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Fondazione Piero Manzoni, in scena "Dialoghi sulla Merda d’artista". L’intervista con il regista Filippo Soldi

"Dialoghi sulla Merda d’artista", Filippo Soldi racconta a Il Giornale d’Italia lo spettacolo che celebra l’opera più emblematica di Piero Manzoni

31 Gennaio 2022

Fondazione Piero Manzoni,  in scena "Dialoghi sulla Merda d’artista". L’intervista con il regista Filippo Soldi

Filippo Soldi

Dall’artista che, simile a un Dio, con un soffio leggero crea i suoi “corpi d’aria”“fiati d’artista” (1959), fino al suo paradossale e secreziale conservarsi come reliquia, sacro frammento: "Merda d’artista. Contenuto netto gr 30. Conservata al naturale. Prodotta e inscatolata nel maggio 1961" si legge sull’opera più emblematica dell’artista Piero Manzoni.

“Progettando per un momento a venire (tale giorno, tale data, tale minuto), d'inscrivere un ready made. - Il ready made potrà in seguito essere cercato (senza alcun indugio). L'importante allora è dunque questo orologismo, questa istantanea” , scriveva Marce Duchamp a proposito del concetto di ‘anestetico’.

Dopo sessant’anni Merda d’artista segna questo ‘orologismo’ spietato, il nudo esserci, esserci come materia vivente: “non bisogna dir nulla: essere soltanto”, sottolineava Manzoni.

A celebrare il sessantesimo anniversario dell'opera uno spettacolo teatrale prodotto dalla Fondazione Piero Manzoni  "Dialoghi sulla Merda d’artista", scritto e diretto da Filippo Soldi.

La prima è prevista per sabato 5 febbraio a Roma nella particolarissima e suggestiva cornice del Teatro di Documenti a Testaccio. Tre i dialoghi che andranno in scena, alternati a interventi di Flaminio Gualdoni, che accennerà brevi spunti critici per conoscere e cogliere la poetica dell'artista. Il Giornale d’Italia ha incontrato il regista Filippo Soldi che ci ha raccontato la genesi dello spettacolo. 

L’intervista de Il Giornale d’Italia a Filippo Soldi

Ci può raccontare come è nato lo spettacolo sulla Merda d’artista di Manzoni? Dopo 60 anni dall’opera più emblematica dell’artista, in che modo si può raccontare una creazione così discussa e anche un po’ fraintesa?  

L’idea è venuta a Rosalia Pasqualino di Marineo della Fondazione Manzoni. Mi ha chiamato, perché abbiamo un’amicizia comune, e mi ha chiesto l’anno scorso in pieno lockdown se mi andava di comporre dei dialoghi proprio sulla Merda d’artista. Non si pensava uno spettacolo teatrale a dire la verità. O meglio, lei lo pensava ma con la faccenda del lockdown non si usava dirlo. Io all’inizio non sapevo che cosa scrivere, cosa dire ma lei mi ha mandato del materiale: libri e testi. Quasi sempre, quando non vengono idee, l’unica soluzione è la ricerca. Ho cominciato a leggere tutto quello che lei mi ha mandato, i libri su Manzoni, e in particolare una pubblicazione sulla Merda d’artista scritta da Manzoni stesso. Leggendo, mi vennero date delle sollecitazioni, un po’ come quando butti un sasso nell’acqua e fa tutti i cerchi. Da lì, ho iniziato a immaginarmi delle situazioni particolari. La cosa più immediata è stata che nel 1971 ci fu un’interrogazione parlamentare, in seguito all’esposizione alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Roma di alcuni esemplari di Merda d’artista, in cui si chiedeva se questa fosse materia da esporre in un museo.

Ho immaginato come potesse essere la situazione di queste persone che scrivevano l’interrogazione parlamentare. Mi sono documentato sul parlamentare che l’ha presentato e ho immaginato questa scena. Questo il primo dialogo, ovvero la stesura del testo: il parlamentare con il suo assistente che mettono giù questa interrogazione.

Quello che sembra un teatro dell’assurdo, quando poi è accaduto davvero. Manzoni, quindi, aveva raggiunto il suo scopo su questo.

 Sì, infatti. Questa cosa è accaduta davvero, certo il mio dialogo è immaginario, i miei sono personaggi di fantasia, anche se io penso a quelli che sono esistiti davvero. Poi, c’è stata un’altra frase di Flaminio Gualdoni che mi ha molto colpito nel suo testo Merda d’artista. Tra l’altro, ho introdotto i dialoghi sempre con una citazione di Flaminio Gualdoni perché di fatto è da lì che sono partito. E Flaminio scrive: “La Merda d’artista ha la stessa stregua del fiato d’artista e di tutto ciò che gli tocca e a cui imprime la propria impronta, è impregnata di sacralità perché, nelle convenzioni delle modernità, l’artista è una figura sacra. Più di altri, Manzoni legge geneticamente il fondo antropologico e culturale che fa dell’amore per l’arte un’evoluzione con modifiche solo marginali dell’antico culto delle reliquie”. Dunque, l’artista prende il ruolo dei santi e le sue cose diventano reliquie, secondo l’intuizione di Gualdoni.

Già dall’epoca romantica l’artista è preminente rispetto all’opera nell’immagine anche un pò stereotipata dell’artista-genio, l’artista folle. Adesso gli artisti vivono un periodo molto diverso, in che modo ha fatto questa traduzione contemporanea? C’è anche una riflessione sulla condizione del mondo dello spettacolo e allo stesso tempo il mondo dell’arte oggi?

Nel terzo dialogo, io vado alla contemporaneità. Nel secondo, rimango attratto dal tema delle reliquie. Il secondo dialogo, infatti, è tra Francesco d’Assisi e il suo confratello Elia da Cortona. Elia, uno dei primi seguaci di San Francesco, è stato presente alla costruzione della Basilica, è stato il primo a parlare delle stigmate. È una delle figure che ne costruisce l’immagine. Quindi, ho ideato il dialogo tra loro due perché la reliquia diventa un elemento fondamentale dell’essere santi. Francesco non vuole dare le reliquie del suo corpo ma Elia gliele chiede. C’è bisogno, esattamente come l’artista deve fare le sue opere perché siano diffuse. Questo secondo dialogo è ambientato nel 1224 sulla Verna in cui parlano San Francesco ed Elia. Invece, nel terzo siamo nella contemporaneità in cui dialogano un ipotetico Rettore di un’Università e il Direttore del Dipartimento di Economia. Lì il concetto è il senso economico dell’opera d’arte, non nel senso di quotazione ma su che cosa fa l’arte verso l’economia della nostra vita. È vero che la figura dell’artista oggi non vive un periodo di massima considerazione ma è pur vero che la gran parte di azioni che noi compiamo è dettata da una sollecitazione estetica, emotiva. Non sono tantissime le azioni che noi facciamo e che nascono da un calcolo: noi facciamo tanto quelli freddi ma in realtà seguiamo anche un impatto estetico. Più di una volta, noi compriamo una cosa solo perché è bella, anche se sappiamo che stiamo buttando via i soldi.

Anche in questa dimensione della reliquia e della sacralità c’è un lato non razionale ma di puro sentimento. Questo è un aspetto molto interessante.

 Sono tantissime le azioni che noi facciamo che non nascono da un calcolo del dire “mi conviene far così”. Se noi avessimo questa lucidità, non compiremmo una buona metà delle azioni che compiamo.

Quindi, quest’opera viene declinata nelle sue molteplici sfaccettature. Da un lato, questa dimensione sacrale e dall’altra la dimensione politica. In più c’è il discorso dell’Università, dunque una parte più teorica attorno a questa opera. Dal suo punto di vista, cosa si aspetta dal pubblico? Che reazione crede che possa suscitare riflettere su quest’opera in questo preciso momento storico?

Spero di interessare il pubblico per far sì che nascano delle domande, ma vorrei che ognuno desse le sue risposte. Vorrei che fosse incuriosito e stimolato non necessariamente a far domande sull’opera di Manzoni, ma anche sugli aspetti della vita di tutti i giorni perché quest’opera riverbera su tante nostre azioni. O meglio, ci porta a leggere meglio quello che noi siamo e quello che noi facciamo.

Vedo un significato molto forte in questo momento così difficile.  Secondo lei, qual è il ruolo del teatro oggi?

È un momento molto particolare. È sempre più facile capire il passato perché il disegno si è compiuto mentre, quando stai vivendo il presente, il disegno si sta formando e tu stesso sei parte più o meno conscia del disegno. Non lo puoi vedere con chiarezza. Io penso che dobbiamo andare avanti, il messaggio del dire “noi ci siamo, pensiamo e creiamo” è già un messaggio forte.

Questo si ricollega all’opera di Manzoni...

Sì, perché Manzoni diceva che l’opera d’arte è e basta. Cioè, esserci e basta è tantissimo. Grazie per aver messo in luce questo aspetto.

Per quanto riguarda infine la scenografia, può dirci qualcosa in più?

La bellezza del luogo è tale, il Teatro dei Documenti di Luciano Damiani, che non puoi non utilizzarla tutta. La scenografia è molto ridotta perché usa l’ambiente in cui si svolge con interventi apportati. Ci saranno elementi di Manzoni a creare la scenografia, i corpi d’aria, e soprattutto il pubblico, per accedere alla sala dove ci saranno i dialoghi e le introduzioni della famiglia Gualdoni, dovrà fare un percorso attraverso le varie sale del teatro in cui sarà allestita un’esposizione di manifesti, immagini e opere di Manzoni. Un percorso di conoscenza, quindi. Lo spettacolo inizierà nel momento in cui si entra ma solo la parte finale avrà la forma tradizionale dello spettacolo. La prima parte sarà una sorta di labirinto in cui si conoscerà l’artista Manzoni.  

 

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