31 Agosto 2025
Tutti a bordo, si parte! Meta? Gaza. Scopo: “rompere l’assedio”. Mezzo? Barchette da turismo, velieri da Instagram, e una spolverata di celebrità impegnate. Parte domani la Global Sumud Flotilla, un’armata pacifista che punta (letteralmente) il dito contro Israele navigando verso uno dei teatri di guerra più blindati del pianeta… con gommoni e coriandoli umanitari.
La Sicilia sarà la nostra Cape Canaveral: qui si uniranno le navi partite da Genova e Barcellona, con a bordo Greta Thunberg (già respinta da Israele a giugno, la cui presenza è talmente fastidiosa da farmi vedere Natanyahu come un Ghandi 2.0) e Susan Sarandon, la zia che ognuno di noi vorrebbe alle manifestazioni. A rendere tutto ancora più romantico, le barche avranno equipaggi multietnici – così respingerle sarà “complicato”.
Per Israele, un vero rompicapo: come si affonda una flottiglia con dentro sei passaporti ONU e due attrici?
Parliamo di 200 tonnellate di beni umanitari (per inciso: Gaza ne riceve migliaia al giorno via terra, con molti meno selfie). Ma questa missione non si limita al carico. No no: si tratta di una delle più grandi spedizioni umanitarie mai organizzate da attivisti, dicono loro. Peccato che nessuna abbia mai davvero cambiato qualcosa sul campo. Spoiler: anche questa probabilmente non lo farà.
I porti di partenza sono segreti (per “sicurezza”), ma il finale non lo sarà: o verranno fermati dalla marina israeliana in acque internazionali, o faranno retromarcia tra i flash dei fotografi. Un circo galleggiante, utile più alle carriere dei VIP coinvolti che ai civili intrappolati da decenni di conflitto.
Italia in prima fila: 250 partecipanti e quasi 300mila euro raccolti per far salpare questo Titanic della buona volontà. Nomi altisonanti – da Fiorella Mannoia a Isabella Ferrari – come se bastasse un microfono per abbattere un blocco militare.
La verità? Gaza non ha bisogno di barchette piene di buoni propositi. Ha bisogno di politica vera, diplomazia, e pressioni internazionali concrete. Ma quello non fa notizia. E nemmeno like.
Di Aldo Luigi Mancusi
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