19 Aprile 2021
Fonte: Instagram spazioteatronohma
Akai Ito è il filo del destino per i giapponesi. Ognuno di noi, narra la leggenda, viene al mondo con un invisibile e indistruttibile filo rosso legato alla propria anima gemella. Non importa quanto lungo e distante, l’invisibile legame prima o poi dovrà compiersi. Sicuramente il filo rosso di Kengiro Azuma doveva allacciarsi all’Italia. Ha ingannato il destino Kengiro: era soldato kamikaze nella Marina giapponese, quando le bomba atomica sganciata su Hiroshima e Nagasaki segnò l’ultimo atto di una tragedia disumana.
Così Kengiro sfuggì alla morte e non si sacrificò per il suo paese, mentre l’imperatore, privato dalla sua natura divina, divenne solo un uomo. Questo provocò nel giovane Kengiro, e in tutto il Giappone, una profonda crisi spirituale.
L’arte, come ci insegna il genio di Kandinsky, può riempire questa voragine grazie a un flusso inarrestabile, al mistico fascino della creazione. Fu per certi aspetti così per Kengiro, il quale, come catturato da una nuova e profonda ossessione, dopo essersi laureato in Scultura a Tokyo, arrivò in Italia, dove conobbe colui che fu con ogni probabilità l’estremità del suo Akai Ito: l’artista Marino Marini.
Così avvenne che lo scultore giapponese divenne allievo e poi assistente del maestro italiano all’Accademia di Belle Arti di Brera. Un sodalizio intellettuale che portò i due scultori a indagare la purezza arcaicizzante delle forme. Nel 2015 al M.I.G. una mostra a Castronuovo di Sant’Andrea celebrava questo speciale rapporto maestro-allievo che a un certo punto portò lo scultore giapponese verso nuove espressioni.
Il maestro "etrusco" sottolineava infatti “Kengiro, ricorda che sei giapponese”. Nasce così una personalissima ricerca che porterà lo scultore a indagare la complessità dell’infinito e la perfezione del ciclo della vita attraverso gli insegnamenti della filosofia zen.
“bellezza non costruita, qualcosa che può essere sentito solo da un giapponese, un ferro che sta arrugginendo, una catasta di legno della frutta crollata, l'elemento invisibile che c'è dietro la materia, il pieno e il vuoto”, queste le riflessioni che portarono alla realizzazione di MU, il ciclo scultoreo che sarà d’ora in poi rivelazione di un’estetica volta all’armonia.
Nell’arte Zen mu è il "vuoto", mentre (yu) , il "pieno". La materia è plasmata dal puro conflitto di questa contraddizione, perché come sottolineava Kengiro: “Non esiste la pace senza la guerra. Non esiste il corpo senza l’anima. Allo stesso modo non esiste il pieno senza il vuoto”.
Per oltre mezzo secolo Azuma lavorò nel suo atelier milanese, in un cortile appartato della vecchia Bicocca. Si spense novantenne nel 2016.
Kengiro Azuma nel suo atelier milanese (Fonte: instagram club_milano)
La sakura, come un leggiadro vento, raggiunge anche Milano, dove ieri è stata inaugurata una vera e propria oasi zen, nella quale i ciliegi in fiore fanno da tempio alle sculture di Azuma. Si tratta del giardino in onore di Teresa Pomodoro realizzato in piazza Piola, frutto di un progetto di riqualificazione dell'ampio piazzale nel quartiere Città Studi e ideato da Anri Ambrogio Azuma, figlio di Kengiro, in collaborazione con Livia Pomodoro, figlia di Teresa.
"Questo spazio nasce come uno spazio per ritrovare il dialogo - spiega Anri Ambrogio Azuma - Le persone potranno venire qui, sedersi sulle panchine e parlare, proprio come nel dialogo tra i due rospi scolpiti da mio padre. Lui è venuto a Milano negli anni '50 ed era molto amico di Teresa Pomodoro, alla quale è intitolato questo giardino. Mi parlava spesso di quello che i giapponesi chiamano il "mu": il prevalere delle cose immateriali su quelle materiali. Questo è il senso di questo giardino zen".“
L’immaterialità si pone come veicolo privilegiato per indagare il rapporto tra uomo e natura anche nelle sculture Colloquio e Mu-765 Goccia.
Colloquio vuole essere una testimonianza dello scambio umano tra Azuma e Pomodoro, dell’arte del dialogo che fissa i pensieri, confronta e mette in comunione idee. Cinque gradini cilindrici dalle altezze sfalzate e due rospi, in dialogo. La seconda opera è un’omaggio alla leggerezza, alla scorrevolezza effigiata nella Goccia.
La goccia è una forma presente già nell’arte religiosa nipponica antica e affascinò sempre l’artista. Forma ideale che cattura l’effimero, come spiega lo scultore, la goccia d'acqua può assumere una forma bellissima quando si distacca da una grondaia e una foglia, perché rappresenta un perfetto equilibrio tra la terra, rappresentata dalla gravità, e il cielo, dove essa si allunga. Si tratta però di un impercettibile moto, che l’occhio umano non percepisce. Questo stato invisibile è per l’artista metafora della vita umana, che in un attimo può abbandonarci. Eppure la goccia, una volta caduta, evapora, sale verso il cielo per poi tornare goccia. Così Azuma diceva: "Forse anche io sono nato dal calore del sole e andrò da qualche parte là sopra".
(Fonti: https://temizen.zenworld.eu/paginezen/approfondimenti/azuma-kengiro-lo-zen-si-fa-scultura; https://it.wikipedia.org/wiki/Kengiro_Azuma)
Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.
Articoli Recenti
Testata giornalistica registrata - Direttore responsabile Luca Greco - Reg. Trib. di Milano n°40 del 14/05/2020 - © 2025 - Il Giornale d'Italia