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87% di Gerusalemme Est occupata da Israele, al via demolizioni e pulizia etnica dei palestinesi per costruire nuovi insediamenti - VIDEO

Le torri residenziali verranno costruite sulle rovine delle case palestinesi demolite e saranno finanziate con fondi pubblici israeliani o da donatori internazionali filo-sionisti

09 Luglio 2025

87% di Gerusalemme Est è ormai sotto occupazione israeliana. Con l’approvazione di un nuovo piano edilizio, le autorità israeliane hanno dato il via a una nuova ondata di demolizioni di case palestinesi, aprendo la strada alla costruzione di grattacieli residenziali per coloni. Una strategia che si inserisce in un più ampio progetto di pulizia etnica: ridurre drasticamente la presenza palestinese nella città, modificandone l’identità demografica a favore di una maggioranza ebraica forzata.

87% di Gerusalemme Est occupata da Israele, al via demolizioni e pulizia etnica dei palestinesi per costruire nuovi insediamenti

Israele ha dato il via a un nuovo progetto edilizio a Gerusalemme Est, segnando un deciso passaggio da una colonizzazione orizzontale a una strategia verticale, attraverso la costruzione di torri residenziali destinate esclusivamente ai coloni israeliani. Il piano, approvato dalle autorità di occupazione, è parte di un più ampio disegno politico volto a consolidare una maggioranza ebraica nella città contesa, marginalizzando ulteriormente la popolazione palestinese.

Secondo i dati urbanistici, l’occupazione israeliana controlla ormai circa l’87% del territorio di Gerusalemme Est, con oltre il 52% classificato come “zone verdi”, aree in cui è vietata qualsiasi costruzione palestinese. Tali restrizioni, applicate in modo selettivo, hanno reso praticamente impossibile per le famiglie palestinesi ottenere permessi di costruzione, mentre gli insediamenti israeliani continuano ad espandersi senza ostacoli legali.

La nuova fase dell’espansione si caratterizza per l’utilizzo della densità verticale come strumento di ebraizzazione. Le torri residenziali non solo aumentano la capacità abitativa per i coloni, ma vengono costruite spesso sulle rovine delle case palestinesi demolite con il pretesto della “mancanza di autorizzazioni”, una pratica sistematica denunciata da numerosi gruppi per i diritti umani come parte di una campagna di sfollamento forzato.

Dietro questa strategia c’è una visione a lungo termine: imporre una sovranità unilaterale israeliana su tutta Gerusalemme, ridefinendone in modo irreversibile l’identità demografica, culturale e geografica. Gli analisti sottolineano come questa manovra, mascherata da sviluppo urbano, rappresenti in realtà una forma di ingegneria demografica per cancellare la presenza araba e islamica dalla città.

Il progetto è solo l’ultimo tassello di una più ampia campagna di colonizzazione che, dal 1967, ha trasformato Gerusalemme in un laboratorio di espansione illegale e discriminazione strutturale. La costruzione dei nuovi insediamenti, spesso finanziata con fondi pubblici israeliani o da donatori internazionali filo-sionisti, procede a un ritmo serrato, con il chiaro intento di creare “fatti compiuti” sul campo.

Tuttavia, nonostante le pressioni, le demolizioni e gli sfratti, i palestinesi di Gerusalemme resistono. Con profondo attaccamento alla loro terra, alla loro identità e al patrimonio culturale della città, continuano a opporsi a quella che molti definiscono una campagna di “pulizia etnica silenziosa”. Gerusalemme, con le sue moschee, le sue chiese e le sue antiche mura, resta simbolo della resistenza e della dignità di un popolo che si rifiuta di scomparire.

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