13 Marzo 2021
Nel cortile d’onore del Palazzo di Giustizia di Milano – da dove tutto è cominciato – si erge maestosa (e minacciosa) la statua raffigurante la Giustizia; la Dea pagana, in questa versione, è stata rappresentata con sguardo intransigente. Osservandola con attenzione, a dispetto della sua staticità, si ha l’impressione che sia pronta ad alzarsi, per deporre o (a seconda dei casi) brandire la spada, che impugna nella mano destra. Quella statua è sicuramente un simbolo di come viene (o dovrebbe essere) amministrata la Giustizia e, al contempo, anche un punto di riferimento, che spesso viene semplicemente seguito per orientarsi all’interno del mastodontico edificio che la ospita. In alcune altre rappresentazioni, la Dea presenta una benda agli occhi, allegoria di imparzialità.
Quanti imputati, quanti avvocati e quanti magistrati l’hanno osservata, direttamente dal cortile oppure dalle finestre, lungo i corridoi, e chissà quali pensieri avrà indotto: speranza, rassegnazione, sicurezza o inquietudine.
Non è difficile intuire quali siano stati i pensieri che hanno affollato la mente di Fabrizio Corona, quando nei giorni scorsi si è sottoposto all’ennesima prova, dinnanzi al Tribunale di Sorveglianza, che si trova a pochi passi dalla statua. Anche chi non lo conosce può ben immaginare quale sia stato lo sconforto che ha vissuto nell’apprendere che gli sarebbe stata revocato il beneficio; ipotesi prevedibile, visto l’approccio, ma ripudiata.
L’epilogo, teatrale, com’è nel suo stile, è stato divulgato – in primis da lui, che non ha saputo controllare il dramma – sui social. Le telecamere, i cronisti ed i passanti hanno fatto il resto. Per chi gli è accanto, per legami di parentela o di amicizia, e per chi semplicemente lo conosce, sono stati interminabili attimi febbrili, durante i quali si è potuto assistere, inermi, alla sua rabbia, incontrollabile e difficilmente contenibile, nonostante il poderoso dispiegamento di forze.
Innumerevoli le reazioni avverse di chi lo ritiene un delinquente; insulti, sfottò, ironie gratuite hanno preso il sopravvento sui messaggi di dispiacere e di comprensione.
Comprendere, dunque, per giudicare. La Procura Generale avrà sicuramente valutato la sua condotta, per chiedere la revoca dei benefici concessigli ed il Tribunale giudicato secondo le evidenze. Fabrizio Corona, però, per i capi di accusa che l’hanno condotto in carcere, non è un pericoloso criminale, che necessariamente dev’essere ristretto in carcere.
Fabrizio Corona è un ragazzone che ha bisogno di aiuto: oggi più che mai. Si potrebbe dibattere sui meccanismi di calcolo delle pene, sul fatto che l’ordinamento prevede alcuni rimedi, ma la Giustizia, sempre più spesso, è incongrua, nei modi e nei tempi, soprattutto ora, condizionata com’è dall’emergenza sanitaria.
Esiste, però, l’istituto della grazia, che può concedere il Presidente della Repubblica, su richiesta del condannato, di un suo parente e dall’avvocato, oppure d’ufficio, per iniziativa dello stesso Presidente della Repubblica o dal Ministro della Giustizia. È a loro, dunque, che viene rivolta da chi conosce Fabrizio Corona un atto di pietà, di indulgenza o di clemenza, con l’urgenza che il suo stato richiede.
Di Andrea Migliavacca.
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