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Genova, tutti a processo per il bar intestato a un prestanome ma di proprietà di un boss in carcere

Angelo Russo, secondo la Dda, ha speso soldi propri per ristrutturare il locale sul lungomare di Pegli. E poi lo aveva affidato a familiari e amici fidati

04 Gennaio 2024

Genova, tutti a processo per il bar intestato a un prestanome ma di proprietà di un boss in carcere

Il processo al proprietario, al prestanome e ai quattro collaboratori del bar Libeccio, locale sul lungomare di Pegli, nel ponente genovese, inizierà il 16 gennaio. Il giudice ha accolto la richiesta di rinvio a giudizio del sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia Federico Manotti, che ai sei imputati contesta il reato di trasferimento fraudolento di valori. Il pm aveva ipotizzato che con il suo comportamento la banda agevolasse «l’attività dell’associazione denominata camorra», ma l’aggravante non è stata riconosciuta dal giudice delle indagini preliminari Angela Maria Nutini, che a fine ottobre aveva disposto le misure cautelari: una in carcere, Angelo Russo, tre ai domiciliari, Mario Russo, Francesco Cinquegranella e Antonio Novelletti, e due obblighi di firma per il prestanome Liberato Soriente e Antonietta Russo.

Secondo quanto appurato dai militari del comando provinciale di Genova e del Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata (Scico) della Guardia di Finanza, e dagli agenti della squadra mobile e della Sezione investigativa del servizio centrale operativo di Genova (Sisco) della polizia, il bar Libeccio, sequestrato e dato in gestione per conto dello Stato, nonostante risultasse di proprietà di Soriente veniva gestito dal carcere da Angelo Russo, recluso nella casa circondariale di Ariano Irpino, in provincia di Avellino. Il detenuto - condannato dalla Corte d’Appello di Napoli nel 2011 per traffico di sostanze stupefacenti e arrestato a Genova nel 2019, sempre per droga nell’ambito di un’inchiesta partita dal capoluogo campano - secondo l’accusa aveva acquisito la titolarità del locale attraverso l’intestazione di comodo a un uomo originario di Torre Annunziata, ma da tempo residente a Genova: Soriente, appunto. Quest’ultimo, da tempo residente a Genova, ha sempre svolto l'attività di barista. Nonostante sotto il contratto di acquisto ci fosse la sua firma, però non ha mai avuto alcun potere decisionale sulla gestione del Libeccio. Anzi, veniva tenuto all’oscuro di tutto. Perché altre erano le persone di fiducia di Russo, che per ristrutturare il bar aveva speso fondi propri: denaro «di dubbia provenienza», sostiene la Procura visto il suo coinvolgimento nel traffico di droga per conto dei clan della camorra. E così le chiavi del locale le avevano il figlio Mario, appositamente trasferitosi a Genova da Napoli, e la sorella Antonietta. Ma a comandare era anche Cinquegranella, che il 16 gennaio sarà pure lui alla sbarra, figlio di un esponente di spicco della malavita organizzata campana latitante dal 2002.

Il Libeccio – ed è questo uno degli aspetti più inquietanti della vicenda – era stato distrutto da un incendio di chiara origine dolosa nel 2016. A quel tempo non era ancora di proprietà Russo, ma di altre persone nel frattempo sono uscite di scena. Con la nuova gestione, hanno appurato le indagini svolte con appostamenti, intercettazioni e riprese video, era diventato punto di ritrovo di pregiudicati.

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