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Inaugurata la linea ad alta velocità in Indonesia, l'Occidente guarda e si lamenta

Mentre la Cina va avanti con i grandi progetti infrastrutturali, le istituzioni occidentali fanno fatica ad affrancarsi dai vecchi schemi di mercato

14 Marzo 2024

Inaugurata la linea ad alta velocità in Indonesia, l'Occidente guarda e si lamenta

Da Jakarta a Bandung in 40 minuti. È il percorso della nuova linea ad alta velocità inaugurata in Indonesia pochi giorni fa, l'11 marzo. Si tratta della prima linea del genere nel Sudest asiatico, costruita dai cinesi come progetto nell'ambito della "Belt and Road Initiative", o la "Nuova Via della Seta", seppur non sia collegata alla rete cinese.

Sulla stampa occidentale si fa presto a sottolineare il pericolo di legarsi a Pechino, per via del debito che si creerà, e quindi il rischio di dipendenza politico-economica. Si ricorda anche che il progetto ha subito ritardi vari (problema molto comune anche da queste parti…) e che il costo del viaggio è proibitivo per molti residenti locali.

La radio pubblica americana – National Public Radio, NPR) – ha anche dato voce a chi critica la nuova linea ad alta velocità perché troppo avanzata rispetto al resto dell'economia e quindi uno spreco che accentuerà le disuguaglianze. Si tratta di un'altra forma dell'argomento che si sente spesso anche in Italia, per esempio in merito al Ponte sullo Stretto di Messina.

Con questo ragionamento si ignora l'effetto volano e moltiplicatore che i progetti infrastrutturali tendono ad avere. Poche settimane fa, l'amministratore delegato di una grande società di mobilità in Italia mi ha ricordato che si sottostima sempre l'impatto economico che hanno iniziative simili. Successivamente diventano essenziali a livello economico e anche sociale, e tendono a fornire un impulso ad un maggiore sviluppo territoriale nelle zone che toccano.

La NPR ha anche spiegato che gli Stati Uniti non sono presenti nel settore delle costruzioni infrastrutturali in questa zona del mondo, per due motivi: la mancanza di enti pronti a fornire i finanziamenti e le incertezze di mercato. Negli ultimi anni la Cina, insieme agli alti paesi dei Brics, ha creato invece delle nuove istituzioni che mirano a garantire nuovi ingenti investimenti nelle zone del mondo che sono state lasciate indietro negli anni del liberismo e della globalizzazione.

Per questi paesi c'è il rischio di indebitarsi e quindi legarsi troppo a Pechino? Certamente, lo abbiamo già visto in Africa. Ma da parte occidentale, con programmi come "Build Back Better World", ora il "Partnership for Global Infrastructure Investment" (PGII), si rimane ancorati all'investimento privato e a temi più generali di quelli perseguiti dalla Cina. Il PGII, per esempio, punta a quattro aree: il cambiamento climatico e la sicurezza energetica, la sanità e la sicurezza in questo settore, e l'equità e l'uguaglianza di genere.

Non è facile competere con i progetti molto concreti offerti da Pechino ai paesi che per decenni hanno sofferto le imposizioni delle istituzioni finanziarie occidentali come il Fondo Monetario Internazionale. Negli Stati Uniti e in Europa c'è ora una maggiore consapevolezza della necessità di legare la strategia geopolitica e l'economia, ma la recente virata verso un maggiore intervento pubblico e una nuova politica industriale sembra ancora lontana dal dispiegare i propri effetti a livello mondiale.

Di Andrew Spannaus

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