28 Giugno 2025
La rivoluzione della macchina elettrica è molto più profonda e velenosa di quel che appare in superficie. E non si esaurisce con le pasticciate regole del green approvate nel Von Der Leyen 1 poi messe in discussione con il Von Der Leyen 2. Il guaio ci porta dritti dritti all’ombra del Dragone.
Macchine elettriche, macchine ibride, grandi dimensioni, piccole dimensioni e soprattutto prezzi assolutamente concorrenziali. Perché questa è la regola dettata da Xi Jinping: contributi pubblici alle aziende, abbattimento del loro rischio di impresa, distorsione della concorrenza e via sul mercato, interno dove c’è (la Cina ha ancora un grande problema sulla domanda interna) ed esterno dove c’è ricchezza, quindi America ed Europa. La sfida del Dragone viene portata direttamente nel cuore dei Continenti dove l’automotive era una sfida industriale complessa e affascinante. Che abbiamo deciso di tradire per sposare un paradigma nuovo e per noi penalizzante: sostituire quel mondo ad altissimo impatto ingegneristico che è il motore, con le batterie. Eccolo il “cavallo di Troia” con cui i cinesi sono entrati e stanno erodendo quote di mercato sempre più grosse. Quindi, primo danno: abbattimento di una filiera produttiva (motore), perdita di posti di lavoro e rischio di smarrimento di un know-how.
Se togli il motore e metti la batteria (che la Cina produce in quantità che non conosce rivali: la Byd ha cominciato producendo batterie), ti servono due altri pezzi fondamentali per diventare competitivi: il design e la digitalizzazione. Sul design il gioco è presto fatto: si copia e si fa realizzare da studenti e/o professionisti che hanno studiato da noi. Quanto ai software di connessione non credo che la Cina abbia ormai problemi. E non è un caso che il colosso della telefonia Xiaomi sia entrato nel business dell’automotive in modalità “aggressive”: la nuova uscita YU7 (suv dallo stile fortemente ispirato alla Ferrari Purosangue) dopo tre minuti dal lancio aveva già raccolto oltre 200 mila ordini, stracciando la berlina SU7 che nel 2024 che aveva raggiunto 50 mila preordini in soli 27 minuti. Il prezzo di listino sul mercato cinese (in Europa potrebbe arrivare tra sei mesi) spazia tra i 33 mila e 40 mila euro, al cambio; una politica tariffaria competitiva sia con Tesla sia con la connazionale Byd.
“Timeo Danaos et dona ferentes” dicevano i latini e questa preoccupazione ci torna utile per due insidie che si nascondono nel ventre della politica low cost: se le nuove macchine elettriche sono un computer su quattro ruote e dentro un bel design, chi “cattura” tutte le informazioni che passano dalle connessioni? Dai nostri dati sensibili nei cellulari alle info sui tragitti passando per le transazioni con la banca, ogni passaggio verrà immagazzinato dai cloud della casa produttrice. Che è cinese, quindi controllata dal governo. Non solo. Con le connessioni Wi-Fi non è accidentale che la macchina, nei suoi trasferimenti da un posto all’altro, catturi anche dati in ambienti circostanti esterni.
Altre due insidie legata sempre alle politiche di ingresso low cost sono quella della leva finanziaria con cui si fa credito al cliente (ogni gruppo ha la propria finanziaria: un debitore non sarà mai una persona libera) e quella della rete vendita, per cui si passerà dal modello “rigido” delle concessionarie a quello “leggero” dei punti dove si ritira l’auto dopo averla configurata on line. Le autofficine non sono contemplate come problema nelle macchine elettriche: se c’è un problema sarà di software e di microchip.
A questo punto la domanda è: ma quanto pesa l’automotive cinese? Ogni anno sempre di più, anche per via delle massicce campagne pubblicitarie. BYD, Geely (nella cui galassia ci sono la Volvo, la Lotus, la Polestar, la Lynk&Co), Saic (settima casa automobilistica più grande al mondo, proprietaria di marchi come MG, Roewe e Maxus, e con partecipazioni in joint venture con Volkswagen e General Motors), Chery, Changan e Dongfeng sono colossi che progressivamente affiancheranno nell’immaginario collettivo i marchi europei, americani, giapponesi e coreani.
Secondo la stampa di settore, Dongfeng Motor e Changan sarebbero prossime a siglare un accordo di fusione, tant’è che gli attuali partner esteri dei due gruppi come Ford, Honda e Nissan sarebbero infatti già stati informati. Laddove questo matrimonio riuscisse, ovviamente sotto la supervisione del governo di Pechino, il gruppo potrebbe arrivare a produrre oltre 5 milioni di veicoli all’anno: numeri raggiunti da Stellantis. Nei piani di Xi Jinping c’è la creazione di un colosso in grado di tenere testa a Toyota e Volkswagen con l’obiettivo, in futuro, di diventare il numero uno al mondo per unità vendute.
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