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Galleria Vik Milano, inaugura il 20 novembre la mostra "Wild Wild Pop" di Felipe Cardeña curata da Chiara Canali

Una serie di quadri realizzati con stoffe, ricami, gioielli sulla superficie della tela, in una continua alternanza tra i toni "caldi" delle stoffe, cucite a mano e quelli più "freddi" dell'immagine principale

16 Novembre 2024

Mercoledì 20 novembre, alle 18.30, inaugura presso la Galleria Vik Milano la mostra di Felipe Cardeña intitolata Wild Wild Pop. Curata da Chiara Canali l’esposizione è incentrata sulla produzione più recente dell'artista di origine spagnola, con una serie di quadri realizzati interamente con stoffe, ricami, gioielli e altri elementi aggettanti sulla superficie della tela, in una continua alternanza tra i toni "caldi" delle stoffe, tutte rigorosamente cucite a mano, e quelli più "freddi" dell'immagine principale, che spesso si rifà all'iconografia della cultura pop contemporanea.

Dai volti di artisti “instagrammabili” come Frida Khalo ai soggetti di quadri celeberrimi, entrati da tempo a far parte del nostro immaginario diffuso, come la Ragazza con l’orecchino di perle o la Monna Lisa leonardesca, per arrivare a toccare i volti di tigri, ghepardi e di altri animali della giungla o della savana, i soggetti di questo ciclo di lavori sono prelevati dal vasto bacino della diffusa cultura pop, senza distinzione tra temi iperinflazionati come il classico smile o quelli identitari ed etnici, come le maschere africane. Un mondo dove tutto, gli elementi della cultura tradizionale come le immagini della cultura di massa, sono vorticosamente mescolati e sovrapposti gli uni con gli altri, in un tripudio di colori e di materiali diversi, di collane, gioielli, fiori di stoffa, ricami floreali, slogan o scritte, come se dietro questo attentamente organizzato caos si nascondesse il filo segreto che lega tra loro gli elementi più vari e disparati che formano il tessuto connettivo della società post-consumistica.

Il lavoro di Felipe Cardeña con le stoffe data fin dal 2015, quando l’artista presenta la sua installazione “The Temple of the Spirit” alla Biennale di Venezia, una grande tenda dal sapore nomade voluta dall’artista e realizzata da un collettivo di ragazzi con un mix di riferimenti e di influenze tra le più svariate (arabe, indiane, africane, berbere, occidentali, mongoliche), quasi a rappresentare un luogo fuori dal tempo e dai confini, luogo di meditazione e di raccoglimento in grado di superare le diverse identità spirituali, etniche, culturali e religiose.

Sempre con l’idea di un superamento delle differenze e delle identità culturali, nel 2019 l’artista, insieme ad alcuni stilisti provenienti da varie parti del mondo, ha creato abiti, gonne e vestiti caratterizzati anch’essi da un mix di riferimenti tra i più disparati e multietnici; mentre, tra il 2020 e il 2024, ha portato avanti con al gallerista milanese Bruno Grossetti un progetto, sempre realizzato con stoffe di diversa provenienza, creando grandi striscioni colorati urbani contenenti messaggi di speranza, di ottimismo e di fiducia (da “All you need is Love” a “I have a Dream”, fino a “Freedom” e “Be Future”).

Chi è Felipe Cardeña

Artista “misterioso in stile Banksy”, come l’ha definito il Corriere della Sera, Felipe ha fatto della sua biografia picaresca e dell'ambiguità che la circonda un'operazione artistica e performativa. Nato a Balaguer (Spagna) nel 1979, ha vissuto a lungo come mimo di strada a Cuba. Sulla sua figura ha girato un film-documentario il regista Desiderio Sanzi, "Me gusta Soñar - La verdadera historia de Felipe Cardeña", oggi in mostra a Galleria Vik Milano.

Dal 2007 ha dato il via al progetto "Power Flower", un'ampia serie di collages coloratissimi e strabordanti, dall'effetto eccentrico e barocco, che toccano i temi del sacro, del fantastico, delle diverse identità culturali, del mescolamento tra strutture sociali e forme naturali.
È stato invitato a esporre in tre occasioni alla Biennale di Venezia e a mostre in tutto il mondo: in Cina, a New York, Milano, Roma, L’Avana, Londra, Cuba, Instanbul, San Pietroburgo. Nel 2012 è invitato da Gillo Dorfles alla mostra
Il kitsch oggi alla Triennale di Milano. Nel 2014 realizza un grande intervento di arte urbana a Rio de Janeiro. Nel 2015 è invitato alla Bienal de la fin del Mundo a Valparaiso, in Cile.

Le sue azioni di arte pubblica sono realizzate da una crew di ragazzi (la Felipe Cardeña Crew), con cui nel 2015 partecipa al progetto “Energy Box”. Nel 2016 espone nella Napoli sotterranea la tenda hippie già protagonista di un lavoro alla Biennale di Venezia.
Nel 2017, la sua crew proclama l’Indipendenza della Repubblica di Cardeña. Sempre nel 2017, Cardeña partecipa all’Hubei International Contemporary Arts in Cina.

Nel 2018, a Palermo, espone santi siciliani trasformati in eroi pop per le strade del centro della città. Sempre nel 2018, è scelto dal rapper Bello Figo per illustrare la copertina del suo libro Swag Negro (Rizzoli), l’anno successivo collabora con Achille Lauro per il lancio del suo album 1969.
Nel 2019 partecipa al progetto African Spirit, realizzando quadri e abiti multietinici con la collaborazione di stilisti e ragazzi africani.

Sempre nel 2019 il suo personaggio Felipanda diventa la mascotte-simbolo di una campagna di sensibilizzazione targata WWF Italia. Nel 2020 realizza con la sua crew una grande installazione urbana a Milano al parco BAM, a cura di Christian Gangitano, e da quell’anno espone una serie di striscioni in stoffa recanti messaggi positivi: “All you need is Love”, “Freedom”, “Be Future”.

Nel 2022 è tra gli invitati alla mostra internazionale Flower Obsession a Londra. Nel 2023 crea la cover del singolo Obladì Obladà di Charly Charles, feat. Fabri Fibra, Tha Supreme e Ghali e realizza la mostra “Flowers for Future”, a cura di Giuditta Elettra Lavinia Nidiaci, al Palazzo Comunale di Pietrasanta col sostegno del WWF. Nel 2024 partecipa alla mostra “Pray for Pride” a Milano alla Galleria Gli Eroici Furori, a cura di Alfonso Umali.

La mostra si avvale del sostegno della cantina Rossetto Vini di Flavio Rossetto e rimarrà aperta fino al 15 gennaio 2025.

Negli anni Sessanta prende avvio in Italia la cosiddetta Fiber Art (o Arte Tessile), una particolare forma artistica in cui le opere realizzate tramite le tecniche del ricamo e della tessitura raggiungono esiti di straordinaria innovazione sia per quanto riguarda i supporti (lavori off loom, cioè senza telaio), sia per le notevoli dimensioni raggiunte. Le sperimentazioni contemporanee che utilizzano e mescolano alle fibre tessili materiali inconsueti “abitano” sempre di più, con la loro presenza, gli spazi nei quali vengono esposte, creando talvolta dei veri e propri ambienti.

Sempre negli anni Sessanta è il momento della consacrazione internazionale della Pop Art, un’arte che parla il linguaggio dei nuovi mezzi di comunicazione di massa, della pubblicità, della televisione e del cinema, ovvero il linguaggio per immagini tipico della società dei consumi.

A distanza di cinquant’anni, l’arte di Felipe Cardeña raggiunge l’obiettivo di unire, in un unico lavoro, entrambe queste dimensioni.

Da un lato vengono utilizzate stoffe e tessuti disparati che accostano in maniera sfrontata, selvaggia e immediata (in una parola “wild”) texture e pattern provenienti da ambiti estetici e culturali differenti (batik, pizzi, floreali, paillettes). Dall’altra permane la volontà di giocare con immagini dal forte impatto narrativo ed enfatico, attraverso il ricorso a icone pop, legate alla sfera del femminile, come Frida Kahlo, la Mona Lisa, Daisy Duck oppure caricate di ulteriore valore simbolico e identitario come nel caso dell’emoji dello smile o della teste di tigre, nume tutelare in India e allegoria della regalità e del potere divino.

L’opera Felipe Cardeña, nel suo insieme, si caratterizza proprio per questa selvaggia compresenza di numerose forme policrome che, se osservate da vicino, individuano dei precisi elementi o figure, ma che, nel loro insieme, veicolano un’impressione di indivisibile unità degli elementi presenti sullo sfondo e affioranti in superficie.

La tecnica del ricamo e della tessitura, con le sue molteplici e multiformi colorazioni, non fa altro che accrescere, dal punto di vista percettivo, la mescolanza e l’omogeneità dei particolari che concorrono a formare l’opera e a dare ancor più risalto alle icone in primo piano. Icone estetiche e artistiche che si astraggono dal contesto storico del momento e si caricano di voci personali, rappresentazioni narrative e costruzioni identitarie, nelle quali ancora oggi noi tutti ci immedesimiamo.

Proprio in questo senso è possibile ripercorrere le parole che Alain Cueff aveva dedicato alla ricerca di Andy Warhol come riattualizzate anche per lavoro di Felipe Cardeña: “L’operazione essenziale alla quale egli si dona nei ritratti non punta tanto a fare sua l’immagine quanto a depurarla dal suo contesto. L’inquadratura strappa il soggetto al suo mondo e, così come l’icona lo fa col fondo oro sul quale s’inscrivono le figure, egli le ricolloca in uno spazio che non è astratto (nel senso che la storia dell’arte dà a questa parola) ma perfettamente astratto dalle circostanze del mondo”.

 

 

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