31 Luglio 2025
Sergio Mattarella (foto LaPresse)
Da una parte il Quirinale. Dall’altra il governo. C’è chi si limita a telefonare. E c’è chi non ha paura a puntare l’indice contro Netanyahu e il suo fanatismo militare che sta distorcendo un 7 ottobre su cui - mio parere - è impossibile, alla luce di quel che stiamo vedendo sul campo militare e rispetto alle trattative per la liberazione degli ostaggi, non vedere delle responsabilità del governo israeliano.
Hamas resta Hamas, che non c’entra con le strategie jihadiste dell’Isis e il suo agire è fuori dalla traiettoria del jihadismo globale; chi temeva che dopo la risposta israeliana al 7 ottobre l’Europa sarebbe rimasta esposta a vendette promosse da Hamas o per conto di Hamas ha errato la valutazione (e non poteva essere altrimenti perché mai ci sono state le impronte di Hamas negli attentati a matrice islamica in Europa); tuttavia questo non comporta che questo movimento sguazzi nell’acqua putrida del terrorismo come unica ragione sacrificando la minima salvaguardia dei palestinesi e il loro minimo benessere. Ma un ruolo politico lo conserva ed è la stessa Casa Bianca a riconoscerlo in questa fase delicata di trattative pur avendola nell’elenco delle organizzazioni terroristiche.
Come dicevo, Hamas resta Hamas, una organizzazione che conosce la grammatica terrorista impastata con la politica. Del resto Netanyahu lo sa e lo sapeva bene quando dal Qatar partivano finanziamenti a sostegno di questa pericolosa creatura con cui Israele sperava di sostituire (e controllare?) l’Autorità nazionale palestinese di Abu Mazen e quindi ostruire la strada ai “due popoli, due Stati” la cui percorribilità appare utopica e talvolta semplicistica.
Dopo il famoso 7 ottobre gli scenari sono cambiati e ricambiati in uno strano caleidoscopio che ora vede il governo di Israele nella stessa colonna dei cattivi, in una paradossale torsione che solo Netanyahu col suo fanatismo militare è riuscito a realizzare. Gaza, la questione israelo-palestinese, il Qatar, la sottopelle del Golfo e di quel che cova nella ragione: le divisioni tra buoni e cattivi, tra giusto e sbagliato, durano il tempo delle scritte sulla sabbia; la situazione è talmente complessa che sfugge ad una sola prospettiva. Israele aveva un credito enorme di margine politico e geopolitico ma - anche stavolta - l’ha esaurito andando a prendersi tutto come fosse legittimo (non ultimo il riconoscimento di ulteriori 22 insediamenti in Cisgiordania!). Chi, nell’Occidente, pensa che Israele si stia muovendo per sé e anche per noi assumendo il rischio del gioco sporco, è bene che quel qualcuno esca allo scoperto perchè Israele non ha titolo (per quel che mi riguarda) farlo, sia per il massacro a Gaza sia per il germe di vendetta che dissemina. Se lo fa l’America non è detto che lo si debba fare anche noi. Il consolidato diplomatico e relazionale dell’Italia con Israele e alla stessa maniera col mondo arabo, accumulato nella Prima Repubblica, si è consumato, a tal punto che se oggi Andreotti o Craxi ripetessero in aula quel che in aula ebbero a dire in situazioni ancor più delicate (pensate al leader socialista nell’intervento post Sigonella) sarebbero linciati dai banchi del centrodestra di governo. Quanto alla sinistra siamo a battute da ingaggio propagandistico.
Non è un caso che le parole più dure e rigorose siano state pronunciate da Mattarella, democristiano e uomo del Mediterraneo, seppur non esplicitando il nome del premier Netanyahu né il lemma “genocidio”. "È difficile, in una catena simile, vedere una involontaria ripetizione di errori e non ravvisarvi l’ostinazione a uccidere indiscriminatamente". Non c’è errore insomma quando il bersaglio diventano "bambini assetati in fila per avere acqua", oppure ospedali, ambulanze, medici, infermieri, oppure ancora civili inermi e affamati che rischiano la vita per un pugno di farina. O "l’incredibile bombardamento della parrocchia della Sacra Famiglia". Lo dice bene il presidente Mattarella: c’è del diabolico. Perché allora il Capo dello Stato non ha chiesto o parlato del riconoscimento dello Stato di Palestina? Perché al di là della forma (chi non glielo avrebbe consentito, nel senso che non tocca a lui) ha posto l’accento sulla sostanza; ed è come se lo avesse riconosciuto perché quelle parole pesano. Ecco perché il governo dovrebbe cominciare ad avere il coraggio di una scelta politica matura, di un Paese che è nevralgico nel Mediterraneo.
Non basta telefonare a Netanyahu (e glisso sul premio ostentato da Salvini…) per chiedere un cambio di postura a Tel Aviv perché - siamo onesti - quel gesto non ha alcun peso reale.
Ps. Di contro resto fedele alle critiche che già rivolsi a suo tempo al Capo dello Stato rispetto all’equiparazione della Russia col Terzo Reich: Mattarella poteva usare mille modi per criticare Putin (era suo diritto) ma negare a Mosca il ruolo che ebbe nella liberazione dal nazifascismo è uno scivolone storico e politico assieme.
Di Gianluigi Paragone
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