26 Aprile 2020
Adriano Trevisan con la figlia Vanessa - fonte foto Vanessa Trevisan @facebook
L’autopsia eseguita sulla prima vittima di Covid in Veneto, Adriano Trevisan di Vo Euganeo, restituisce una verità che è tutt’altra cosa rispetto a quanto si era detto inizialmente: non c’è correlazione tra il virus e il decesso.
L’uomo, 78 anni, deceduto nel febbraio del 2020, era stato dichiarato il primo morto in Italia di Covid-19.
Sulla salma di Adriano Trevisan è stata eseguita l’autopsia che esclude il nesso tra Covid e morte.
L’esame condotto dal dottor Giuliano Rizzardini, infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano, ha fatto emergere che il 78enne era già debilitato da gravi patologie degenerative pregresse che ne hanno determinato la morte.
L’autopsia, disposta dalla Procura della Repubblica di Padova, mira ad accertare se Trevisan sia stato curato bene e in tempo e se i medici che lo hanno avuto in cura, abbiamo agito attuando tutti i protocolli necessari affinché si salvasse.
L’uomo è arrivato nell’ospedale di Schiavonia, in provincia di Padova, a febbraio del 2020 con dei sintomi respiratori, il tampone ha poi accertato la positività al Covid. Trasferito in terapia intensiva, è morto il giorno dopo.
Dall’esame autoptico affidato al dottor Rizzardini dal pubblico ministero Benedetto Roberti a capo delle indagini, è emerso che il fisico di Trevisan era fortemente debilitato dalla sua cardiopatia.
Probabilmente il 78enne di Vo Euganeo avrebbe avuto bisogno di cure per la sua malattia, considerato il suo quadro clinico e le sue patologie pregresse.
Pertanto, Adriano Trevisan non è il primo morto in Italia di Covid, ma è un morto con Covid, distinzione che più volte è stata invocata dagli studiosi, ma non è mai stata attuata finendo per certificare migliaia di morti come causate dal Coronavirus. A dare manforte a questo poi, il veto imposto ai medici patologi di effettuare autopsie per scongiurare il “rischio di contagio da contatto con la salma infetta”.
Se le autopsie fossero state eseguite dal principio, senza dare per scontata la causa di morte, probabilmente ci sarebbero stati più dati a disposizione per studiare il virus e come questo si comporta all’interno dell’organismo.
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