08 Giugno 2024
Netanyahu, fonte: imagoeconomica
La notizia dovrebbe rovesciare la narrazione comune in merito all'uso politico dei social media. Israele ha speso milioni di dollari per una campagna mirata ad influenzare la politica americana, attraverso account falsi su X, Facebook e Instagram. Lo sforzo è iniziato subito dopo gli attacchi del 7 ottobre e continua oggi, sfruttando ChatGPT e creando siti falsi con articoli pro-Israele.
Il New York Times ha pubblicato un articolo lo scorso 5 giugno per riportare i risultati della propria inchiesta, a seguito delle rivelazioni inizialmente pubblicate da FakeReporter, un gruppo israeliano che lavora per combattere la disinformazione. Si spiega nel dettaglio come enti e funzionari del governo di Tel Aviv hanno guidato la campagna, gestita attraverso il Ministero degli Affari del Diaspora. L'obiettivo era quello di mettere pressioni su alcuni politici americani, segnatamente dei deputati e senatori neri del partito democratico, compreso il capo della minoranza alla Camera, Hakeem Jeffries.
Secondo Meta e OpenAI, la campagna non ha avuto un grande impatto, mentre il resoconto giornalistico sottolinea che soffre di errori grossolani, come ad esempio account con foto di uomini neri che si identificavano come "donne ebree di mezza età". Sarebbe stato facile scovare i post falsi grazie anche alla ricorrenza di frasi standard e poco specifiche, un elemento che riconoscerà chiunque utilizzi programmi di intelligenza artificiale.
Ciò che manca nell'articolo del New York Times, come nei pochi articoli comparsi in italiano sul tema, è qualsiasi riferimento all'ironia delle rivelazioni. Per anni, infatti, abbiamo sentito parlare di come i nostri terribili rivali, soprattutto la Russia, conducono vaste campagne per minare le democrazie occidentali. Sarebbe stata Mosca a far vincere Trump nel 2016, e occorre essere super vigili per combattere le fake news generate continuamente dall'intelligence russa.
Tuttavia, chi ha approfondito il tema sa che l'efficacia di queste campagne è spesso esagerata, e anche che si attribuiscono operazioni ai governi quando in realtà vengono condotte da gruppi esterni. Ciò non toglie il fatto che alcuni paesi possono sfruttare le azioni di tali gruppi, ma fa capire che l’attribuzione delle responsabilità diretta è materia complessa.
Ora, però, sappiamo che il governo di Israele minaccia la nostra democrazia. È bene che la notizia sia uscita, ma potremmo ben aspettare un po' di autoriflessione da parte dei media sul fatto che c'è una conferma diretta che un paese alleato fa proprio quello di cui accusiamo i nostri nemici, tra l'altro senza lo stesso livello di prove.
Quanta sarà l'indignazione in merito a questa incursione nella vita politica americana? Nel caso della Russia, le accuse sono state un momento chiave nel peggioramento delle relazioni con gli USA negli ultimi mesi dell'amministrazione Obama, contribuendo alle conseguenze drammatiche che vediamo oggi. Al momento, non sembra che il governo e i media americani siano così sconvolti. Forse non erano molto sorpresi, o forse devono pesare bene le parole prima di agire, considerando la difficoltà di Washington di mettere pressioni serie sul governo di Tel Aviv.
Intanto, possiamo sorridere a questa bellissima frase nell'articolo del New York Times, ripresa anche da qualche testata italiana: "È opinione diffusa che Russia, Iran, Corea del Nord, Cina e Stati Uniti sostengano sforzi simili in tutto il mondo, ma spesso mascherano il loro coinvolgimento esternalizzando il lavoro a società private o gestendo il lavoro attraverso un paese terzo". Ecco, insieme ai nostri cattivissimi nemici, lo facciamo pure noi. Ora si aggiunge Israele all'elenco di paesi che giocano sporco con i social, tra l’altro contro di noi. Forse sarebbe il caso di andare oltre l'indignazione superficiale e concentrarsi sulla sostanza delle politiche in gioco.
di Andrew Spannaus
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