17 Gennaio 2025
Ieri la notizia improvvisa e inattesa di un lutto che ha lasciato basito, non solo il mondo del cinema, ma l'universo dell'arte tutto. A 78 anni, a soli quattro giorni dal suo compleanno, è morto David Lynch.
Da qualche anno rinchiuso in casa per un enfisema, Lynch ci ha lasciati così, senza una parola, un arrivederci, un ultima pellicola inedita: niente.
E forse è questo il finale che più avrebbe voluto, in sordina, senza farsi notare.
Riservato, per certi versi riservatissimo, non è mai stato sulle prime pagine dei rotocalchi per scandali o robe simili, al netto delle quattro foto scattate nel periodo in cui frequentò Isabella Rossellini.
Il suo cinema, senza mettersi a snocciolare e analizzare il lungo elenco dei vari titoli, si può riassumere nelle sue stesse parole: "un sogno dentro un altro sogno". I film di Lynch erano la trasposizione su pellicola del suo mondo onirico, ora misterioso, ora folle, ora horror, ora nostalgico, ora romantico, ma con un minimo comune denominatore, l'inquietudine.
Non che cercasse volontariamente di "disturbare" lo spettatore, al contrario, ma era naturale in lui produrre questo effetto perché scavava laddove nessun altro aveva il coraggio di andare, in quello che Freud chiamava ES, ovvero il punto più profondo e oscuro della psiche.
Con Lynch non se ne va solo un pezzo di storia dell'arte, perché definirlo semplicemente regista sarebbe riduttivo, con lui muore il cinema, il grande cinema, quello che fa dell'immagine strumento di analisi della coscienza.
Arrivederci, David.
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