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Letta segretario Pd: cambia la guida ma gli errori restano gli stessi

Il Pd cerca di rinnovarsi con il cambio di segreteria ma il discorso di insediamento di Letta non rappresenta nessuna cesura con gli errori già commessi in passato dai suoi predecessori

17 Marzo 2021

Il Pd cambia segretario ma non cambia pelle: pare essere questo il destino dei democratici che nei primi giorni dell’era Letta non sembrano, ancora una volta, avere compreso le istanze del territorio e le motivazioni di una crisi di identità e voti che dura, ormai, da anni. Enrico Letta è un uomo del partito da tempo, non c’è molto di nuovo per una compagine politica che deve essere rifondata per recuperare quelli che tradizionalmente sarebbero gli elettori di sinistra. Non è un caso, infatti, che i suoi votanti rappresentino in gran parte pensionati, statali e qualche impiegato (più del 50%) e solo un 18% ad esempio gli operai, zoccolo duro per gran parte della sua storia. Pochissimi, infine, imprenditori, liberi professionisti e commercianti che si rispecchiano nel Partito Democratico.

Vero è che i sondaggi dicono che la “cura Letta” ha generato un salto in avanti dello 0,8% nelle preferenze degli italiani, facendo tornare il Pd al secondo posto a soli 0,4 punti in percentuale di vantaggio su M5S e Fdi. Numeri e posizione  risicati che poco hanno a che vedere con quelli che da sempre sono gli obiettivi dei democratici. L’aumento nei sondaggi potrebbe far ben sperare ma, a mio avviso, è solo un fuoco di paglia: una sorta di effetto naturale, un ritorno “a casa” di coloro ai quali, probabilmente, non piaceva Zingaretti ma che si ferma qui. C’è ancora molto da fare, in primis, a partire dalla mentalità che non deve essere quella “elitaria” di una certa cultura di sinistra arroccata dietro i propri “totem” ma più vicina ai territori, alla gente ed ai problemi reali. Ed, invece, Letta, sia nel suo discorso iniziale che nelle dichiarazioni dei giorni successivi, ha commesso i soliti errori dei suoi predecessori: ius soli "rispolverato" come consuetudine ed attacchi gratuiti a Matteo Salvini ed alla Lega, in un momento in cui, come già sottolineato più volte anche dal presidente della Repubblica, ci vorrebbe quella maturità volta a mantenere i rapporti più sereni possibile, in particolare se si governa insieme in un momento di emergenza come questo.

Premettendo che non vedo grande differenza umana e di capacità tra il segretario uscente e quello subentrante, ambedue politici di vecchia data, brave persone ma con un carisma relativo, credo che i passi falsi di Enrico Letta nel suo discorso di insediamento siano stati parecchi, significativi probabilmente dell’ennesimo cambio di segretario ma non nella visione politica dei democratici. Pur comprendendo come per i progressisti abbiano a cuore la questione della modifica alla legge per la cittadinanza, vista come lotta per i diritti, in questo momento di difficoltà sanitaria ed economia, questa non è una priorità e le forze vanno concentrate sulle problematiche più impellenti. Nell’emergenza si pensa a quella non ad altro. Gli italiani, o meglio gli elettori, avrebbero voluto sentire altre parole che parlavano di imprese e lavoratori, ad esempio.

Capisco, anche, che il neo segretario Pd, richiamato da Parigi come una sorta di salvatore, abbia voluto mostrare ai suoi compagni di partito quella sicurezza nei modi e nelle parole, per molti di loro mancata al suo predecessore. Ha voluto alzare la voce e ricordare, in particolare, a Matteo Salvini, trattato quasi come un comprimario, che il Governo Draghi era il  loro non il suo, dimenticandosi che il “loro” era quello precedente, il giallorosso, che ha smesso di guidare il Paese qualche mese fa. Questo è un Governo di tutti e di nessuno ma certamente non solo loro. Il Pd ha bisogno di più maturità in questo momento, deve essere aperto al dialogo con tutte le forze, per il bene del Paese, non cercare di destabilizzare una larga maggioranza andando a stuzzicare il leader leghista una volta che se ne sta buono.

Non è questo il modo di riformare un partito in crisi di consensi e di identità: serve capire gli obiettivi, indicare le priorità, comprendere il Paese. Il Pd, in questi anni, non lo ha fatto o non ha voluto farlo, lo dicono i 9 segretari cambiati in 14 anni, lo conferma l’emorragia continua di voti. Ora il tempo stringe, gli “amici” dei 5stelle guidati da Conte, sono alle loro spalle, pronti, sornionamente, a prendersi la leadership del centrosinistra. Su una cosa Letta, tuttavia, ha ragione: probabilmente per il suo partito è davvero l’ultima chance.

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