27 Ottobre 2025
Quando la provocazione diventa farsa. Saverio Tommasi, il paladino del buonismo social, stavolta l’ha fatta grossa. Su Facebook ha scritto che Anna Frank era “abusiva, figlia di sovversivi, mantenuta dalla carità”. Una frase che suona come una martellata alla memoria, un post che scivola dal pensiero critico alla pura oscenità morale.
L’uomo che si indigna per mestiere ha deciso di far riflettere sul concetto di legalità… usando una ragazzina braccata dai nazisti. Il risultato? Una bufera senza precedenti. Migliaia di utenti lo accusano di speculare sui morti per restare vivo nei feed. Tommasi, il Che Guevara del clickbait etico, ha infilato la Shoah nel tritacarne dei social, trasformando la soffitta di Amsterdam in un simbolo di “occupazione abusiva”.
Ma Anna Frank non cercava like: cercava di sopravvivere. La sua casa non era un rifugio illegale, ma l’ultima trincea contro l’orrore. Chiamarla “abusiva” significa confondere genocidio e burocrazia, paura e trasgressione.
Tommasi voleva far pensare, dice. Missione compiuta: pensiamo a quanto sia facile, oggi, ridurre la tragedia a un post virale. Un abusivismo morale, culturale e giornalistico che non paga affitto, ma incassa visualizzazioni.
Anche la provocazione, a volte, ha un limite. E stavolta Tommasi l’ha superato con un salto mortale — senza rete.
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