche incombente impegno, si accomiatò velocemente e uscì di casa lasciando un’intensa scia di sofisticato profumo. Sicuramente, rientrando non avrebbe trovato la copia del volume, e certo non ne avrebbe mai capito il motivo; forse, raccontando alle amiche l’episodio, gli avrebbe dato dello stupido per aver rinunciato a un cospicuo guadagno. Giulio se la immaginava davanti ad una tazza fumante di tè in quel bel salone, con le sue amiche altrettanto altezzose e vacue, parlare di quell’incomprensibile venditore senza capire la sua decisione.
Senza capire che nella vita il rispetto e i sentimenti vanno oltre il denaro. Rimasto nuovamente solo con il padrone di casa, Giulio si riaccomodò sulla poltrona che aveva lasciato e dopo una lunga pausa, comunicò al nobile vecchio la sua intenzione
di non vendergli il libro, per rispetto nei suoi confronti e per il figlio, cantante fallito. La veloce occhiata che si erano scambiati, era stata sufficiente a esprimere tutto il loro reciproco disagio per l’insensibilità della donna. in quella frazione di secondo si
erano detti che regalare un libro del genere al figlio era una vera crudeltà, un rigirare il coltello nella piaga, una mancanza di riguardo.
L’anziano non commentò la decisione di Giulio, si limitò a un gesto di assenso con la testa, mentre i suoi occhi comunicavano gratitudine e simpatia. Giulio usci dall’appartamento con un senso di pieno appagamento, convinto di avere fatto la cosa giusta. L’aver rinunciato a un sicuro guadagno economico, in cambio dell’apprezzamento di un uomo che a sua volta stimava, valeva più di qualsiasi somma. Prima del commiato il signor Musco gli manifestò il desiderio di rivederlo invitandolo
nella sua casa, per un caffè e due chiacchiere. Purtroppo poté onorare l’invito solo una volta, fu un incontro solo per il piacere di parlare tra amici corregionali e ovviamente senza gli “strumenti di lavoro”.
Sono passati tanti anni da allora e probabilmente il Signor Musco si sarà ricongiunto con il padre e sua moglie con i suoi nobili antenati. Giulio non si pentì mai, né ebbe rimpianti per quella decisione, ancora convinto di aver agito per il meglio. Perché da quella casa ne era uscito con un dono preziosissimo: la stima.
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