05 Dicembre 2025
Fonte: lapresse.it
Mentre un gruppetto di senatori PD presenta il controverso DDL Delrio (smentito dal capogruppo Boccia come iniziativa parlamentare di partito) che adotta la definizione IHRA per equiparare la critica radicale a Israele all'antisemitismo, una dichiarazione del Central Rabbinical Congress del 1967 – firmata da autorevoli rabbini di Canada, Europa e Stati Uniti – costituisce la più massiccia e definitiva confutazione di tale incomprensibile iniziativa politica.
"Lo Stato di Israele non può in alcun modo affermare di rappresentare l'ebraismo mondiale", proclamavano quei rabbini. "Tutti gli atti bellicosi perpetrati dallo Stato di Israele sono contrari alla nostra legge divina (la Torah) e quindi completamente estranei e ripugnanti per noi". E direi che con queste due affermazioni forti, chiare e definitive l’articolo si potrebbe anche chiudere qui, con buona pace di Delrio & CO. Ma andiamo avanti. Il documento rabbinico articola una posizione teologica chiara e incontrovertibile: la creazione di uno Stato ebraico prima dell'avvento messianico costituisce una trasgressione della volontà divina. "Uno dei principi fondamentali della nostra fede è che, poiché la volontà divina ci ha posto in esilio, ci è vietato avere aspirazioni nazionalistiche. Siamo vincolati da giuramento divino ad accettare il giogo della diaspora e vivere in pace e armonia all'interno delle nazioni".
Questa posizione non è marginale o recente. Quando il sionismo politico emerse alla fine del XIX secolo, "fu veementemente denunciato dalle autorità rabbiniche dell'epoca come diametralmente opposto all'ebraismo". Quando la richiesta di uno Stato ebraico divenne insistente, "l'opposizione dei nostri grandi rabbini crebbe in intensità. Dichiararono al mondo intero che il popolo ebraico non vuole uno Stato prima dell'avvento dell'era messianica".
Secondo la definizione IHRA adottata dal disegno di legge Delrio – che ha già causato una spaccatura devastante nel Partito Democratico con il capogruppo Boccia costretto a prendere le distanze definendolo "iniziativa personale" – affermare che "l'esistenza dello Stato di Israele è un'espressione di razzismo" costituisce antisemitismo.
Eppure il Central Rabbinical Congress va oltre, denunciando che "lo Stato di Israele ha costantemente perpetrato attività che costituiscono una violazione dei nostri diritti religiosi. Intere comunità furono costrette a esporre i loro figli a un'educazione atea; autopsie vengono eseguite contro i desideri dei defunti e dei loro parenti; la santità dei luoghi di riposo dei nostri saggi viene violata in modo vergognoso". Se il DDL Delrio diventasse legge, come ha osservato Angelo Bonelli di AVS, "chi contesta radicalmente i comportamenti dello Stato di Israele verrebbe definito antisemita e quindi sanzionato". Paradossalmente ciò significherebbe criminalizzare intere comunità ebraiche ortodosse – Satmar, Neturei Karta, parti significative dell'ebraismo chassidico – che da un secolo mantengono questa posizione teologica.
La definizione dell'International Holocaust Remembrance Alliance, che il DDL Delrio vuole rendere operativa attraverso controllori universitari, deleghe all'AGCOM per la censura online e sanzioni fino a sei mesi per i giornalisti, è stata smontata da centinaia di accademici, organizzazioni per i diritti umani e – paradossalmente – dallo stesso Ken Stern, principale redattore del documento originale.
Come ha documentato Human Rights Watch in un appello alle Nazioni Unite, "nella pratica, la definizione IHRA è stata spesso usata per etichettare erroneamente come antisemita la critica a Israele, e quindi raffreddare e talvolta sopprimere proteste, attivismo e discorsi non violenti critici verso Israele e/o il sionismo". Sette degli undici "esempi" forniti dall'IHRA si riferiscono allo Stato di Israele. Tra questi: "negare al popolo ebraico il diritto all'autodeterminazione, per esempio sostenendo che l'esistenza di uno Stato di Israele è un'impresa razzista" e "applicare due pesi e due misure nei confronti di Israele richiedendo un comportamento non atteso da nessun altro stato democratico". Come ha notato la ex Relatrice Speciale ONU sul razzismo, E. Tendayi Achiume, questa formulazione "apre la porta a etichettare come antisemite le critiche secondo cui le politiche e le pratiche del governo israeliano violano la Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale" e i rapporti di organizzazioni israeliane, palestinesi e internazionali che documentano il crimine di apartheid.
Il paradosso è devastante: una legge che pretende di proteggere gli ebrei dall'odio finirebbe per criminalizzare le voci ebraiche più critiche verso Israele. Come ha scritto Roberto Della Seta sul Manifesto, "se la proposta Delrio diventasse legge, non solo chi scrive ma tanti giornalisti e intellettuali autorevoli – Anna Foa, Gad Lerner, Stefano Levi della Torre – andrebbero sanzionati per le opinioni espresse sulla deriva nazionalista, razzista, illiberale dello Stato di Israele". In Germania, patria dell'adozione più aggressiva della definizione IHRA, il rinomato chirurgo palestinese-britannico Ghassan Abu-Sittah – che ha trascorso 43 giorni curando i feriti a Gaza – è stato bandito dall'ingresso nel Paese ed etichettato come antisemita per aver paragonato Netanyahu a Hitler. In Canada e negli Stati Uniti, la definizione è stata mobilitata per attaccare accademici, cancellare eventi, rescindere contratti di lavoro.
In risposta a questi abusi, oltre 200 studiosi di antisemitismo, studi ebraici, studi sull'Olocausto e Medio Oriente hanno elaborato nel 2021 la Jerusalem Declaration on Antisemitism, che offre una definizione alternativa: "L'antisemitismo è discriminazione, pregiudizio, ostilità o violenza contro gli ebrei in quanto ebrei (o contro le istituzioni ebraiche in quanto ebraiche)". La Jerusalem Declaration chiarisce esplicitamente che "non è, di per sé, antisemita" sostenere il movimento BDS, paragonare Israele ad altri Stati coloniali-insediamentali, o criticare il sionismo come ideologia politica. Contestualizza la lotta all'antisemitismo all'interno della lotta contro tutte le forme di razzismo, evitando la strumentalizzazione politica che caratterizza l'IHRA. Come ha osservato il professor Neve Gordon, "se dovessi insegnare in una classe il rapporto di Human Rights Watch che afferma che Israele è uno Stato di apartheid, potrei essere accusato di antisemitismo" secondo l'IHRA. Eppure quel rapporto è stato redatto anche da ricercatori ebrei-israeliani, basandosi su anni di documentazione.
Il disegno di legge Delrio non si limita ad adottare una definizione controversa. L'articolo 2 delega il governo Meloni a varare decreti legislativi per la "prevenzione, segnalazione, rimozione e sanzione dei contenuti antisemiti diffusi sulle piattaforme online". Gli articoli 3 e 4 prevedono che ogni università nomini "un soggetto preposto alla verifica e al monitoraggio" – in sostanza, controllori ideologici che vigileranno su lezioni e attività accademiche.
Come ha notato Arturo Scotto (PD), "non si dovrebbe legiferare su questioni così delicate". Il fatto che una proposta del genere arrivi da parlamentari di centrosinistra – Delrio, Malpezzi, Casini – che dovrebbero difendere le libertà costituzionali, è particolarmente sconcertante.
Il vero pericolo di questa operazione è duplice. Da un lato, equiparando la critica a Israele all'antisemitismo, si rafforza l'idea che ebrei e Israele siano la stessa cosa, una delle premesse fondamentali del vero antisemitismo, che poi colpisce gli ebrei della diaspora per le azioni del governo Netanyahu. Dall'altro, distrae dalle vere minacce. Come sottolinea Jewish Voice for Peace, "la definizione IHRA non è progettata per proteggere le comunità ebraiche dalla crescente bigotteria e dagli attacchi razzisti che affrontiamo, perpetrati principalmente da suprematisti bianchi". Gli atti di antisemitismo violento in Europa e America provengono dall'estrema destra, non dai movimenti di solidarietà palestinese.
Quando il Central Rabbinical Congress scrisse nel 1967: "È nostro sincero desiderio vivere in pace e tranquillità nelle nazioni in cui risiediamo ed essere in grado di osservare le nostre pratiche religiose fino alla nostra redenzione divina finale, quando pace e tranquillità verranno per tutta l'umanità", articolava una visione di ebraismo diasporico incompatibile con il progetto sionista.
Quella voce risuona oggi con rinnovata urgenza, mentre Gaza viene rasa al suolo con oltre 44.000 civili uccisi, mentre la Cisgiordania viene colonizzata sotto gli occhi del mondo, mentre il governo Netanyahu demolisce le ultime parvenze di democrazia israeliana.
Il DDL Delrio non protegge gli ebrei. Protegge un governo che gli stessi ebrei ortodossi definiscono "completamente estraneo e ripugnante" alla tradizione ebraica. Protegge un'operazione politica che usa la memoria dell'Olocausto come scudo contro la documentazione di crimini contemporanei.
La vera lotta all'antisemitismo richiede chiarezza, non confusione deliberata. Richiede di distinguere tra odio razziale verso gli ebrei e legittima critica politica verso uno Stato. Richiede di ascoltare anche le voci ebraiche dissonanti, invece di criminalizzarle.
C'è un'ultima ironia in questa vicenda, tanto grottesca quanto tragica. I palestinesi sono semiti, discendenti diretti delle popolazioni semitiche che da millenni abitano quella terra. Gli ebrei askenaziti che costituiscono la maggioranza della popolazione israeliana e della dirigenza sionista provengono invece dall'Europa orientale, senza alcun legame genetico o storico diretto con la Palestina antica.
Parlare di "antisemitismo" per criminalizzare chi difende i palestinesi – i veri semiti – dal genocidio perpetrato da un movimento politico europeo che ha colonizzato la loro terra, rappresenta non solo un abuso linguistico ma un capovolgimento orwelliano della realtà. I palestinesi vengono massacrati mentre chi li difende viene accusato di odio razziale contro i loro carnefici. È la perfetta incarnazione del mondo alla rovescia che il potere costruisce attraverso la manipolazione del linguaggio.
di Eugenio Cardi
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