10 Dicembre 2024
Il deposito petrolifero ENI di Calenzano, che ieri è stato teatro di una violenta esplosione, che ha provocato morti e feriti, era considerato un'impianto ad alto rischio d'incidente dal 1976. A dare nuovamente l'allarme nel 2020 era stata la cooperativa Medicina Democratica. "Se avvenisse un incidente rilevante, incendio o esplosione, sarebbe tagliata in due l'Italia, oltre ai danni prioritari per persone e lavoratori", aveva scritto l'ente. Il deposito di Calenzano, a metà strada tra Prato e Firenze, si trova infatti in un'area particolarmente delicata. A pochi metri c'è un centro commerciale da un lato e un centro abitato dall'altro. È vicinissimo all'autostrada, alla ferrovia e non lontano dall'aeroporto del capoluogo di regione.
A classificare come "ad alto rischio di incidente rilevante" il maxi deposito Eni di Calenzano da oltre 170mila metri quadrati a 15 chilometri in linea d’aria da piazza della Signoria a Firenze, è la direttiva Seveso, il pacchetto di norme europee varate dopo il disastro del 1976 quando nella bassa Brianza un incidente all'azienda Icmesa, sprigionò nell'aria una nube tossica di diossina. Quella nuvola fu il primo choc ambientale italiano. Una nube rosa che era in realtà veleno puro. Ieri invece, si è trattata di una colonna di fumo nero, denso e bollente per effetto dello sbalzo termico è stata proiettata nel cielo della piana fiorentina. La differenza con Seveso: a bruciare stavolta sono stati idrocarburi. Tossici sì, ma in minor misura e dispersi in poco più di un’ora dal vento.
Quella di Calenzano, non è una raffineria come riportano alcuni media, ma di un impianto di stoccaggio 'allacciato' a Livorno grazie a due oleodotti lunghi 80 chilometri che costituiscono un doppio cordone ombelicale con la raffineria ENI della costa. È da qui che vengono pompati benzina, gasolio e kerosene. Altri lotti di carburante invece arrivano via autobotte dalla raffineria ENI di Venezia. Ma non solo: sottoterra verso Calenzano passa anche il jet-fuel, il carburante cioè per gli aerei, il 'coloroil' e il powerguard, additivo per il diesel. In tutto 160mila tonnellate di carburante. Potrebbero essere anche queste le sostanze finite nella nube sprigionata ieri.
I carburanti, una volta arrivati a Calenzano, vengono stoccati in serbatoi atmosferici cilindrici, circa 30, in attesa dell'invio alle pensiline di carico delle autobotti che poi riforniranno i distributori della città. È a quelle pensiline, durante le operazioni di carico di una delle autobotti, che è avvenuta l'esplosione. Ed è proprio la fase di carico a essere giudicata la più pericolosa dagli addetti ai lavori. Per questo il sito di Calenzano, rappresenta uno dei cinque stabilimenti industriali toscani giudicati ad alta soglia di rischio: dove possono verificarsi quelli che la direttiva Seveso bolla come "incidenti rilevanti". Un rischio giustificato anche dal fatto che l'impianto si trovi vicino ad aree delicate: due torrenti (Garille e Marina), un centro commerciale, sei alberghi e, nel raggio di un chilometro, tre scuole fra materne ed elementari, una Rsa e una piscina. Oltre a 15 aziende, che sono state danneggiate ed evacuate. L'esplosione, oltre all'onda d'urto, ha anche causato un mini sisma di magnitudo 0.9.
Secondo il sindaco di Calenzano, nel 2020, Alessio Biagioli, l'impianto presentava un rischio di incidente "molto remoto". A dargli ragione l'Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale della Toscana (Arpat), che lo scorso anno aveva effettuato diversi controlli in nove dei 25 impianti della regione considerati a rischio rilevante di incidente (RIR). Lo stabilimento di Calenzano era l'unico a cui non erano stati richiesti ulteriori interventi di messa in sicurezza.
Già 4 anni fa però, il dottor Maurizio Marchi, attivista della cooperativa Medicina Democratica aveva avvertito con un rapporto ben dettagliato le istituzioni, rendendo noti tutti i rischi connessi all'impianto, al suo funzionamento e ad eventuali incidenti. "Grandi quantità di vapori si diffondono in atmosfera durante le operazioni di carico, travaso, prelievo dei carburanti, avvertibili come cattivi odori ma più propriamente sono sostanze tossiche per gli esseri viventi. Ricordiamoci che tra i comuni di Calenzano, Sesto Fiorentino, Campi Bisenzio sono coinvolte oltre 100 mila persone in queste emissioni tossiche. Sono state valutate in quantità/qualità ed effetti sulla salute?" si domandava Marchi.
Parlando dell'incidente avvenuto ieri il dottor Marchi afferma: "Non possiamo sapere per ora cosa sia avvenuto in quegli attimi ma che la pericolosità fosse enorme era noto. Qualcuno, diciamo, aveva addolcito la gravità, penso soprattutto per questioni di tipo economico, ma l'impianto di stoccaggio di Calenzano è sempre stato fra i più rischiosi in assoluto e si sapeva. Un disastro preventivato? Noi lo diciamo da anni".
Spunta anche la testimonianza di una ex guardia giurata, che anni fa ha lavorato proprio nell'impianto ENI di Calenzano. L’uomo, che per ora ha preferito mantenere sconosciuta la sua identità, racconta qual era il suo compito, e quello dei colleghi: "Ricordo bene. Chi lavorava anche negli uffici dell’impianto era impaurito. Viveva ogni giorno con il terrore che potesse accadere qualcosa. Ogni due ore delle squadre specializzate controllavano le valvole di sfiato sopra i serbatoi dei combustibili, proprio per le esalazioni dei vapori infiammabili. I primi ad avere paura del lavoro erano questi operai. Molte persone fumavano anche nei piazzali, ed era vietatissimo. Il nostro compito era proprio quello di far spegnere le sigarette e allontanare chiunque lo facesse. Credo che questo indichi in modo inequivocabile l'altissima pericolosità dell'impianto. Ma cosa sia avvenuto ieri mattina, non possiamo saperlo. Sono solo ipotesi".
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