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Segre e Seymandi non si fermano più. E a noi viene l'ansia

Ma quale saga? Se mai una sega, una storiella di ordinario squallore anche se inzuppata nei vizi e nei vezzi dei "bene", quelli coi soldi che per parlarsi usano i giornali. Ma noi, potendolo, saremmo diversi?

18 Agosto 2023

Segre e Seymandi

Era cominciata come una pochade o un film da commedia all'italiana, sta continuando da rottura di coglioni di stampo influencer e chissà come e quanto andrà avanti questa storia degli ex amanti, lei troppo allegra?,lui?, entrambi?, nella Torino bene che sarebbe bene perché vi circolano i soldi, tanti, e ci si scambiano le corna con elegante disinvoltura. Ma sono tempi crassi anche per i "bene" e la storia di due che finora conoscevano solo negli ambienti bene, il Massimo Segre dell'editoria e dei buoni affari immobiliari, la Cristina Seymandi dei buoni affari immobiliari e delle traiettorie politiche, dai grillini ai leghisti in scioltezza, in disinvoltura, si frantuma in un trash da oscurare i Ferragnez, i Tottary. Non mancano nemmeno i gioielli spariti, gli anelli disputati a mezzo stampa, con le lettere aperte che è il massimo del cattivo gusto. Del cringe, come si dice per dire imbarazzante, sgradevole oltre il lecito. Comprese le accuse reciproche dalla lunga coda di paglia: femminicidio mediatico, stupro spirituale, body killering, body shaming come dice Briatore quando non sa che altro dire. Cosa ci dimostra questa noiosa storia di corna di due della Torino bene che è noiosa come la Milano bene, come il tout Bari, come la Roma della grande bellezza che fa schifo, ogni cielo bene i suoi riflessi di arroganza, i suoi atteggiamenti insopportabili, in questo caso quel sopracciò di falsa misura, di falso ritegno definitivamente andati a puttane? Anzitutto, si direbbe, la omologazione nel peggio, gli stilemi del patetico e del penoso senza più senso del ridicolo. Usando tutti gli strumenti che il rango consente, i giornali come fermoposta, le lettere pubbliche dense di allusioni e di minacce, ma, alla fine, in modo non dissimile dagli squallori di barriera e di ringhiera. Le solite storie di letti, di amplessi ballerini che tra poveri restano confinate al bar sotto casa, all'ufficio fantozziano, "Pina non farmi incazzare che qui lo sanno già tutti, adesso torno e vi faccio fuori te e la bambina, anzi mi faccio fuori io così siete fottute". Mentre fra i bene si sceglie un party di fidanzamento e poi si tramortisce la già ex, ma inconsapevole, proiettando in un silenzio orrendo le foto dei suoi amorazzi alternativi, ma dove se le è procurate il Massimo? Ha assunto un investigatore? Da quando? Poi lui se ne va, camicia candida, solenne, dolente come chi si è tolto il peso che tutti sapevano, l'uscita di scena di un divo del passato e fin qui ci potrebbe anche stare, la vendetta è un piatto che si gusta freddo. Ma non gli basta, a nessuno dei due, fanno partire un melodramma sconcertante, a colpi di botta e risposta, che è peggio delle corna e dello sputtanamento, che non ha un minimo di dignità, che non è più bene per niente, è solo cafone. Ha detto bene la Cristina Bovary: Massimo e io non possiamo lasciarci davvero, ci stanno i soldi di mezzo. I poveri, avendo di mezzo se va bene un cane, se va male i debiti, preferiscono risolvere ammazzandosi. 
Solo che i ricchi, i bene, così ammazzano noi. Da cronista mi era capitato di ironizzare all'inizio: finalmente un soffio d'aria torbida, ma fresca, di cui occuparsi invece dei soliti squartamenti, clandestini, balordi climatici, manovre tassatore, una noia da spararsi. Adesso, a due settimane dalla scena madre, non ne posso più, questi due sempre a sputtanarsi, sempre a raccontarsi, mi mettono ansia peggio dei cambiamenti climatici. 
L'altra riflessione che arriva, en passant, è la smania di protagonismo anche nello squallore e nella mortificazione, una megalomania determinata dalla tecnocrazia pubblicitaria e ormai irrefrenabile, ricchi o miseri che siano. I social non saranno granché per approfondire la psicologia di massa ma qualche indicazione la offrono: per esempio un peggioramento generale, come un reinfantilismo. La pulsione egolatrica ha preso il sopravvento, tutta una sfilata continua, uno spreco di autoritratti dalle pretese divistiche, o fatali, in gente adulta e più che adulta, con tanto di figli, di famiglie. Di solito sono messaggi in codice, invariabilmente diretti a qualcuno nella cerchia microsociale del lavoro, delle conoscenze, del Rotary. Canzoncine, sguardi languidi, generosa esposizione di intimo: "lo faccio per me", si mente e si finge di crederci, di non sapere, di non capire che invece c'è sempre di mezzo qualche tradimento in corso d'opera o irrimediabilmente perduto. Ma il rimpianto ha la sconcertante, imbarazzante voce dell'immaturità di ritorno, del narcisismo puerile. Solo che nessuno se ne accorge perché tutti stanno coinvolti nello stesso gioco, come in Mon Amour della Annalisa: ho visto lei che provoca lui che provoca me. I cornuti bene hanno i giornali e i giornalisti servi, gli avvocati, i reputation manager, i cornuti normali si accontentano di Instagram e fanno da soli, ma quello che tutti dovremmo tenere sono i Massimo Segre, le Cristina Seymandi in noi, che coviamo dentro di noi.

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