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Gaza, l'inquietante e pericolosa escalation del governo israeliano verso l'occupazione totale dei territori palestinesi occupati

Le reazioni internazionali al piano di Netanyahu, un illegittimo piano di conquista che sfida il Diritto Internazionale: dall'invasione all'occupazione permanente

05 Agosto 2025

Gaza, l'inquietante e pericolosa escalation del governo israeliano verso l'occupazione totale dei territori palestinesi occupati

Idf Gaza Fonte: Israel Defense Forces/Handout

La situazione a Gaza ha raggiunto un pericoloso quanto inquietante punto di non ritorno. Nelle ultime ore, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato che convocherà il gabinetto di sicurezza questa settimana per discutere l'espansione delle operazioni militari fino alla completa occupazione della Striscia di Gaza. Secondo fonti militari israeliane, l'esercito ha elaborato piani per una grande invasione di terra per occupare completamente il territorio entro pochi mesi e stabilire un governo militare.

Un alto funzionario vicino a Netanyahu ha dichiarato: "Il dado è tratto, stiamo andando verso una completa occupazione della Striscia di Gaza". Il piano prevede operazioni anche nelle aree dove si trovano gli ostaggi, contraddicendo le precedenti strategie israeliane che evitavano tali zone

La tragedia umanitaria in corso

I numeri della catastrofe sono drammatici. Dal 7 ottobre 2023, oltre 60.000 palestinesi sono stati uccisi a Gaza, quasi la metà donne e bambini, con più di 150.000 feriti. Le Nazioni Unite avvertono che 28 bambini muoiono ogni giorno a causa dei bombardamenti israeliani e della mancanza di aiuti.

Negli ultimi giorni, almeno 74 palestinesi sono stati uccisi negli attacchi israeliani, inclusi 36 civili che cercavano aiuti umanitari. La situazione alimentare è disperata: proiezioni mostrano che il 100% della popolazione di Gaza sta vivendo "alti livelli di insicurezza alimentare acuta", con circa il 20% che sperimenta livelli catastrofici.

Le reazioni europee: dalla tolleranza alla condanna

L'Europa, tradizionalmente divisa sulla questione israeliana, sta mostrando segnali di crescente preoccupazione. Il Cancelliere tedesco Friedrich Merz (ovvero colui che fino a pochi giorni fa dichiarava che lo Stato di Israelesta facendo il lavoro sporco per conto di tutti” e che guida un Paese che detiene il record europeo di vendita di armamenti vari ad Israele) ha dichiarato che i danni ai civili "non possono più essere giustificati dalla lotta contro il terrorismo di Hamas", segnando una netta rottura con il sostegno incondizionato di Berlino a Israele.

28 nazioni occidentali, inclusi Regno Unito, Canada, Francia e Italia, hanno rilasciato una dichiarazione congiunta affermando che la guerra a Gaza "deve finire ora" e che la sofferenza dei civili ha "raggiunto nuove profondità". La Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha descritto l'espansione dell'offensiva militare israeliana a Gaza come "orrenda".

L'UE ha lanciato una revisione dei suoi legami commerciali con Israele dopo mesi di assedio e bombardamenti. Tuttavia, nel luglio 2025, i ministri degli esteri dell'UE hanno commesso un gravissimo errore decidendo di non prendere alcuna azione contro Israele (contrariamente a quanto fatto nei confronti della Russia) per presunti crimini di guerra nella continua aggressione armata nei confronti dei palestinesi di Gaza, una decisione che Israele ha considerato una vittoria diplomatica e che quindi ha rafforzato nel gruppo dirigente dello Stato sionista il convincimento che nulla e nessuno li avrebbe fermati.

Il mondo arabo: tra condanna e proposte alternative

Il mondo arabo si trova in una posizione complessa. Rispetto a quanto ci si sarebbe potuto aspettare, non vi sono state fino ad oggi grandi e decise prese di posizione a favore del popolo palestinese di Gaza, probabilmente soprattutto per non indispettire l’alleato americano con il Presidente Trump che ad ogni piè sospinto usa minacciare, senza mezzi termini, chiunque decida di contrastare il suo pensiero e le sue azioni.   

Ad ogni modo l’Arabia Saudita ha condannato "l'uso degli aiuti come strumento di estorsione e punizione collettiva" come violazione del diritto internazionale. I leader arabi hanno sviluppato un piano di ricostruzione di Gaza da 53 miliardi di dollari distribuito su cinque anni, come alternativa alle proposte di Trump per lo "svuotamento" di Gaza.

I sondaggi dell'opinione pubblica araba mostrano che l'89% degli intervistati rifiuta il riconoscimento di Israele, evidenziando il profondo divario tra le posizioni governative e il sentimento popolare.

BRICS e le grandi potenze: condanna senza azione

Il blocco BRICS (gruppo che riunisce i rappresentanti di 11 Paesi membri permanenti: Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa (questi i cinque stati che hanno dato origine al consesso nel 2009), cui si sono aggiunti Iran, Arabia Saudita, Egitto, Etiopia, Emirati Arabi Uniti e Indonesia) ha condannato fermamente la guerra israeliana a Gaza, definendo il trasferimento forzato e la deportazione dei palestinesi "crimini di guerra". Il Presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha dichiarato che la "punizione collettiva dei civili palestinesi attraverso l'uso illegale della forza da parte di Israele è un crimine di guerra... equivalente al genocidio".

La Cina, tuttavia, è rimasta ai margini del conflitto Iran-Israele, segnalando i limiti del suo potere in Medio Oriente nonostante i suoi sforzi per aumentare la sua influenza diplomatica ed economica nella regione. Esperti sottolineano che la guerra di Gaza ha esposto "profonde divisioni" all'interno dei BRICS, con il gruppo che non riesce a prendere una posizione audace e unanime.

Trump e la "Riviera del Medio Oriente"

L'inviato speciale di Trump, Steve Witkoff, ha annunciato la fine delle negoziazioni "frammentarie" per il cessate il fuoco, optando per un approccio "tutto o niente". In buona sostanza il governo israeliano continuerà a promuovere il folle e pericolosissimo oltre che altamente disumano piano di Trump "per consentire la partenza volontaria dei gazawi" dalla Striscia (assurdo eufemismo ipocrita che designa in realtà una seconda Nakba dopo quella del 1948, ovvero la cacciata dei palestinesi dalle proprie terre), parte della visione trumpiana di trasformare Gaza nella "Riviera del Medio Oriente".

Violazioni del Diritto Internazionale e conseguenze

Secondo il piano militare israeliano, i 2,2 milioni di gazawi palestinesi sarebbero ordinati in una cosiddetta "zona umanitaria" (leggasi “minuscolo carcere a cielo aperto”) più piccola di quella attualmente designata per i civili, con i militari che esamineranno opzioni per controllare la distribuzione del cibo limitato a un ammontare calorico minimo necessario per la sopravvivenza (ci rendiamo conto di cosa stiamo parlando? A me sembra che molti, tra i quali i nostri governanti, non riescano proprio a capirlo o non vogliano capirlo).

Esperti di diritto internazionale sono unanimi nel ritenere che un mandato di arresto della CPI non implementato costituirebbe una violazione flagrante degli obblighi di uno Stato membro. L'Ungheria ha violato i suoi obblighi rifiutando di arrestare il Primo Ministro israeliano durante la sua visita a Budapest nell'aprile 2025.

Conclusioni: una crisi globale in escalation

La situazione attuale rappresenta una delle crisi umanitarie più gravi del XXI secolo. La scala e il ritmo di distruzione e danno degli edifici nella Striscia di Gaza si colloca tra i più gravi della storia moderna, superando i bombardamenti di Dresda, Amburgo e Londra durante la Seconda Guerra Mondiale, sommati tra di loro.

Le divisioni internazionali sono profonde: mentre l'Europa si muove lentamente verso una posizione più critica, gli Stati Uniti sotto Trump sembrano sostenere pienamente i piani israeliani. Il mondo arabo, respinge fermamente qualsiasi trasferimento forzato dei palestinesi, mentre le grandi potenze emergenti condannano ma rimangono essenzialmente passive.

Come osserva l'International Crisis Group, "le parole non bastano" e l'Europa deve "porre in campo più del suo peso economico" per avere qualche speranza di contribuire a cambiamenti nella politica israeliana. La sfida rimane immensa: come fermare quella che molti osservatori internazionali considerano una catastrofe umanitaria che minaccia la stabilità dell’intero Pianeta e i principi fondamentali del diritto internazionale.

La comunità internazionale si trova di fronte a un test cruciale: permettere che questa escalation continui significherebbe accettare la normalizzazione della violenza di massa e dello sfollamento forzato come strumenti di politica governativa nel XXI secolo.

Di Eugenio Cardi

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