09 Ottobre 2025
La fiducia per il governo Netanyahu in Israele è ai minimi storici. Un attivista ebreo pro palestinese intervistato per strada ha ammesso: "Sono israeliano, ma io credo più ad Hamas che a Netanyahu, lui vuole continuare la guerra. E non sono l'unico a pensarlo, siamo tanti".
Un’intervista di pochi secondi, registrata nelle strade di Tel Aviv, sta facendo il giro del mondo. Un attivista israeliano, interrogato da un giornalista sullo stallo nei negoziati con Hamas, ha risposto senza esitazione:
“Quando Hamas ha detto sì alle trattative, Netanyahu ha detto no. Hamas ha detto sì. Io credo più ad Hamas che al mio primo ministro.”
Parole forti, pronunciate con amarezza, che riflettono la crescente sfiducia di molti israeliani verso il governo Netanyahu, accusato di prolungare la guerra per motivi politici.
Mentre la popolazione attende con ansia la liberazione degli ostaggi e una tregua duratura, il premier continua a frenare sull’accordo di cessate il fuoco, insistendo sulla “vittoria totale” a Gaza. Un obiettivo che, dopo oltre un anno di conflitto e decine di migliaia di vittime palestinesi, appare sempre più lontano e insostenibile.
Le piazze di Israele si riempiono di manifestanti che chiedono la fine della guerra, il ritorno dei prigionieri e le dimissioni del governo. Anche all’interno dell’esercito e dei servizi di sicurezza emergono tensioni e critiche sulla gestione politica del conflitto.
La dichiarazione dell’attivista è diventata il simbolo di un Israele spaccato, stanco e disilluso, in cui persino la fiducia nel potere statale vacilla. Una crisi non solo militare, ma profondamente morale e politica.
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