19 Marzo 2021
Una tragica storia lunga vent’anni che racconta di una ragazza morta ammazzata, di due persone accusate ingiustamente, di un suicidio sospetto, di un padre disperato che chiede giustizia e, poi, di tante bugie, omissioni e falsità. Stiamo parlando dell’omicidio di Serena Mollincone, la 19enne di Arce, uccisa nell’ormai lontano 2001. Oggi, dopo tanti anni, è iniziato finalmente il tragitto verso la verità: comincerà, infatti, a porte chiuse a causa dell’emergenza covid, il processo che vede imputati l'ex maresciallo dei carabinieri, all'epoca del delitto comandante della stazione di Arce, Franco Mottola, suo figlio Marco, la moglie Annamaria e il maresciallo Vincenzo Quatrale, accusati di concorso nell'omicidio. Quest’ultimo, inoltre, è indagato anche per l’istigazione al suicidio di Santini Tuzi, mentre un altro militare, Francesco Suprano, dovrà rispondere unicamente di favoreggiamento. Non sarà presente al processo e non potrà, quindi, assistere alla fine di una tragedia che gli ha devastato la vita, il padre di Serena Guglielmo Morricone, deceduto il 31 maggio dello scorso anno.
Serena Mollicone, studentessa all’ultimo anno di liceo, vive ad Arce, è una brava ragazza senza grilli per la testa che abita sola con il padre Guglielmo, maestro elementare, vedovo da quando la moglie è deceduta, qualche anno prima, per una grave malattia. La mattina della scomparsa, il 1 giungo 2001, la giovane esce di casa per recarsi all’ospedale del Liri, distante da Arce solo una decina di chilometri. La ragazza alle 9.30 è di ritorno dalla visita, si ferma in panetteria vicino alla stazione per acquistare quattro cornetti, presumibilmente perché deve incontrare qualcuno. Tornata, presumibilmente in autobus, in paese, la ragazza viene vista l’ultima volta nella piazza, poi, il vuoto: Serena alle 14 non torna a casa, nel pomeriggio non si presenta all’appuntamento con il suo ragazzo, non prepara la tesina che aveva in programma per gli esami di maturità. La ragazza viene rinvenuta due giorni dopo, ovviamente è morta: è la Protezione Civile a trovarlo presso il boschetto di Fonte Cupa ad Anitrella, solo 8 chilometri da Arce, in una zona già ispezionata dai carabinieri i giorni precedenti. Il cadavere di Serena è nascosto tra gli arbusti ed un grosso contenitore metallico abbandonato: la testa in un sacchetto di plastica, una profonda ferita sull’occhio, diversi giri di nastro adesivo sulla bocca, gli arti legati con il filo di ferro e lo scotch. Non è morta per il colpo in testa, dirà l’autopsia, ma per soffocamento dopo una lunga agonia.
Le indagini inizialmente dei carabinieri, poi della polizia, partono subito male: basti pensare che differenti relazioni scientifiche si smentiscono vicendevolmente su giorno ed orario della morte, mentre i testimoni vengono ascoltati tutti in maniera confusa e sommaria. Il primo ad essere sospettato dell’omicidio, senza nessuna prova e motivazione razionale è il padre, prelevato addirittura dai carabinieri ai funerali della figlia. Un gesto privo di pietà cristiana che si rivelerà un errore: il padre non c’entra nulla, i carabinieri sì si scoprirà molti anni dopo, questo era un loro tentativo di depistaggio. Che, purtroppo, non è l’ultimo. Visto lo scarso impegno dimostrato dall’Arma locale dei carabinieri, è la polizia, per l’esattezza l’Unità di analisi crimini violenti, a incaricarsi di scoprire l’assassino della giovane studentessa. Nel settembre 2002 arriva quella che sembra la svolta ma che si rivelerà l’ennesimo buco nell’acqua: la procura di Cassino iscrive nel registro degli indagati il carrozziere Carmine Belli di Rocca d'Arce. Secondo un biglietto ritrovato nella sua carrozzeria avrebbe dovuto incontrasi con la ragazza. L’uomo finisce in carcere e, dopo un lungo iter processuale ,viene definitivamente assolto per non avere commesso il fatto. Si scoprirà, a distanza di anni, che l’uomo è stato incastrato proprio dal maresciallo Mottola, il biglietto è un falso confezionato ad hoc. Belli è sostanzialmente un’altra vittima che ha avuto la vita rovinata da questa storia ma non sarà l’ultimo.
Anni di silenzio, poi, nel 2008, l’attenzione mediatica si riaccende sul caso: Santino Tuzzi, carabiniere che qualche giorno prima aveva parlato con gli inquirenti ammettendo di aver visto Serena, ancora viva, entrare in caserma il giorno della scomparsa, si suicida, anche se restano non pochi dubbi sulla reale dinamica della sua morte. Il decesso di Tuzzi, invece di fermare le indagini della polizia, funziona da detonatore: è chiaro anche per loro che qualcosa non va. Le indagini si concentrano, quindi, sulla caserma di Arce, sul maresciallo Mottola, la moglie ed il figlio Marco, tutti inscritti nel registro degli indagati. Successivamente il corpo di Serena viene riesumato e le indagini tecnico scientifiche proveranno, secondo gli inquirenti che la ragazza sarebbe stata uccisa proprio nella caserma. Secondo l’accusa, quindi, Serena sarebbe morta il giorno della scomparsa proprio dopo una lite con Marco Mottola, il figlio del maresciallo che si mormora vendesse droga in paese. Recatasi in caserma proprio per affrontare il ragazzo e denunciarlo sarebbe stata “zittita” dall’intero nucleo familiare all’interno della loro abitazione adiacente alla caserma stessa. Probabilmente un incidente durante una discussione, fatto sta che la ragazza tramortita per una testata contro la porta, venne creduta morta, legata e portata nel boschetto ancora viva per morire soffocata successivamente. Ora dopo vent’anni si potrà scoprire e quanto è successo restituendo un po’ di giustizia ad una brava ragazza di 19 anni, a suo padre ucciso da anni di sofferenze ed a tutti coloro che vogliono continuare a credere nelle forze ordine.
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