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"Colori romani": alla Centrale Montemartini in mostra i tesori musivi delle collezioni capitoline

Inaugurata nel 1912 da Ernesto Nathan, la Centrale Montemartini si trova sulle rive del Tevere nel quartiere Ostiense, in quella che era l’area industriale della Capitale. Sullo sfondo del gasometro, oggi struttura centrale dello skyline romano, si erge l’edificio all’interno del quale spiccano maestose e scure le turbine e i motori diesel della ditta Tosi, la cui fruizione visiva è oggi arricchita dal forte contrasto del bianco del marmo delle sculture antiche.

31 Agosto 2022

Era l’ottobre del 1997 quando la Centrale Montemartini, già centrale elettrica della città di Roma, apriva le porte al pubblico nella sua nuova veste di sede espositiva dei Musei Capitolini. Quello nato come ricovero momentaneo della statuaria classica del sito capitolino, in restauro in vista del Giubileo del 2000, si è rivelato, nel giro di breve tempo, una soluzione museografica valida e unica nel suo genere, tanto da renderla permanente.

Inaugurata nel 1912 da Ernesto Nathan, la Centrale Montemartini si trova sulle rive del Tevere nel quartiere Ostiense, in quella che era l’area industriale della Capitale. Sullo sfondo del gasometro, oggi struttura centrale dello skyline romano, si erge l’edificio all’interno del quale spiccano maestose e scure le turbine e i motori diesel della ditta Tosi, la cui fruizione visiva è oggi arricchita dal forte contrasto del bianco del marmo delle sculture antiche.

Nel sito così descritto trova luogo l’attuale esposizione dedicata ai mosaici romani, capolavori poco noti dei Capitolini. Colori romani. I mosaici delle collezioni capitoline, inaugurata lo scorso novembre, avrebbe dovuto chiudere i battenti a giugno 2022, ma è stata prorogata sino al prossimo autunno. La ragione è presto detta: la mostra è quanto mai valida. Dispiegata lungo il piano terreno, i manufatti – mosaici, affreschi, sculture, bozzetti – si inseriscono perfettamente nel percorso espositivo generale. La mostra è articolata in sezioni contraddistinte dalle diverse cromie delle pareti su cui sono addossate le opere, colori che permetto di individuare immediatamente il passaggio tematico. Chiari, snelli i pannelli didattici e le didascalie, in palette con la parete così da non rappresentare un intruso all’occhio dell’osservatore. Altrettanto valida, per non dire ottima, è l’illuminazione che crea suggestioni evocative sul singolo manufatto e non porge mai il fianco alle fastidiosissime ombre spesso frequenti nelle esposizioni. Tutto ciò permette di seguire agilmente quanto esposto e di individuare agilmente i siti di provenienza degli stessi. È così possibile fare un viaggio nell’antica Roma e nella storia degli sventramenti tra fine Ottocento e il primo Novecento, quegli stessi sventramenti che, distruggendo tante testimonianze del passato epigeo di tempi a noi più prossimi, ne hanno portato alla luce tante ipogee, in particolare dell’età imperiale e proto-cristiana. Tra questi, mosaici, pitture murali, sculture provenienti da siti come la Villa Casali e la basilica Hilariana al Celio, la domus di Claudius Claudianus al Quirinale, una domus ancora all’Aventino. Molto interessante l’attenzione posta al restauro del mosaico pavimentale della Real Casa, di cui, grazie ai pannelli e al totem interattivo, è possibile scoprirne la storia, i materiali costitutivi, le modalità seguite nell’ultimo intervento conservativo, esemplificativo della collaborazione tra pubblico e privato. Allo stesso modo, l’allestimento e l’assenza di vetri protettivi, tanto necessari e importanti quanto, talvolta, fastidiosi nella fruizione dei manufatti, è possibile osservare il trattamento delle lacune, grazie alle quali i singoli reperti hanno riacquistato l’“unità potenziale dell’opera d’arte” di brandiana memoria.

Inevitabile il rammarico nel constatare come il Comune di Roma non promuova a dovere questo gioiello, a pochi passi dal centro storico, inserendolo in un percorso museale cittadino e facendone luogo di ritrovo quotidiano della cittadinanza, soprattutto dei più piccoli, quanto meno negli spazi esterni che, piuttosto che essere un parcheggio, potrebbero benissimo svolgere un ruolo di aggregante culturale e sociale.

Di Maria Vittoria Thau

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