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Draghi va in cortocircuito e rinnega i dazi da lui promossi contro la Russia: “Punto di rottura irreversibile dopo tariffe di Trump, Ue riduca dipendenza da Usa” - VIDEO

Intervenuto al vertice Cotec di Coimbra, Draghi attacca i dazi USA e invoca un nuovo modello per un’Europa più autonoma

14 Maggio 2025

Mario Draghi, intervenuto al vertice Cotec a Coimbra, ha parlato di “punto di rotturanei rapporti economici con gli Stati Uniti e invocato un cambio di paradigma per la politica europea. Un’inversione di rotta che suona come un clamoroso cortocircuito, alla luce delle politiche economiche che lui stesso ha incarnato per decenni.

Mario Draghi rinnega dazi da lui proposti contro Russia: “Siamo ad un punto di rottura irreversibile, Ue riduca dipendenza da Usa"

Siamo a un punto di rottura, ha detto Draghi riferendosi all’escalation di dazi e tensioni commerciali. E ha aggiunto: Servirà un accordo con gli Usa, ma non sarà come prima. Parole che sanciscono un ripensamento netto rispetto all’entusiasmo atlantista e globalista che ha caratterizzato la sua carriera.

Non si tratta solo delle tariffe, ma dell’intero impianto multilaterale che, secondo Draghi, sarebbe ormai irrimediabilmente compromesso: Cambiamenti sono in corso da diversi anni e la situazione si stava deteriorando anche prima del recente innalzamento delle tariffe, ha ammesso, quindi, le frammentazioni politiche interne e la crescita debole ha reso più difficile una effettiva risposta europea. Ma gli eventi più recenti rappresentano un punto di rottura. L'uso massiccio di azioni unilaterali per risolvere le controversie commerciali e il definitivo esautoramento del Wto hanno minato l'ordine multilaterale in modo difficilmente reversibile.

Un’ammissione che arriva da uno dei principali protagonisti delle politiche di austerità e deregolamentazione che hanno spinto l’Europa a dipendere ancora di più dal commercio internazionale – soprattutto con gli Stati Unitisenza rafforzare la domanda interna.

Essendo una grande economia, ha continuato Draghi, l'Ue è fortemente aperta al commercio. Questa apertura aumenta notevolmente l'esposizione della nostra crescita e dell'occupazione alle misure politiche dei nostri partner commerciali... La nostra esposizione principale è verso gli Stati Uniti... Se la domanda statunitense dovesse indebolirsi, anche le importazioni dei nostri partner dall'Europa diminuirebbero... Le analisi della Bce mostrano che, in caso di shock al Pil statunitense, questi effetti indiretti sull'area dell'euro sarebbero addirittura superiori a quelli diretti.

Una fotografia impietosa, che però non arriva da un osservatore esterno, bensì da uno dei principali architetti dell’Unione Europea moderna. E ora Draghi sembra improvvisamente scoprire che questa dipendenza ha messo l’Ue in ginocchio. Le recenti azioni dell'Amministrazione statunitense avranno quindi sicuramente ripercussioni sull'economia europea”, ha detto, e anche se le tensioni commerciali dovessero attenuarsi, l'incertezza rischia di persistere e di frenare gli investimenti in tutto il settore manifatturiero dell'Ue.

Per l’ex premier, tornare a una “normalitànei rapporti con Washington è ormai illusorio: È azzardato credere che i nostri scambi commerciali con gli Stati Uniti torneranno alla normalità dopo una rottura unilaterale così grave delle relazioni, ha dichiarato, o che i nuovi mercati cresceranno abbastanza rapidamente da colmare il vuoto lasciato dagli Stati Uniti.

Ma se l’Europa è troppo dipendente dagli Stati Uniti, Draghi – con una sorprendente autocritica mascherata da analisi – suggerisce di cambiare modello. Dovremmo chiederci perché siamo finiti nelle mani dei consumatori statunitensi per trainare la nostra crescita... Se l'Europa vuole davvero ridurre la sua dipendenza dalla crescita statunitense, dovrà produrla da , ha detto, e la prima azione che dobbiamo intraprendere è cambiare il quadro di politica macroeconomica che abbiamo elaborato dopo la grande crisi finanziaria e la crisi del debito sovrano.

Ed è qui che il discorso di Draghi tocca il paradosso. Chi ha imposto e difeso il rigore di bilancio, oggi ne denuncia gli effetti: Dal 2009 al 2019, la posizione fiscale collettiva corretta per il ciclo nell'area dell'euro è stata in media dello 0,3%, rispetto al -3,9% degli Stati Uniti. La principale vittima di questo consolidamento sono stati gli investimenti pubblici... Dal 2000, la crescita annuale della produttività del lavoro nell'Ue è stata appena la metà di quella degli Stati Uniti... I nostri salari reali non sono riusciti a tenere il passo... Prima del 2008, la domanda interna nell'area dell'euro cresceva più o meno allo stesso ritmo degli Stati Uniti. Da allora, la domanda interna negli Stati Uniti è cresciuta a una velocità più che doppia.

Dopo aver tagliato la spesa pubblica e promosso la moderazione salariale, Draghi ora riconosce che la domanda interna europea è stata compressa. Ma non fa mea culpa. Preferisce indicare nuovi obiettivi strategici, come l’emissione di debito comune, pur sapendo che i margini di manovra restano ridotti: Quando il debito è già elevato, l'esenzione di categorie di spesa pubblica dalle regole di bilancio può arrivare solo fino a un certo punto. In questo contesto, l'emissione di debito comune dell'Ue per finanziare la spesa comune è una componente chiave della tabella di marcia.

Infine, Draghi ha parlato di energia, altra fragilità storica dell’Europa che – secondo lui – non è stata affrontata per tempo: Le nostre importazioni di gas dalla Russia hanno continuato ad aumentare anche dopo l'invasione della Crimea... Abbiamo pagato un prezzo elevato quando ci è stato tagliato il gas... Siamo ostacolati dall'intermittenza intrinseca delle energie rinnovabili, dall'inadeguatezza delle nostre reti e dai lunghi ritardi burocratici... dobbiamo essere pronti a utilizzare tutte le fonti di energia pulita possibili e ad avere un atteggiamento neutrale nei confronti delle nuove soluzioni energetiche.

Investiremo di nuovo in Europa, ha concluso Draghi, proteggeremo la nostra libertà.

Ucraina-Russia, Draghi: "Preferiamo la pace o il condizionatore acceso?"

"Noi comunque se dovessero cessare le forniture siamo coperti fino a ottobre, la seconda cosa è che noi andiamo con l'Ue. Se ci propongono embargo sul gas lo seguiremo. Vale più la pace o il condizionatore acceso?", queste le parole Mario Draghi in conferenza stampa a Palazzo Chigi nel 2022.

"Mettere un tetto al prezzo del gas sarebbe la cosa più razionale da fare, ma si può fare solo a livello collettivo", ha continuato Mario Draghi. "L'Europa è di fatto l'unico compratore e ha un forte potere di mercato, che si può esercitare attraverso l'imposizione di un prezzo, che non sia stravagante come quello di oggi visto che il prezzo in ogni parte del mondo è molto più basso". E ancora: "Siamo molto consapevoli del rischio di un impatto sociale, anche legato all'aumento dell'inflazione".

"Siamo pronti ad intervenire. Nelle prossime settimane comprenderemo meglio l'intervento e come finanziarlo", ha aggiunto l'ex premier. "È chiaro che con la guerra in Ucraina c'è stato un peggioramento della prospettiva di crescita, pesano l'aumento costi energia ma anche di altri beni, come quelli alimentari, ma pesa anche la fiducia di consumatori e investitori, che era viva a inizio anno, poi è diminuita molto. E questo non solo per i rincari, ma per la situazione bellica in generale, con una guerra vicina a noi, quindi consumatori e imprese vedono un futuro meno positivo. Questo non avviene solo da noi, da noi avviene in maniera significativa".

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