24 Luglio 2025
C’è un momento, nel percorso di ogni artista, in cui la sua opera smette di essere un oggetto da guardare e diventa un’esperienza da vivere. Con Arnaldo Pomodoro, è arrivato molto presto.
Da sempre, le sue creazioni non si limitano a occupare uno spazio: lo trasformano, lo interrogano, lo aprono. Le sue sfere monumentali, i solidi squarciati, le superfici che sembrano respirare sono icone che vanno oltre la materia e si fanno linguaggio universale.
La visione dell’artista era aperta, inclusiva, urbana: le sue sculture vivono nelle piazze, davanti ai teatri, nei campus universitari.
L’arte non è estranea, dunque, a settori diversi da quelli tradizionali, quali la pittura e la scultura.
A essa si ispirano, in maniera contemporanea e ricalcando lo spirito dei tempi, anche altri ambiti, tra cui il design e l’intrattenimento digitale, in particolare per quanto riguarda le soluzioni grafiche dei videogiochi, nello specifico nei casinò online, un fenomeno che sta conoscendo una diffusione crescente alla luce degli sviluppi della digitalizzazione.
Forme, colori e atmosfere tipiche dello stile contemporaneo influenzano infatti sempre più le esperienze visive di ambienti digitali, dando vita a interfacce immersive e sorprendenti.
L’artista ha ridefinito il concetto stesso di scultura. Le sue opere sembrano oggetti geometrici puri (sfere, colonne, dischi) ma a uno sguardo più attento si rivelano fratturate, erose, segnate. Come se raccontassero, silenziosamente, qualcosa di antico e al tempo stesso ancora da venire.
Pomodoro ha sempre affermato che il compito dell’artista è rompere le superfici, rivelare l’interno, scoprire cosa si nasconde sotto. Ed è esattamente quello che fanno le sue opere: scavano. Nella materia, ma anche in noi.
Uno dei tratti più rivoluzionari della visione del genio creativo era il suo desiderio di portare l’arte fuori dai luoghi canonici: non solo gallerie e musei, ma spazi pubblici, strade, edifici. La sua produzione era pensata per essere parte del tessuto urbano, per dialogare con l’ambiente che la circonda, per appartenere anche a chi non ha mai messo piede in una mostra.
La Fondazione Arnaldo Pomodoro, a Milano, è la sintesi perfetta di questo approccio: vi si organizzano mostre, incontri, percorsi educativi ed è uno spazio vivo, in continua trasformazione, in cui il mondo artistico diventa esperienza collettiva, narrazione, territorio di esplorazione.
Il creativo vive attraverso le sue opere e ha sempre creduto che l’arte debba essere accessibile, non elitaria. La sua forza sta nella semplicità formale, ma anche nella profondità concettuale. Chiunque può guardare una sua scultura e sentirsi coinvolto. Non servono didascalie: le opere parlano da sole, con forza e poesia.
Arnaldo Pomodoro non si è mai limitato a un solo linguaggio. Ha esplorato il teatro, lavorando con registi come Luca Ronconi, ha collaborato con architetti, ha sperimentato materiali e tecniche sempre nuove. Le sue scenografie sono veri e propri ambienti, spazi totali in cui lo spettatore viene immerso.
Oggi, questa multidisciplinarietà è più attuale che mai. Viviamo un’epoca in cui i confini tra arte, design, architettura e tecnologia sfumano e si contaminano. E la sua visione, in questo senso, è straordinariamente profetica. Le sue forme spezzate, meccaniche, futuribili parlano lo stesso linguaggio delle interfacce grafiche, delle realtà aumentate, dei mondi digitali.
Anche nell’era del digitale, Pomodoro resta un punto di riferimento potente, moderno, necessario.
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