05 Ottobre 2022
Il sindaco meneghino Sala è strafottente: “Io tiro dritto”, e tutta la città ce l'ha con lui dagli industriali agli infermieri. Per depurare l'aria ha impedito le auto fino alle Euro 5 comprese praticamente in tutta la città: possono entrare, circolarvi solo i possessori di macchine elettriche o quelli rinserrati nella ZTL, le zone esclusive e quindi l'elettorato piddino che rimane. Misura demenziale o provocatoria? Ma lui tira dritto, verso dove non si sa. Già aveva trasformato corso Buenos Aires, la via commerciale più lunga d'Europa, tre chilometri di negozi in entrambi i sensi di marcia, da piazzale Loreto fino a san Babila, in una specie di percorso ciclistico, come il visconte Còbram di Fantozzi: anche allora, proteste furibonde ma lui aveva tirato dritto. Fin che glielo fanno fare, fa bene. Questo Sala con le calzette arcobaleno, in segno di abboccamento verso il target gender che tra quelli che lo votano, ha una efficienza milanese tutta sua: quando gli va di fare qualcosa, la fa e non si cura delle conseguenze. impedire a pendolari, esterni e poveri cristi di entrare a Milano, di muoversi, è una misura ecologica? Non si direbbe e comunque irrisoria, perfino grottesca a fronte dei roghi tossici, delle devastazioni al Lorenteggio, a via Gola, a Quarto Oggiaro, alla Barona, al Calvairate, a Ponte Lambro, focolai delinquenziali spartiti fra romeni, egiziani, italiani “di nuova generazione”, giovani balordi che con la scusa della sottocultura rap bruciano macchine, pestano i vecchi, scippano, rapinano. Una situazione che fa precipitare la metropoli a livelli da anni '70 quando si scontravano le fazioni dei Turatello e dei Vallanzasca e davanti ai night come il Ragno d'Oro c'erano le guardie armate della mafia. Con una differenza: allora sopravviveva un codice nella ferocia, adesso la ferocia è spicciola, polverizzata e incontrollabile, tanto più che la polizia, come nei famosi filmetti del tempo, ha le mani legate.
Davanti alla stazione Centrale, dove bivaccano a gruppi ed è meglio non incrociarli, non guardarli negli occhi, le camionette delle forze armate inducono una sensazione di assai relativa protezione; poche settimane fa uno sbandato nordafricano minorenne è stato quasi ucciso a calci in faccia da chissà quale balordo sudamericano, per chissà quali motivi, e son dovuti intervenire cittadini comuni, specie ragazze, presumibilmente del giro, per salvare il salvabile. La polizia sempre dopo. Milano risulta la prima città per numero di furti e scippi, la seconda per rapine, la seconda per le rapine, la settima per le violenze carnali di strada: segno che la immensa palude dei traffici e del malaffare è fuori controllo, che alla quota fisiologica di farabutti indigeni si aggiunge quella, in perenne crescita, di criminali e disperati da tutte le parti. Seimila denunce ogni centomila abitanti, ma il sindaco tira dritto. Hanno stimato in 1,2 milioni il numero di cittadini o a vario titolo frequentatori della città che riceveranno pregiudizio dalle sue misure bizzarre, che è a dire praticamente tutti, ma il primo cittadino non fa una piega, lui non pensa ai poveri cristi o poveri diavoli, che rompono i coglioni, ma a quelli che ancora potrebbero favorirne l'ascesa al vertice di un partito in liquidazione.
Qui ci sono da fare alcune riflessioni, spicciole magari ma non eludibile. Le città maggiori, Milano come Roma, come Napoli, come Genova, come Bologna, diciamo le poche autenticamente metropolitane, sono tutte governate dal PD e suoi derivati: sono anche quelle con i maggiori problemi, con il che finisce una volta per tutte il mito della buona amministrazione di sinistra: la cui crisi non è solo centrale, di Politburo ma anche di amministrazioni diffuse, locali. Da sempre, inoltre, la rivalità Milano – Roma tiene quest'ultima in fama di fannullona, ministeriale, statalista, pochi trasporti e vergognosi, il compatimento del nord che oppone le sue metropolitane, i suoi servizi efficienti: ma di cosa dovrebbe più vantarsi Milano? Se a Roma hanno metabolizzato prima la Raggi con i suoi Spelacchi e i suoi cinghiali, i suoi cassonetti rigurgitanti e le sue municipalizzate malavitose, e poi Gualtieri, che ha perfino peggiorato la situazione, a Milano la leggenda della cittadinanza vigile e attiva, che sorveglia i suoi amministratori e gli chiede conto del loro operato, non tiene più. Hanno votato e poi rivotato un sindaco che “tira dritto”, cioè fa quello che gli pare, sapendo che possono protestare un poco, poi si stancano e si adeguano. La “linea delle palme e del caffè” di cui parlava Sciascia per dire la cultura mafiosa che risaliva il paese, si è tramutata nella linea della indifferenza e della rassegnazione. Un atteggiamento levantino, che peraltro le palme non se le nega: le puoi trovare in piazza Duomo come nella famigerata via Padova dove le gang di nigeriani e sudamericani si sfidano a colpi di machete.
Milano ha vinto alcune sfide nel secolo scorso, le grandi ondate migratorie prima dalle campagne, poi dal Mezzogiorno, ha davvero assorbito, incluso, riadattato gente che proveniva da una cultura arcaica, contadina e non di rado brutalmente maschilista: via via i delitti d'onore che negli anni Sessanta costellavano le storie minime dei termitai dell'hinterland, la grande cintura che circondava la città, sono andati scemando, evaporando grazie, va detto, alle grandi battaglie progressiste e democratiche, non scevre da retorica, non prive di eccessi anche idioti, ma con una innegabile efficacia per le scuole, la società diffusa, la civile convivenza. Con l'ultima ondata, quella dei disgraziati dal mondo, s'è arresa. Via Padova, un tempo pericolosa per i milanesi del sud non adattati, è diventata invivibile per l'afflusso incontrollato di etnie refrattarie ad ogni compromesso sociale e impossibili da sorvegliare; le giunte hanno puntualmente ignorato il problema, che adesso è esploso in tutte le fasce periferiche facendo di Milano la città più malsana d'Italia.
C'è un modo di dire, crudo, magari infantile, ma di una sua indubbia fondatezza: la Milano inclusiva t'incula. Anche alla lettera: certi racconti sono allucinanti: quello che gira per fatti suoi, arriva uno straniero, etnico, gli chiede per una certa direzione e subito lo aggredisce, un colpo da esperto sul braccio e casca l'orologio, arriva un complice e lo raccoglie. Oppure l'altro che in auto sente un colpo, secco, gli hanno rotto lo specchietto, lui scende e gli piombano addosso in tre o quattro, lo pestano, gli portano via tutto. E gli va ancora bene, le donne che rincasano da sole hanno la quasi matematica certezza di venire aggredite, violentate. “Chiama pure le guardie, intanto io ti scopo” una si è sentita dire mentre si divincolava. Le guardie arrivano, quando arrivano, ci mettono poco a identificare il bruto, a rintracciarlo, ma poi il solito giudice lo rimette subito fuori con motivazioni balorde: è la sua cultura, era depresso, era incazzato di suo.
Che senso abbia, a fronte di una situazione simile, impedire a un milione e mezzo di persone di entrare, di lasciare l'auto nei parcheggi (neppure questo si può più), di muoversi, insomma di proseguire nell'infernale routine di tutti che corrono, che si scavalcano, che inseguono un futuro inesistente e comunque di merda nella colossale suburra, è difficile dire. C'è chi osserva: questi sono scollati dalla realtà, vivono in un pianeta tutto loro, tra ricchi elettrificati e niente li riguarda. Altri sono certi che tutta questa follia apparente celi in realtà la estrema, cinica lucidità della trasformazione sperimentale, il “grande reset” dei complottisti che tutto contiene e tutto spiega. Ma forse, l'unica cosa da dire è che quando i sindaci salottieri, dall'età della ragione abbondantemente passata, si abbandonano alle politiche gretesche, i giochi sono fatti, indietro non si torna ed è inutile sia protestare sia mettersi il cuore in pace.
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