08 Luglio 2025
I sondaggi dicono che Nigel Farage stia volando e se si votasse oggi sarebbe o il primo o il secondo partito. Farage è un personaggio stranissimo, un grande animale dallo strepitoso fiuto politico, capace di intercettare gli odori e i rumori della foresta. Per molti versi mi ricorda Umberto Bossi.
È il Mister Brexit per eccellenza e i suoi partiti sono… lui. La sua ultima creatura Reform Uk di fatto è il “centrodestra” britannico nel senso che ha sorpassato i Tories, i quali - senza un leader forte - non riescono ad approfittare della crisi enorme dei Laburisti di Starmer.
Farage sta imponendo la propria agenda, innanzitutto sul tema “immigrazione” che fu il grimaldello della Brexit. Va detto che il premier laburista sta tentando politiche “rigoriste” (quando venne in Italia apprezzò il modello Albania varato dal governo Meloni) e il suo ministro dell’Interno ha contatti con il nostro Piantedosi. Eppure le ricette di Starmer non convincono gli inglesi, anzi stanno contribuendo a spaccare il partito la cui parte più “di sinistra” lamenta le recenti svolte rigoriste.
Nigel Farage, dunque, c’è. Con il suo fardello di retorica, di azioni e di visioni. Farage c’è alla faccia dei tanti che, in Gran Bretagna e ancor più nel resto del continente europeo, lo hanno dato per morto tante volte. “Se i britannici potessero rivotare quel referendum, chiederebbero di rientrare nell’Unione europea”: quante volte lo abbiamo sentito affermare come una sentenza. Io stesso mi sono ritrovato un sacco di volte con interlocutori esperti di cose britanniche - uno su tutti, Antonio Caprarica - scolpire tale verdetto sulla pietra, ma quel verdetto non corrispondeva e non corrisponde al sentiment del popolo. Più lo dicevo e più la mia risposta veniva coperta da una specie di saccente “Se lo dico io è vero…”.
Ho conosciuto Farage quando varai Italexit e ne ottenni un appoggio; ho conosciuto anche alcuni suoi stretti collaboratori e parlando con loro mi confermavano che Londra non era la Gran Bretagna e quel “Leave” sarebbe stato riconfermato anche successivamente. E così infatti è stato: l’opzione di un rientro non entrò nella campagna elettorale delle politiche nemmeno dalla porta laburista e Starmer preferì liquidare il tema parlando di gestione di una decisione presa. Poi arrivarono gli studi sugli effetti reali della Brexit a conferma che non fu un disastro ma un bilanciamento di luci e ombre anche legate agli accadimenti internazionali. Infine la crescita del Reform Uk nei sondaggi, nelle suppletive e persino nelle elezioni amministrative. Dove lavoro e immigrazione sono i temi più marcati, temi che Farage da tempo cavalca nelle aree depresse della Gran Bretagna. A ciò si aggiunga uno scandalo coperto anche dalle reticenze del politicamente corretto e su cui stanno emergendo le prime verità: le violenze compiute da esponenti delle comunità pachistane in zone governate dai laburisti.
Ripresa economica, salari e immigrazione sono i temi che allo stesso modo Donald Trump cavalca alla sua maniera, con modalità radicali sia nel primo caso che nel secondo. I dazi sono la leva politica con cui la Casa Bianca cerca di entrare nella meccanica distorta della globalizzazione che ha penalizzato l’America a favore della Cina, così come è l’arma puntata contro quei Paesi la cui bilancia commerciale sfavorisce l’economia statunitense. Poi ci sono i rimpatri e le regole ferree - anche a favor di telecamera perché nell’analisi delle politiche di Trump non si può prescindere dalla mediaticità delle stesse - con cui il presidente sta trattando l’immigrazione irregolare.
Non importa analizzare troppo le scelte di Trump o di Farage, quel che conta è capire perché due leader “di destra” su temi legati al lavoro e ai salari incrociano un elettorato che un tempo avrebbe votato a sinistra. Le oscillazioni sociali da sinistra a destra sono un fatto ormai consolidato, rafforzato da una globalizzazione impazzita. Poi c’è il blocco che chiamiamo “moderato” per intendere il “ceto medio”: chi pensa che questa importante fascia accetterà a lungo l’erosione del proprio risparmio e del proprio potere di acquisto si sbaglia. La sinistra della Schlein non è in grado di intercettare questo popolo, ma questo popolo è in grado di reggere azzardi elettorali imprevedibili. Inviterei pertanto la Meloni e il centrodestra a non adagiarsi.
di Gianluigi Paragone
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