09 Maggio 2025
La grande parata militare odierna fortemente voluta da Putin in commemorazione dell'80° anniversario della Vittoria dell'ex URSS sulla Germania, mi ha riportato con la memoria a quando lavoravo con i russi, qualche decennio fa. Correvano allora i primi anni '90, eravamo in piena rivoluzione targata Gorbačëv, era l'epoca della famosa Perestrojka (termini russi che improvvisamente in Italia diventarono di moda e di uso comune, frequentemente menzionati anche nei bar, per la gran parte dei casi a totale sproposito), ed io ero un giovanissimo amministratore di una società italiana creatrice ed esportatrice di gioielli, società che era fortemente legata ad una enorme azienda di San Pietroburgo che sostanzialmente faceva il nostro stesso lavoro, ovvero l'ideazione, la produzione e l'esportazione all'estero di prodotti (perlopiù artigianali) di elevato livello artistico.
In realtà avevo anche importanti incarichi all'interno della joint venture italo-russa, quale consigliere di amministrazione e di Presidente della Commissione di revisione dei conti, incarichi che mi portavano a frequentissimi periodi di permanenza in Russia, San Pietroburgo soprattutto, dove addirittura all'interno della grande e prestigiosa azienda russa avevamo a nostra disposizione un locale ove lavoravano una trentina di giovanissimi orafi.
Trascorrevo così infinite giornate in azienda a far trattative di ogni genere con i dirigenti locali, i quali, sospettosi quando si trattavano affari (ad esempio, seppur parlavamo attraverso una interprete professionale, loro erano certi che io parlassi e comprendessi benissimo la loro lingua, ma che agivo attraverso un'interprete per poter così origliare quel che si dicevano tra di loro. Capito questo, mi divertivo di tanto in tanto a far cadere nella conversazione una parola in russo che avevo imparato in quelle mie diverse permanenze in terra di Russia, così da accreditare ancor più tale loro sospetto) erano però estremamente cortesi ed ospitali (così come è in genere il popolo russo) al di fuori dell'attività lavorativa, invitando noi, della nostra piccola comitiva italiana, molto frequentemente a cena in bellissimi locali tradizionali e soprattutto a teatro (famosissimo e prestigiosissimo il Kirov di San Pietroburgo, attuale Mariinskij), oltre a organizzarci visite guidate per tutte le meraviglie della splendida San Pietroburgo, la cosiddetta Venezia del Nord, tanto cara a Pietro il Grande (che fortemente la volle e alla quale ha dato il proprio nome) e ai pietroburghesi che non dimenticano mai, ancora oggi, di depositare sul frontespizio della statua del fondatore della città - che troneggia davanti la splendida Cattedrale di Sant'Isacco - un mazzo di fiori freschi, omaggio che fanno tra l'altro puntualmente, come primissima cosa, tutte le giovani coppie che si congiungono in matrimonio. Ma naturalmente non giravo per la città e dintorni unicamente con i colleghi russi, dirigenti di fabbrica, ma man mano presi ad andar in giro da solo o in compagnia di persone conosciute sul luogo. C'era grandissimo fermento in quel momento, sociale, politico e culturale. A San Pietroburgo vi era diffusa povertà, il lungo periodo staliniano aveva lasciato pesanti conseguenze: palazzi fatiscenti, le cosiddette abitazioni collettive nelle quali vivevano contemporaneamente più famiglie, disoccupazione, la piaga dell'alcolismo per cercare così di soffocare i lunghi inverni freddi e la miseria.
All'esterno del Gran Hotel Astoria, dove noi alloggiavamo di frequente (un altro hotel da noi ben conosciuto era il Saint-Petersburg, dalle quali finestre si può ammirare lo spettacolo della Neva, il grande fiume che attraversa la città, e l'incrociatore Aurora, la famosa nave militare che diede il via alla Rivoluzione di Ottobre sparando in aria un colpo di cannone, ora perennemente attraccata proprio di fronte a tale hotel e adibita a museo storico), mentre all'interno i camerieri in livrea servivano ai tavoli del grande salone (che si chiudeva in alto con una cupola di vetro) e l'orchestra suonava incessantemente, all'esterno, tra la neve e il freddo gelido, madri di famiglia cercavano di vendere ai passanti qualcosa che avevano preso a casa e che con dispiacere tentavano di disfarsene, pur di poter acquisire così qualche rublo e poter mettere qualcosa a tavola la sera.
Ma fronte di tutto ciò, osservavo la loro rinascita, il popolo che si riprende la propria vita, il loro vero e profondo amore per la cultura e le arti, i caffè della Nevsky Prospekt pieni di persone, ragazzi che affollavano il teatro per assistere all'Opera in cartellone come qualcosa di abitudinario e quotidiano per loro, vestiti come per una qualunque occasione, non come si usa da noi dove la prima serata di uno spettacolo di un grande teatro italiano diviene solo occasione di stupido ed esecrabile esibizionismo. Ragazzi e ragazze che, iscritti ai corsi della Facoltà di architettura, trascorrevano giornate intere nel cercare di ricopiare perfettamente e fedelmente su una tavolozza di legno le venature del parquet del favoloso museo dell'Ermitage.
Lo sentivi, lo respiravi nell'aria, nei passanti, nel disgelo interiore dei più giovani, la loro voglia di riprendersi in mano tutto, la loro vita, il loro destino, le loro speranze. Ecco, io posso dire di aver conosciuto il grande spirito del popolo russo, indomabile, forte e coraggioso, sempre pronto ad ogni evenienza; ciò che ho respirato nella mia esperienza con quel popolo è l'anima russa, l'essenza di chi ne ha viste tante e che comunque guarda avanti con speranza e determinazione. Non trovo corretto quindi che oggi si tenda ad isolare un popolo intero, le loro arti e la loro cultura, un popolo che, non dimentichiamolo, coraggiosamente e generosamente ci ha liberato dal terribile giogo nazista. A mio parere, credo che sia ora che l'Italia riprenda a tutti gli effetti rapporti diplomatici e di collaborazione con la Federazione Russa e che ci liberi finalmente da liste di proscrizione che poi da altre parti, dove si massacrano liberamente dei civili inermi (il mio riferimento è a Gaza, naturalmente), in barba al diritto internazionale, non vengono applicate.
Di Eugenio Cardi
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