07 Ottobre 2025
Sul trapano utilizzato per straziare il corpo di Maria Luigia Borrelli non c’è il Dna di Fortunato Verduci, il carrozziere di Marassi accusato di averla assassinata trent’anni fa. Ma emergono possibili profili genetici di altri due uomini e di una seconda donna, oltre a quello della vittima. È il responso della perizia affidata alla dottoressa Selena Cisana dal giudice per le indagini preliminari di Genova, per analizzare il trapano - e il suo cavo elettrico - che rappresenta l’arma del delitto del 5 settembre 1995. Quando l’infermiera Maria Luigia Borrelli, 42 anni, venne assassinata in un basso di vico degli Indoratori, nel centro storico del capoluogo ligure, dove di notte si prostituiva. L’uomo accusato di questo delitto, dopo la recente riapertura dell’inchiesta, è appunto Verduci, oggi sessantacinquenne e indagato dal 2024. Secondo il sostituto procuratore Patrizia Petruzziello, che coordina le indagini e non ha mai smesso di tentare di dare un nome al killer, era stato lui a colpire la donna più volte al volto e alla testa, con uno sgabello, pugni e calci. Finendo con il dilaniare il corpo utilizzando un trapano in funzione, trovato nell’edificio dove erano in corso dei lavori. Almeno quindici ferite, fra collo e sterno. Per la Procura la nuova perizia non sembra mutare il quadro di un’inchiesta di fatto chiusa. Con una possibile richiesta di rinvio a giudizio all’orizzonte.
Il Dna di Verduci è stato trovato nelle tracce di sangue repertate all’epoca del delitto nel basso teatro dell’omicidio, con nuovi riscontri scientifici. Ed è questo, per chi indaga, che lo incastra. Ma il trapano non era stato mai analizzato, perché si riteneva fosse stato ampiamente ripulito. In passato erano state cercate impronte digitali, ma senza fortuna. Dopo la riapertura del caso, però, la presenza di un certo quantitativo di polvere, verosimilmente sangue essiccato, ha portato la Procura a voler scandagliare anche questo aspetto. Così sono state evidenziate le tracce da analizzare. E, come detto, nei giorni scorsi è stata depositata la perizia. Né sul trapano né sul cavo ci sono elementi che contengono il codice genetico di Verduci. Mentre, appunto, vengono fuori tracce di quelli di altri tre soggetti. Per uno dei due uomini sconosciuti, specifica Cisana nell’analisi, il materiale disponile rende possibile una comparazione con la Banca dati nazionale del Dna, per comprendere se quelle tracce appartengano a qualcuno già schedato. Il trapano, come detto, per chi indaga poteva essere stato toccato da chiunque. A cominciare dal suo proprietario, Ottavio Salis. Proprio il suo Dna lo aveva scagionato. Ecco, il codice genetico di questo nuovo soggetto maschile scovato da Cisana potrebbe essere comparato con altri eventuali profili isolati all’epoca. Ma le tecniche usate prima del 2000 per estrarre il Dna restituivano risultati meno dettagliati di quelle attuali. E a livello probatorio la comparazione risulterebbe non inequivocabile. I nuovi elementi emersi dalla perizia potrebbero fornire un certo margine di manovra ai difensori di Verduci.
Secondo quanto ricostruito dalla squadra mobile, quella sera di trent’anni fa era esplosa una lite furibonda. Verduci aveva colpito più volte e brutalmente Borrelli. Poi le lacerazioni con il trapano. Come sostengono gli investigatori, Verduci aveva preso il portafogli con l’incasso della giornata dalla borsa della donna. Prima però si era lavato nel lavandino del basso. Perché nell’aggressione si sarebbe ferito anche lui, perdendo sangue. Proprio quei tagli avrebbero lasciato una firma genetica nella stanza.
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