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Il Museo Egizio di Torino riapre al pubblico, Greco: “Una nuova nascita”

Christian Greco al Giornale d’Italia: “Ripartire è una ‘Wehem Meswt’, una nuova nascita. Siamo una parte essenziale della società, un’enciclopedia materiale del passato”

26 Aprile 2021

Il Museo Egizio di Torino riapre al pubblico, Greco: “Una nuova nascita”

Christian Greco, Direttore Museo Egizio

L’intervista al Giornale d’Italia di Christian Greco, Direttore del Museo Egizio di Torino

 “Wehem Meswt” significa “nuova nascita” in egiziano antico. Sono le parole che usa Christian Greco per definire il sentimento che anima questo giorno importante nel quale il Museo Egizio di Torino riapre le sue sale al pubblico.

La speranza è quella di un nuovo corso, che ci riporti gradualmente alla vita per superare un periodo drammatico che ha duramente provato la società. Il Museo riapre con delle importanti novità e sotto una “nuova luce”, che vogliamo interpretare come il segno di una ripresa culturale necessaria per poter ricostruire il futuro, che dal passato deve necessariamente trarre origine.

Il mondo della cultura è stato duramente colpito dalle chiusure causate dalla pandemia,  come avete vissuto questo periodo difficile? 

Per raccontare questo periodo di chiusura mi viene in mente Ferita, l’opera di JR a Palazzo Strozzi, simbolo di una lacerazione che ha colpito la cultura e la società.  L’aver dovuto chiudere l’accesso fisico per i visitatori e doversi inventare nuove modalità, per proseguire quello che Franceschini ha definito ‘servizio essenziale’, è stata una sfida. Abbiamo tradotto una serie di contenuti online, ma è stata anche una grandissima sofferenza vedere le sale vuote. Nel periodo di chiusura ci siamo concentrati innanzitutto sulla ricerca: ne abbiamo approfittato per scrivere, finire libri e articoli, curare i reperti con indagini diagnostiche e restauri. Abbiamo poi tenuto vivo il rapporto con il pubblico attraverso l’online, continuando un dialogo con il nostro pubblico anche grazie a studiosi italiani e stranieri.

Cosa significa questa ripartenza e come vive questo giorno importante?

Ripartire è una “Wehem Meswt”, una nuova nascita.  Spero davvero che ci permetta nuovamente di essere presenti e condividere con la collettività questo momento con l’intento di far comprendere a tutti che siamo una parte essenziale della società, siamo le radici profonde che ci permettono di capire chi siamo noi oggi, l’enciclopedia materiale del passato.

Molti si interrogano sulla reazione del pubblico: c’è chi teme che le chiusure continuate abbiano disabituato il pubblico a frequentare i luoghi della cultura. Lei è preoccupato?

Non ho assolutamente questo timore. Ci sono stati due momenti di test: la scorsa estate quando abbiamo riaperto dopo il primo lockdown abbiamo fatto 30 mila visitatori al mese. Ovviamente è il massimo che potevamo fare, trattandosi di numeri contingentati.  Poi siamo stati chiusi nuovamente a novembre per riaprire a febbraio. La prima settimana l’abbiamo voluto offrire gratuitamente ai nostri visitatori e nel giro di due ore tutti i biglietti sono andati esauriti. Fra l’altro ho visto tanti giovani, tanti ragazzi universitari, tante famiglie che avevano voglia di visitare il Museo. Ho notato un grande affetto quindi sono davvero fiducioso che la collettività si riapproprierà di un Museo che appartiene a tutti, noi siamo solo dei semplici custodi. Come dice l’articolo 9 della Costituzione, è la Repubblica che tutela il patrimonio culturale.

Ma dal suo punto di vista era così necessario chiudere per tutto questo tempo i musei, che si sono rivelati dei luoghi più sicuri di altri?

Dura lex, sed lex. La norma stabiliva questo e noi abbiamo fatto la nostra parte. Credo che lo spirito della legge non nascesse tanto dal fatto di definire se i musei fossero luoghi sicuri o meno (e lo sono).  Il problema era cercare di far muovere il meno possibile le persone e questo credo sia la motivazione della chiusura. Tra l’altro è una legge inserita in tutto il continente: ho regolarmente riunioni con il British Museum a Londra, con il Louvre di Parigi, il Neues Museum di Berlino e il Rijkmuseum di Amsterdam, tutti ci invidiano perché riapriamo per primi! Mi auguro che con queste riaperture graduali e con le vaccinazioni in atto questa sia davvero una nuova fase che permetterà alle persone sempre più di riscoprire i luoghi della cultura.

Vi siete preparati al meglio per questa riapertura e proponete delle importanti novità, anche per quanto concerne la fruizione delle opere. Avete potenziato l’illuminazione delle sale e anche programmato un ciclo di mostre bimestrali focalizzate sulla ricerca. Ce ne può parlare?

Si, innanzitutto sono davvero felice delle nuove luci. Nell’aprile 2015 quando abbiamo riaperto il Museo lo abbiamo fatto quasi facendo un miracolo. Le luci erano rimaste un punto dolente, c’erano tante vetrine in ombra che non permettevano la fruizione degli oggetti e del materiale epigrafico, il quale risultava poco intellegibile. Abbiamo lavorato con un light designer belga per due anni e in questo periodo di chiusura abbiamo collocato le luci.  Le assicuro che quando abbiamo terminato l’allestimento vedere le epigrafi, le vetrine, le stele, i vasi in alabastro sotto una nuova luce è stata davvero una grandissima emozione! Il pubblico potrà tornare a trovarci e vedere gli oggetti come mai li ha visti prima. Al contempo abbiamo deciso di proporre dei contenuti nuovi per il nostro pubblico. Non è il momento di fare grandi mostre temporanee perché non sarebbe giusto con le difficoltà che ci sono, abbiamo quindi deciso di aprire ogni due mesi una saletta in cui metteremo al centro quello che è l’oggetto della ricerca condotta dai curatori. Il progetto di mostre bimestrali si intitola “Nel laboratorio dello studioso”.

Con quale mostra avete deciso di ripartire?

Oggi partiamo facendo scoprire al nostro pubblico la statua di Hel che è stata studiata da Federico Poole, il quale ne ha corretto la provenienza.  Si pensava provenisse da Deir-El-Medina e invece, grazie a una serie di considerazioni stilistiche, abbiamo scoperto che proviene da Saqqarra.  Esponiamo questa magnifica opera in calcare bianco circondata da quattro vetrine storiche che raccontano l’evoluzione della statuaria nel Nuovo Regno.

 

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