13 Luglio 2025
La terra e il verde della selva apparve.
Quinci ei, nôtando, ambi movea di tutta
Sua forza i piedi a quella volta. Come Presso ne fu, quanto d'uom corre un grido,
Fiero il colpì romor: poiché i ruttati
sin dal fondo del mar flutti tremendi,
che agli aspri si rompean lidi ronchiosi,
strepitavan, mugghiavano, e di bianca
spuma coprian tutta la sponda, mentre
porto capace di navigli, o seno
non vi s’aprìa, ma littorali punte
risaltavano in fuori, e scogli e sassi.”
— Odissea, V, 507–514
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È con questi versi, del quinto canto dell’Odissea, che prende avvio il percorso espositivo del Padiglione Italia alla Biennale di Architettura 2025 a Venezia, intitolato “Terrae Aquae. L’Italia e l’intelligenza del mare”.
Sotto la curatela di Guendalina Salimei con il suo Tstudio, il Padiglione accoglie come punto di partenza il tema generale dell’edizione — intelligenza artificiale, naturale e umana — tuttavia lo interpreta in riferimento al mare, la più importante risorsa italiana sia oggi che in passato, sia culturalmente, che economicamente e politicamente.
Non come un lontano orizzonte da scoprire, non solo come risorsa, ma come corpo vivo, tensione primaria tra gli intrinsecamente umani bisogni di sete di scoperta e bisogno di sicurezza della terra natia.
La mostra non guarda al mare come qualcosa da contenere, ma come qualcosa da ascoltare. Lo fa evocando proprio questo doppio sguardo: da un lato l’inquietudine dei flutti, dall’altro il porto come spazio di cura. L’acqua è dunque raccontata come materia attiva e vicina, presenza costante, radice profonda delle nostre vite e della nostra storia.
E questa presenza prende forma in un allestimento che non si limita a esporre: attiva, interroga, coinvolge. Lo spazio è sensorialmente articolato, giocato sull’alternanza tra luce e oscurità. È pensato per accogliere tutti, non solo gli addetti ai lavori: architetti, studiosi, ma anche visitatori casuali, sguardi inesperti, cittadini curiosi.
E questo vale anche per gli autori dei progetti e delle opere esposte: Salimei, con una curatela audace e inclusiva, ha scelto non solo i grandi nomi ma anche giovani progettisti, studenti, collettivi, scuole, realtà ibride, tutte selezionate non per curriculum o riconoscimenti, ma per la forza del contenuto, per la capacità reale di contribuire a una narrazione comune.
I lavori esposti — e quelli selezionati ma non esposti a causa del grandissimo feedback ricevuto dopo il bando “Call for Visions and Projects” — sono diversi tra loro, eppure compongono un mosaico estremamente articolato, interpretabile, raffinato, immediato. Raccontano, come con un coro di voci all’unisono, il nostro legame con il mare in tutte le sue sfumature: geografiche, culturali, sociali, ecologiche.
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In un’epoca affamata di verità, trasparenza, immediatezza, lo spazio espositivo risponde in modo coerente: pochi testi, molti QR code per approfondire, e un ambiente denso, immersivo, costruito per essere vissuto.
Emblematica è l’installazione sonora MOTI di David Monacchi: un’opera elettroacustica articolata in 14 canali, che raccoglie trent’anni di paesaggi sonori marini e portuali italiani. Non ha bisogno di spiegarsi: basta entrare e lasciarsi avvolgere. L’acqua si fa suono e riempie l’ambiente con una complessa stratificazione di biofonie, echi portuali e ritmi idrici.
Si crea una sinestesia vera tra udito, spazio guidato dalla simbolicamente forte successione compositiva degli spazi e l’impatto visivo delle installazioni.
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Il tema centrale è il confine tra terra e mare, quella “lunga strada di sabbia” di cui parlava Pasolini, oggi spesso frammentata, cementificata, abbandonata a se stessa. “È tempo di riattivare il patto tra città e mare”, scrive Salimei, riportando al centro della nostra cultura urbana il Mediterraneo, da sempre culla fondante della storia della nostra civiltà.
Ma non si tratta di una visione astratta: la mostra è profondamente concreta. Espone progetti reali, in corso o ipotetici, che lavorano su spazi abbandonati, infrastrutture dismesse, waterfront da riconfigurare. La costa più che essere margine da difendere, è opportunità da ripensare.
Si passa dal recupero dei “primi porti” italiani alla trasformazione dei fronti acqua in cerniere urbane. Si immaginano spazi pubblici restituiti, progetti radicali nati anche con l’intelligenza artificiale, che aprono nuove libertà progettuali, anche utopiche.
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Nel suo saggio curatoriale, Salimei invita a ribaltare la prospettiva: guardare l’Italia dal mare verso la terra. È lo sguardo dei pescatori, che intuiscono la costa come “contorno” alla distesa del mare. È lo stesso sguardo che dovremmo adottare per superare l’idea che terra e mare siano mondi separati.
Un po’ come diceva Corboz rispetto alla dicotomia città-campagna — e qui Salimei sembra raccoglierne l’eredità — serve superare le dicotomie, le opposizioni, intuendo nella sua complessità la linea di scansione terra-mare come viva, attiva, morfogenetica.
Molti dei progetti esposti funzionano come dispositivi adattivi: capaci di accogliere trasformazioni climatiche e sociali, di anticipare scenari, di rispondere alle urgenze ecologiche e abitative. La costa è vista come paesaggio abitabile e pubblico, cerniera e non confine, luogo dove si misura il tempo.
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Il progetto espositivo lavora per rendere tangibile questa visione. Nella prima sala, un muro “bicefalo” separa e orienta lo spazio, costruendo da un lato un percorso ascensionale fino ad un una sala di proiezione e dall’altro una superficie espositiva per la Quadreria.
Nella seconda sala, un impianto di impalcature evoca la logica di un iceberg. Sotto il piano calpestabile il tema dominante è il subacqueo: si parla di infrastrutture sommerse, cavi digitali sotto il suolo marino, sedimentazioni, memorie, erosioni. Salendo è l’opera di Alfredo Pirri, in collaborazione con la Fondazione Berengo, che accompagna con un effetto sorpresa i visitatori, composta da bolle in vetro di Murano adagiate su uno specchio con delle fratture sparse, come se salendo si seguisse il flusso dell’acqua che torna in superficie.
Al di sopra della piattaforma, invece, un grande spazio di studio in cui, oltre a una grande selezione di libri e riviste, vi sono svariati schermi interattivi a disposizione del pubblico che ha la possibilità di accedere a un vasto archivio di materiale a tema.
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La sezione Quadreria, sul retro del muro bicefalo, si ispira a una Wunderkammer: non un’esposizione tematica, ma evocativa. Accostamenti inattesi: brainstorming artistici, utopici, futuristici, originali, talvolta realizzati con l’AI, accostati a progetti reali in atto e non, idee di innovazione tecnologica, schizzi, disegni, render, opere multimediali. Tutti sullo stesso piano.
In un solo metro di spazio si passa dal progetto di alcuni bambini di Palermo che ridisegnano il loro litorale, alle visioni di architetti internazionali come Benedetta Tagliabue sul lungomare di Rimini.
La sezione Visioni è ancora più radicale: dissolve la linea di confine tra mare e terra. Le mappe si fanno immagini mentali, e il paesaggio costiero diventa luogo di riflessione simbolica, metafisica. Rende evidente come il momento di immaginazione sia da considerarsi fondamentale tanto quanto quello della costruzione vera e propria.
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Anche la fotografia ha un enorme spazio all’interno del padiglione: all’ingresso si viene accolti da Mare Mosso, una video-installazione lunga ben 24 metri ad opera di Luigi Filetici, le cui immagini sono frutto di una meticolosa ricerca sugli spazi portuali e industriali lungo le coste italiane.
Sono tutti luoghi normalmente inaccessibili: il porto di Ravenna, ove si trovano i rigassificatori della Snam; Trieste con i suoi treni in comunicazione con l’Europa centrale; la fabbrica di cavi sottomarini di Pozzuoli; e giganteschi hub di container. La visione è tuttavia poetica e accompagnata da un’avvolgente musica.
Il video-artista e antropologo Francesco De Melis, con Via Maris, offre al pubblico un lungo filmato frutto di un’attenta ricerca sulle tradizioni e sui riti della comunità della costa italiana: celebrazioni religiose propiziatorie per la pesca, tradizioni legate al mare e aspetti del lavoro quotidiano.
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L’arte si innesta silenziosamente nel percorso espositivo: dal pinguino ligneo di Anna Muskardin, sezionato e abitato da una figura umana, alla colomba coricata di Thomas De Falco, fino all’opera multimediale di Agnes Questionmark, da lei stessa interpretata sott’acqua.
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“Le coste italiane parlano”, ci ricorda Salimei. E oggi, con questa Biennale, l’architettura finalmente torna ad ascoltarle. Il Padiglione Italia 2025 dimostra che si può coniugare rigore, immaginazione, tecnologia e partecipazione.
Restituire centralità a quei margini dove si gioca il nostro futuro.
Per chi cerca uno spazio che non sia autoreferenziale né elitario, ma davvero pensato per essere attraversato, questo padiglione è il luogo giusto.
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