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Claudio Campiti, la rabbia del killer di Fidene scritta sulla lapide del figlio. 10 anni da fantasma e poi la strage

La casa di Campiti è un tugurio senza acqua né bagno, con allacci abusivi alla luce. Ha vissuto 10 anni nell'ombra, sfogandosi però nel blog dedicato al figlio sulla cui lapide ha scritto: "All’adorato Romano senza più quel futuro di studente brillante negato da una corrotta gestione del Patrimonio dell’Umanità"

13 Dicembre 2022

Strage di Fidene: la rabbia di Claudio Campiti sulla lapide del figlio, il killer e quei 10 anni vissuti da fantasma

fonte: profilo Twitter @claudiodamico72

La strage di Fidene ha lasciato il segno, ed emergono novità sempre più inquietanti su Claudio Campiti, sulla cui lapide del figlio, il 14enne morto sulla pista della Croda Rossa, c'è scritto: "All’adorato Romano senza più quel futuro di studente brillante negato da una corrotta gestione del Patrimonio dell’Umanità". Una rabbia che il killer ha covato per tanti anni, ma anche un atto di accusa contro chi gli ha portato via il figlio giovanissimo. Sull'incidente furono condannati un maestro di sci e il titolare dell'impianto.

Strage di Fidene, la rabbia di Claudio Campiti sulla lapide del figlio

Dieci lunghi anni, arricchiti dal contenzioso col Consorzio Valleverde, da Campiti detestato, dopo cui il killer della strage di Fidene ha fatto valere la sua "legge", ammazzando 4 persone nel bar "Il posto giusto" su cui si stava svolgendo una riunione condominiale. Con la convinzione di aver fatto fuori di chi gli aveva fatto terra bruciata attorno. In dieci lunghi anni l'uomo ha vissuto come un fantasma, nemmeno con una foto con l'ex moglie diplomatica, Rossella Ardito, nella sua casa a Prati e sconvolta dal gesto, né con le figlie Sveva e Costanza.

Nel 2016 il primo striscione con la scritta "Consorzio raus!", e poi l'accusa, ai suoi componente di essere: "Un’associazione a delinquere mafiosa con tanto di pagamento del pizzo". Il blog dedicato a Romano, il figlio scomparso troppo prematuramente, ma anche le denunce in Procura sulla pericolosità delle piste e la mancata manutenzione, dal quale non ha ricavato niente se non altra rabbia. "Benvenuti all’inferno, qui sono tutti ladri. Mi tengono senza luce per sparare in tranquillità", scriveva su un altro blog. Una pace interiore non raggiunta nemmeno con la condanna di tre persone.

"Sono morto sulla pista di slittino, se una strada di montagna si può chiamare pista, finendo contro un albero. Per questo devo ringraziare il gestore che nulla ha fatto per mettere in sicurezza il tratto dove io sono morto. Io sapevo sciare ma non ero mai stato su uno slittino. Mio papà vuole che vi racconti la mia storia e quello che lui sta facendo per evitare che altri papà debbano soffrire quanto tocca a lui ora e fino alla fine dei suoi giorni toccherà soffrire", è la lettera di Campiti a nome del figlio. 

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