28 Luglio 2025
Le confezioni monouso nel mirino dell'UE
Insisto. Dopo anni a sentirci dire che in Gran Bretagna si erano pentiti della Brexit e che “se, signora mia, potessimo tornare indietro…”, ecco che i fatti ci dicono che non è proprio così.
Alcuni mesi fa, a cinque anni esatti dalla Brexit, il più autorevole think tank britannico dedicato specificatamente ai temi del “Leave” (“Uk in a changing Europe”, pensatoio tutt’altro che antieuropeista…) ha studiato le stime dell’Ufficio per la Responsabilità di Bilancio e ne ha tirato fuori un dossier, The Brexit Files. Secondo questi studi, la Gran Bretagna, essendo una economia basata sui servizi e sull’export dei servizi, ha retto bene particolarmente in settori come la programmazione di computer e come l’industria creativa.
Ad un lustro dalla Brexit il Regno Unito resta dominante nei servizi finanziari, pertanto gli scenari peggiori non si sono affatto materializzati. E se è vero che l’economia britannica ha performato peggio rispetto agli anni precedenti alla Brexit, va anche aggiunto che ha performato peggio anche e soprattutto rispetto agli anni antecedenti alla pandemia e alla guerra in Ucraina; ma questo - com’è noto - ha coinvolto anche le maggiori economie europee. Dunque, per farla breve, sul fronte economico non c’è stata alcuna eclisse britannica e nessuna invasione delle cavallette.
Anche sul fronte più politico all’orizzonte non si vedono affatto pentimenti. A dirla tutta, il grande protagonista di quella campagna, mister Nigel Farage, è oggi il politico più in forma tanto che il suo movimento Reform Uk stando ai sondaggi è il primo partito. Nelle recenti tornate amministrative Reform Uk ha battuto sia i Conservatori sia i Laburisti del premier Starmer, al quale non bastano né le sortite militariste (in Italia c’era addirittura chi scriveva che queste mosse fossero una specie di rientro nella Ue dalla porta secondaria, come volontà di un euro-ritorno) né i tentativi di imitare i conservatori europei nelle politiche migratorie, questione su cui a breve assisteremo ad un ulteriore cedimento dei Labour a seguito dei processi contro le comunità pachistane colpevoli di violenze ai danni di adolescenti britanniche in aree depresse del Regno, avvenute nel silenzio dei Laburisti locali timorosi del politicamente corretto.
Economia e immigrazione: la Brexit avvenne con queste due leve, leve ancor oggi attuali. L’economia britannica, al netto del Leave, non ha subito terremoto (anzi…). E l’immigrazione premia ancora Farage. Ora, questi due argomenti sono i punti deboli dell’Unione europea: sull’immigrazione non c’è una linea di contrasto duro e sull’economia, come dimostra la questione dei dazi, non c’è un potere contrattuale degno del tanto strombazzato disegno europeista.
L’Europa è solo una grande bolla retorica, in Italia sostenuta dalle chiacchiere su Spinelli, il Manifesto di Ventotene (uno degli scritti politici più sopravvalutati, ma siccome si consuma nell’alveo della sinistra allora diventa un libro intoccabile) e dall’antifascismo. Così mentre noi restiamo incantati in questa ipnosi arrivano quelli forti e ti fanno vedere come si gioca. Trump ha letteralmente ridicolizzato l’Europa, a tal punto da indurre la solita domanda: ma a cosa serviva farsi rappresentare dalla Commissione? La Ue avrebbe potuto fare come la Cina, cioè salire sul ring e ricambiare i colpi, ma per farlo avrebbe dovuto 1) dimostrare la forza dei propri asset; 2) l’intenzione di colpire. Invece, la presidente Von Der Leyen ha preferito l’umiliazione. (E invito il governo a non scambiare lucciole per lanterne!)
Vediamo le reazioni. Cominciamo da quelle più ipocrite, cioé quelle del centrosinistra e del Pd. "Strategia arrendevole del governo italiano", afferma la Schlein mettendo l’accento sui rapporti tra la Meloni e il presidente Usa. "Contratto capestro", commenta il responsabile economico del partito, Misiani. Il Pd, a differenza di FdI e Lega, è parte della (solita) maggioranza che sostiene il “governo europeo”, cioé la Commissione. Quindi al Pd basterebbe sfilarsi dalla maggioranza e far cadere l’equivoco, ma non lo farà mai. Se lo facesse costringerebbe, a quel punto, la Meloni e il suo partito a gettare la maschera rispetto a Ursula.
Arriviamo così a Fratelli e alla Lega: dove sono finite le voci anti-Ue? Ora che si potrebbe cominciare a sbullonare l’impalcatura di Bruxelles, che fate? Premesso che riconosco all’attuale maggioranza il coraggio di aver fermato il Mes e anche molti del deliri green, qui va deciso se alzare d’intensità la destrutturazione oppure se proseguire nel galleggiamento. Aver chiuso i dazi al 15% esultando per aver copiato il modello Giappone, non mi pare un grande risultato: non ci avevano raccontato che bisognava fare l’Europa unita per pesare di più nei mercati globali? A me sembra che l’Europa sia servita alla Germania prima, serva alla Francia ora. L’Italia e l’economia italiana prima dell’euro e dell’Unione stava benissimo. Ma non si può ricordarlo perché “adesso siamo in Ue e non possiamo che restarci”: ce lo ripetono come fosse una preghierina laica, ma nessuna prova in laboratorio può affermare questo sano accoppiamento.
IN ECONOMIA SI PESA SE SI PESA ANCHE IN POLITICA: l’Unione europea non pesando in politica non può far valere un peso economico nella globalizzazione. Il Giappone (il cui debito pubblico è altissimo, com’è noto) ha strappato un accordo al 15% perché forte del posizionamento strategico nell’area dell’IndoPacifico. L’Italia, prima dell’Unione europea, era forte politicamente proprio perché centrale nel Mediterraneo, spazio politico dimenticato a lungo dalla EuroGermania baltica.
Torno al punto: ma che si stiamo a fare in questa Unione Europea? Meloni e Salvini, svegliatevi!
Di Gianluigi Paragone
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