29 Dicembre 2020
Fonte: lapresse.it
Ogni tanto, anche per chi non è costretto a confrontarsi con la legge (arduo di questi tempi), è opportuno ricordare che la Carta Costituzionale è posta al vertice della scala gerarchica delle fonti del diritto. È la Legge Fondamentale a cui si deve (o dovrebbe) ispirare ogni testo di legge. In essa, si rinvengono i diritti ed i valori fondamentali, rispetto ai quali non è stata, per contro, prevista una gerarchia.
Si parla di libertà fondamentali declinate in positivo (nel senso che l’ordinamento offre gli strumenti per garantire e realizzare i diritti dei singoli e della collettività) ed in negativo; con ciò intendendosi che si è voluto attribuire a ciascun soggetto la possibilità di agire senza subire impedimenti, e specularmente di non agire sotto la costrizione di altri (compreso lo Stato). Una forma di garanzia e di tutela di ogni “individuo”, insomma.
Il preambolo sinottico è strumentale ad una riflessione che molti cittadini hanno silenziosamente affrontato, osservando la compressione (o, peggio la sospensione) di molte delle loro libertà individuali. La risposta con la quale si sono confrontati si rinviene nello slogan della preminenza assoluta del diritto alla “salute collettiva”.
Per scongiurare che il diritto alla salute venisse messo ulteriormente a repentaglio dallo scriteriato esercizio degli altri diritti fondamentali “minori”, è stato ritenuto necessario adottare strumenti proporzionati al pericolo. Almeno questa è la narrazione.
Una sequela convulsa e vorticosa di DPCM, spesso di difficile comprensione ed altrettanto spesso di complicata applicazione, ha regolato la vita dei consociati da Marzo a Dicembre. In attesa dell’ultimo provvedimento amministrativo, perché tale è il DPCM, nella notte del 18 Dicembre è stato annunciato, come di consueto, il Decreto Natale; un decreto legge.
Difficile trovare una spiegazione ad un tale cambiamento di rotta. Un provvedimento legislativo “provvisorio” del Governo, sia perché concepito per stabilire alcune regole comportamentali di un breve lasso di tempo, sia perchè sottoposto alla necessaria conversione in Legge da parte del Parlamento, entro 60 giorni; ben oltre i limiti temporali delle sue finalità.
Una risposta potrebbe essere offerta in chiave politica, quale modalità di verifica della tenuta della maggioranza, messa in discussione per un verso, da alcuni esponenti del movimento a cinque stelle, oramai bollati come dissidenti, e per l’altro, dalla scalpitante ItaliaViva, nell’inestinguibile ricerca della propria identità. In chiave giuridica, invece, la scelta del Decreto Legge, in luogo del DPCM, potrebbe essere letta come risposta ai numerosi provvedimenti giurisdizionali dei Giudici di merito che, incidentalmente, hanno dovuto confrontarsi con la legittimità costituzionale delle norme introdotte, appunto, con un atto amministrativo (DPCM) e non con la legge. Una coincidenza temporale, forse, che cade in concomitanza con la pubblicazione di un provvedimento interinale del Tribunale di Roma.
A stretto rigore, l’unico Giudice che possa stabilire se una legge (o un provvedimento) sia incostituzionale è la Corte Costituzionale, ma perché si pronunci sulla legittimità (o meno) di una norma, sono necessari alcuni passaggi, rispetto ai quali il tempo gioca un ruolo fondamentale. Difficile comprendere se il vaccino – giunto in Italia in un numero talmente simbolico da risultare effimero rispetto al numero dei candidati apparsi nei palinsesti televisivi – possa consentirci di acquisire parte delle libertà sospese, in un tempo ragionevole; resta, tuttavia, la possibilità di comprendere se la convivenza col virus fosse compatibile con modalità meno liberticide. Per questa ragione, vari gruppi di giuristi e di medici si sono spontaneamente raccolti, per sottoporre i vari quesiti al Giudice delle Leggi.
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